2019-03-27
Sì alle nuove regole sul copyright che spaccano il Web
Gli editori potranno farsi pagare dalle piattaforme l'utilizzo dei contenuti. Lega e M5s contrari: «Piccoli operatori a rischio».Dopo più di due anni di dibattito, infinite diatribe e oltre dieci passaggi tra aula e commissione per cinque diversi relatori, il Parlamento europeo ha approvato ieri la riforma sul diritto d'autore. Una «giornata nera» per chi come l'eurodeputata Julia Reda, membro del Partito pirata tedesco, si batte da tempo per lo stralcio delle parti più controverse. Soddisfazione arriva, invece, dal mondo dell'editoria. La normativa promette infatti di garantire nuovi introiti al settore, derivanti dagli accordi con le grandi piattaforme. Meglio chiarire subito un punto: nell'immediato per gli utenti della Rete non cambierà nulla. Gli Stati membri, infatti, avranno due anni di tempo (oltre che una certa flessibilità) per adeguare la normativa nazionale ai contenuti della direttiva.Il diritto d'autoreMa allora perché tante polemiche? Sono due i punti della riforma che negli ultimi mesi, fuori e dentro la rete e i social, hanno infuocato il dibattito. Entrambi sono stati pensati, almeno sulla carta, con l'intento di tutelare gli ideatori dei contenuti e incentivare l'attivazione di accordi remunerativi per la diffusione del materiale coperto da diritto d'autore. Uno è rappresentato dall'articolo 17 (ex articolo 13), il quale prevede che le grandi piattaforme basate sul caricamento dei contenuti (ad esempio, Youtube) siano direttamente responsabili sulla liceità del materiale pubblicato. Non solo i siti in questione dovranno rimuovere tempestivamente tutti i contenuti illeciti, ma saranno tenuti a verificare preventivamente che questi non violino la norma sul diritto d'autore. Nella pratica questo potrebbe avvenire con l'ausilio dei cosiddetti «filtri di caricamento», speciali software basati sull'intelligenza artificiale che consentono di ispezionare in tempo reale immense quantità di dati. Piccolo problema: non tutti dispongono della potenza di fuoco tecnologica e finanziaria dei colossi del Web, e anche per questo motivo dalla normativa risultano esentate quelle aziende con un fatturato inferiore ai 10 milioni di euro. Escluse dal campo d'azione della direttiva anche le piattaforme come Wikipedia e Github, che operano a scopo divulgativo e non commerciale, e tutti i siti di insegnamento e informazione scientifica. Nonostante questi accorgimenti, c'è chi vede tra le pieghe di questa sezione della legge una limitazione delle infinite potenzialità di Internet. Secondo il comitato #SaveYourInternet, del quale fanno parte tra gli altri la Wikimedia foundation e la World wide web foundation e promotore di una incessante campagna di lobbying nei confronti degli eurodeputati di tutti gli Stati membri, l'articolo 17 va a discapito sia degli utenti («avranno accesso a una quantità inferiore di contenuti») che degli stessi creatori dei materiali («potrebbero vedersi bloccare preventivamente i contenuti»).I link sui socialL'altro pomo della discordia risiede nell'articolo 15 (ex articolo 11), quello cioè che prevede la possibilità da parte degli editori di negoziare accordi con le grandi piattaforme per la pubblicazione dei contenuti coperti da diritto d'autore. Rimangono esclusi i cosiddetti snippet, cioè le brevi descrizioni che accompagnano la pubblicazione di un link sui social, anche se la direttiva rimane piuttosto vaga quando si tratta di fornire definizioni esatte. La posizione della delegazione leghista all'Europarlamento in merito è molto chiara: «I media della carta stampata sbagliano se pensano che riacquisteranno la fiducia dei lettori ostacolando l'attività dei cosiddetti “aggregatori di notizie" e pretendendo una remunerazione di assai di difficile applicazione e che difficilmente giungerebbe davvero agli autori, ma che resterebbe in capo agli editori». Secondo la Lega, a rimanere danneggiati da quest'articolo «saranno i piccoli e medi operatori dell'informazione, che sul Web veicolano informazioni e opinioni in maniera gratuita tramite la raccolta pubblicitaria».Più in generale, il partito di Matteo Salvini giudica il testo «troppo sbilanciato verso gli interessi dell'editoria tradizionale e dei grandi network televisivi», le cui rivendicazioni, seppur giudicate talvolta legittime, rischiano di «penalizzare tutti gli utenti». Negativo anche il M5s. Secondo i pentastellati, infatti, la direttiva «mina fortemente la libertà di espressione sul Web», e «l'idea di limitare il diritto all'informazione e alla partecipazione online, imbavagliando la rete, è pericolosa e ci vede fortemente contrari». Sul versante delle grandi piattaforme, particolarmente critico il giudizio di Google. Un portavoce di Mountain View, seppur ammettendo che «l'attuale riforma del copyright è migliore», riferisce alla Verità che questa «porterà incertezza dal punto di vista legale e danneggerà l'economia digitale e dei creativi in Europa. I dettagli sono importanti e continueremo a lavorare con i policy maker, gli editori, i creator e i detentori dei diritti, mentre gli Stati dell'Unione europea implementeranno queste nuove regole».Dall'esito parlamentare, 348 voti a favore e 274 contrari, non traspare la profonda spaccatura dell'aula. Combattuti in particolare l'Alde (36 a favore, 25 contro), l'Europa delle nazioni e delle libertà (15 a 14) e i Conservatori e riformisti (23 a 42). Si sono schierati decisamente pro riforma i Popolari europei (153 a 28, più 13 astenuti) e i Socialdemocratici (99 a 54, 6 astenuti). Nota a margine: tra le fila di quest'ultimo gruppo gli eurodeputati Pd, da Pina Picierno a Simona Bonafé, passando per Cecile Kyenge e David Sassoli, hanno votato in massa per il sì.
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