2020-10-10
«Siamo in guerra e servono test rapidi ma il governo fa il piccolo chimico»
Il presidente del Veneto: «Spero che Roberto Speranza si renda conto che il mondo corre. Per i cittadini è necessaria l'autodiagnosi».Luca Zaia, governatore veneto, per il ministro Roberto Speranza le Regioni sono in ritardo nei piani delle terapie intensive e per il suo consulente Walter Ricciardi le autonomie «hanno dormito». Che dice?«Trovo queste uscite ingenerose, irrispettose e anche poco costruttive. Non ho mai visto litigare in trincea sotto l'attacco nemico. Davanti all'emergenza bisognerebbe stare zitti e solidali».Di solito in trincea le accuse partono dalle truppe, non dai generali.«Spero sia solo un'uscita infelice. Dire che le Regioni hanno dormito significa non conoscere la verità». In Veneto avete dormito?«Dalle mie parti diciamo che i veneti non dormono: riposano. In questi mesi ho sempre dimostrato solidarietà totale con le autorità, tenendo un atteggiamento istituzionale. Non ho mai approfittato della situazione per buttarla in caciara. Le Regioni hanno sempre votato tutti i provvedimenti del governo, mai una che si sia rivolta al Tar».Cos'è, una minaccia?«Dopo tutti questi mesi di grande collaborazione, non ci meritiamo un atteggiamento del genere. E non mi sembra che le regioni si siano mosse male. Se qualcuno lo ritiene, faccia nomi e cognomi. Ma non accetto lezioncine e tirate d'orecchi. Possiamo tutti migliorare, però la tua libertà finisce dove comincia la mia: questa è la regola che Roma deve sapere».Che ragione si dà di questo attacco?«Che non c'è il governo del processo, tant'è vero che il ministro ha poi tentato di lisciare il pelo alle Regioni. Noi non siamo interlocutori da poco: è la Costituzione che ci delega ad amministrare la sanità. E, a differenza di chi sta in ufficio a Roma, noi abbiamo i pazienti davanti alla porta».Ha fatto bene il governo a estendere l'obbligo delle mascherine?«Per me sono indispensabili, ma non c'è nulla di nuovo sotto il sole. In Italia la mascherina era già obbligatoria in tutti i luoghi di assembramento e al chiuso; ora si aggiunge l'obbligo di portarla all'esterno, e se uno è solo deve avere la protezione in tasca, pronto a metterla se incrocia qualcuno».Perché si formano ritardi e code per fare i tamponi?«Spero che il ministro Speranza, e i suoi consulenti tecnici con lui, si rendano conto che il mondo corre. Quattro mesi fa al mondo c'era solo un tampone rapido: veniva dalla Corea, lo abbiamo testato noi per primi in Italia e poi ho chiesto per iscritto al ministro di poterlo utilizzare». E adesso?«Ci sono 20 multinazionali che producono i test rapidi e soprattutto i test di autodiagnosi certificati da enti internazionali. Non c'è più nulla da inventare o da sperimentare. Ma noi siamo ancora fermi perché prendiamo il prodotto certificato dalla Fda negli Usa e ci mettiamo come il piccolo chimico a ricontrollare tutto».Troppe cautele?«Siamo in guerra. Il piano di sanità pubblica funziona se i cittadini potranno farsi l'autodiagnosi. Il Veneto è già pronto per un test di questo tipo, lo stiamo sperimentando e presto porremo la questione».È un test fatto in casa o preso da una multinazionale?«È mutuato dalle multinazionali, migliorato in alcuni aspetti e mini invasivo: non ti devi infilare un bastoncino di 10 centimetri nel naso, basta strofinare le narici con un cotton fioc. Per combattere il tumore all'intestino non possiamo fare la colonscopia a tutti, però possiamo rilevare il sangue occulto nelle feci. Occorre una logica di grandi numeri: lo dice una Regione che ha fatto più di 2 milioni di tamponi molecolari e oltre 1 milione e mezzo di test rapidi».Meno tamponi per velocizzare le diagnosi?«Restano i re dei test antivirus, in Veneto ne abbiamo 700.000 in magazzino. Ma se uno va dal medico con un problema, la prima cosa da fare sono gli esami del sangue, non la Tac: quella arriverà dopo».Quindi, accelerare sui test rapidi.«Il Veneto sta chiudendo una gara anche per Lazio, Liguria, Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia per comprarne 10 milioni».Acquistate test rapidi per tutti e poi li distribuite?«Esatto, questo vuole dire darsi da fare. Ma, ripeto, senza voler fare prove muscolari con Roma. Io ho una sola inquietudine che non mi fa dormire: la salute dei 4,9 milioni di veneti. Che per me viene prima anche delle scartoffie romane».Com'è la situazione dei contagi nella sua regione?«I positivi sono quasi 5.000, mediamente abbiamo 250-300 nuovi casi al giorno. Il 95% sono asintomatici, cioè diventeranno negativi senza mai neanche uno starnuto. Nei 68 ospedali veneti i ricoverati in terapia intensiva sono 28, prima ne avevamo centinaia, e quelli con sintomi lievi sono 270-280 contro i 2.400 di aprile, quando dovetti chiudere 10 ospedali per dedicarli al Covid».Insomma, non c'è un'emergenza ospedaliera.«No, anche se per il futuro nessuno ha la sfera della verità. Ai cittadini dico: usate la mascherina. Per fortuna, con questo virus la prevenzione non si fa prendendo pastiglie. Degli 11.000 medici in Veneto, solo l'1,8% si è infettato di Covid, pur lavorando in mezzo a pazienti Covid, proprio perché usava la mascherina».Quando ancora il governo non l'aveva resa obbligatoria.«No, quando ancora qualcuno diceva che non serviva a nulla».
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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