2025-09-14
SIAMO TUTTI CHARLIE
Charlie Kirk (Getty Images)
Dieci anni fa il mondo condannava l’attentato al settimanale francese «Hebdo» colpito, come Kirk, per le sue idee. A Parigi, con lo slogan «Je suis Charlie», sfilarono capi di Stato e di governo per difendere la libertà d’espressione, soprattutto se sgradita. Oggi, per il «Charlie» di destra, riescono solo a incolpare la vittima.Dieci anni fa un commando composto da due fratelli di origine algerina fece irruzione nella sede di Charlie Hebdo e massacrò a colpi d’arma da fuoco 12 persone, ferendone 11. L’attentato fu rivendicato da un gruppo yemenita affiliato ad Al Qaida, che motivò l’attentato con la pubblicazione in un’edizione del settimanale satirico di alcune vignette sull’islam. Una strage dunque scaturita dall’esercizio della libertà di opinione, con una critica, sarcastica e dissacrante, a Maometto e agli integralisti. Di fronte alla carneficina, il mondo reagì con uno slogan: «Siamo tutti Charlie!». A Parigi sfilarono capi di Stato, anche di alcuni Paesi musulmani, in difesa del diritto di parola e di critica e contro ogni censura. Perché con l’attentato si voleva tappare la bocca a chi praticava il diritto riconosciuto in ogni democrazia di potersi esprimere liberamente, contro il potere, la religione, il sistema nel suo complesso.Se ho ricordato la manifestazione cui, a pochi giorni dalla strage, partecipò più di un milione e mezzo di persone (considerando i cortei che si svolsero in altre capitali europee la cifra va triplicata), è perché mi chiedo come mai per l’attentato a Charlie Kirk invece, non soltanto nessuno abbia pensato a una manifestazione dicendo siamo tutti Charlie, ma addirittura ci siano intellettuali e politici che invece di difendere il diritto di parola, di critica anche dura e polemica, si siano messi a dare addosso al blogger americano. La sua colpa sarebbero i suoi pensieri. Aver sostenuto Donald Trump, averne condiviso le idee, a proposito di migranti, di politiche gender, di aborto e famiglia, senza mai aver compiuto un reato, all’improvviso diventa una ragione che giustifica un omicidio. Di fronte a Charlie Kirk non si sentono tutti Charlie, perché l’esponente del movimento Maga non era di sinistra come gran parte dei redattori di Charlie Hebdo. Kirk era un conservatore, un uomo che contestava l’ideologia woke, una deriva che porta a giustificare qualsiasi atteggiamento e, come abbiamo visto, anche qualsiasi violenza sulla base di presunte ingiustizie sociali. Insomma, era un «nemico» del politicamente corretto, della cancel culture che vorrebbe i bianchi colpevoli di qualsiasi discriminazione, fortemente critico verso i militanti del Black Lives Matter, il movimento che dopo la morte di George Floyd si è incaricato di denunciare il razzismo della polizia. Per questo gli Odifreddi e i Saviano, che ogni giorno denunciano discriminazioni e censure, autoritarismo e fascismo, non si sentono Charlie Kirk. Chi non la pensa come te sui migranti, sull’avvento della «dittatura» trumpiana, sull’aborto, può essere eliminato senza che questi presunti difensori della libertà e della democrazia si sentano indignati. Per loro Kirk se l’è cercata. In fondo, ha avuto ciò che meritava. «Seminava odio»: perché non seminava le loro prediche progressiste.La censura che arriva fino all’omicidio è condannabile solo se l’opinione che si soffoca nel sangue è la loro. Se invece si uccide chi non la pensa come i compagni, allora l’assassinio non è neppure censurabile. Se fai fuori un predicatore antirazzista come Martin Luther King sei un criminale, un esponente del suprematismo bianco, fascista e terrorista. Se invece ammazzi un predicatore che difende Trump, sei al massimo un esaltato che ha reagito di fronte alle provocazioni di un suprematista.Ecco, sono tutti Charlie, ma se tocchi il Charlie sbagliato, allora stanno più dalla parte dell’assassino che della vittima.
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)
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Charlie Kirk con la moglie Erika Frantzve (Getty Images)
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