I ministri Elena Bonetti e Paola Pisano intervengono per far cambiare i disegni «sessisti» di Immuni perché la donna tiene in braccio un bimbo e l'uomo un Pc. Sogei incarica la piattaforma Akamai di creare un «paracadute» dall'estero. Ma il decreto prevede sia tutto in Italia...Il logo simbolo dell'App Immuni: una donna e un uomo affacciati alla finestra. Lei è una mamma e accudisce un neonato. Lui è il padre e scrive al computer. Immaginiamo stia lavorando. Apriti cielo. L'immagine offende i benpensanti. Parte in quarta l'ex presidente della Camera, Laura Boldrini. «Cambiamo quell'immagine e quella mentalità». Contro «l'insopportabile sessismo» si scagliano rappresentanti del mondo della musica e altre ex deputate. In 24 ore Immuni è costretta a invertire colori e simboli: da ieri sera il padre appare con il bimbo e la madre con il pc. Così, si suppone, il sessismo invertito va bene. Le modifiche vengono preannunciate da un tweet del ministro alla famiglia, Elena Bonetti direttamente in risposta alle sollecitazioni dell'ex parlamentare Anna Paola Concia: «Cara Anna Paola, ho scritto ieri alla Ministra Paola Pisano (Innovazione Tecnologica e Digitalizzazione, ndr) e mi ha subito rassicurato sul fatto che si sta lavorando a una modifica, che sarà rilasciata entro breve». Così è stato. E qui termina il compito della politica, cui interessa la facciata delle cose. Fa riflettere che un ministro come la Bonetti non sia insorta contro la collega Lucia Azzolina che ha tenuto le scuole chiuse. Ultime dopo parchi, bar, ristoranti e oratori. Un ministro che ancora oggi non sa dare certezze di quanto accadrà agli studenti a settembre. Mamme e papà sono stati abbandonati assieme ai loro figli da un sistema scolastico che ragiona come negli anni Cinquanta: come se uno dei genitori fosse sempre in casa, sempre lì ad accudire i bimbi. Di questo dovrebbe occuparsi la Bonetti, non dei disegnini sulle App. Sostanza, non forma. Invece si passano le giornate a «pettinare le bambole», come direbbe Pier Luigi Bersani. E non è da meno la collega Pisano, che ha dimostrato di attivarsi subito (stando alle parole della Bonetti) per chiedere la sostituzione dei loghi dell'App, ma non risulta altrettanto attiva nel monitorare la reale efficacia del sistema né la trasparenza dell'iter di gestione dei dati. Argomenti sensibili, di cui si è occupato anche il Copasir. Al momento risultano download per un numero superiore al mezzo milione. Molto poco rispetto ai circa 25 milioni di persone nella fascia di età compresa tra i 18 e i 60 anni. Ma anche se tutti gli italiani la scaricassero, a mancare è l'ambiente che traccia i positivi al virus. Nessuno sul fronte del ministero e soprattutto della gestione commissariale, guidata da Domenico Arcuri, ha pensato o ha attivato il cosiddetto human tracking. Per capirsi, se anche l'utente viene a sapere di essere stato a contatto con un positivo, non ha ad oggi la certezza di essere sottoposto a tampone, non sa come la storia dei positivi venga mappata. Non tanto da chi ha sviluppato l'App, ma dal sistema sanitario cui spetta questa incombenza. Ieri sulla questione è intervenuto il governatore del Veneto, Luca Zaia. «Il primo tema è che va chiarito dove va a finire il bagaglio dei dati raccolti», ha spiegato, ma non è questo a preoccupare. «Per me è più importante e un po' mi inquieta che non si è chiarito cosa accadrà». Ovvero, «nel momento in cui a un cittadino arriva il messaggio che lo avvisa che è entrato in contatto con un positivo, cosa deve fare? Andare dal medico? Non lo gestiamo più un flusso del genere». Senza contare che nessuno al governo ha spiegato da un punto di vista lavorativo come si deve comportare un soggetto «costretto» alla quarantena. È in malattia? O il datore lo può mettere in ferie? Non sono dettagli da poco. Questa è la vita reale, e i lavoratori - donne o uomini che siano - hanno bisogno di risposte precise. Delle discettazioni sui loghi non sanno che farsene. Così come ci aspetteremmo che un ministro dell'Innovazione e un commissario incaricato non si limitino agli annunci sui temi della sicurezza dei dati, ma entrino nei dettagli, dove si possono nascondere i problemi. Il governo ha promesso più volte che i dati sarebbero rimasti in Italia e sotto il controllo del Mef. Tant'è: l'App scrive che «I tuoi dati sono salvati su server in Italia, sono gestiti da soggetti pubblici controllati dal ministero della Salute». Vero. Però scopriamo che nella filiera coordinata da Sogei (la partecipata che si occupa dei server e del cloud) è stato scelto pure un partner estero. L'infrastruttura di rete fa uso dei Cdn di Akamai (azienda Usa) per il servizio di download delle chiavi Tek, invocato automaticamente da tutti i dispositivi Immuni. Le chiavi devono essere trasmesse ai dispositivi per segnalare l'avvenuto contatto con una persona positiva al virus. La Cdn è una piattaforma che aiuta a minimizzare il ritardo nel caricamento dei contenuti Web ed evita che i siti crollino in fase di picco come è successo all'Inps in occasione del Clic day. Insomma, di per sé è una ottima pratica. Solo che, in base alla relazione del Copasir del 30 aprile scorso, è chiara la necessità di ricorrere a soggetti privati non nazionali per la Cdn, ma la soluzione di trasmettere i dati dei cittadini italiani ad Akamai sbatte contro il decreto legge 28, in cui si precisa che tutte le «infrastrutture devono essere localizzate sul territorio». Qui si apre il dubbio. Analisti spiegano alla Verità che la rete di Akamai in questo momento non è configurata in modo da vincolare i transiti su server dislocati in Italia. Cosa che invece si potrebbe fare, avendo l'azienda alcuni siti lungo la dorsale dell'Appennino. I dati di migliaia - o milioni - di italiani sono troppo importanti per non avere sott'occhio tutta la filiera. E soprattutto la politica dovrebbe sapere che su questi temi non si scherza. Non si può dire che tutto è in Italia se un pezzo della rete passa per l'estero. «Noi abbiamo avuto garanzia che tutto è certificato da Sogei», spiega il vice presidente del Copasir Adolfo Urso, contattato dalla Verità, «e ci aspettiamo che sia così».
Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.







