Sì all’autonomia. La sinistra grida ma pure il Conte 2 l’aveva promessa

per pervenire «gradualmente ma rapidamente a una ripartizione delle entrate e delle spese pubbliche». Né penso a Massimo D’Alema, che qualche anno dopo infilò l’autonomia regionale nel progetto di riforma costituzionale messo a punto dalla Bicamerale da lui presieduta (del resto, quegli erano gli anni in cui l’ex segretario Ds definiva il Carroccio «una costoladella sinistra», spiegando che quello di Umberto Bossi era «il più forte partito operaio del Nord, che esprimeva un antistatalismo democratico e anche antifascista».
No, per far contenta Paola De Micheli, la quale preferisce non ricordare il passato in cui raccoglieva pomodori, sono andato a rileggermi programmi e intenzioni della sinistra negli anni più recenti. Prendete per esempio il 2019, quando nacque il Conte bis, quello di cui proprio faceva parte, in veste di ministro delle Infrastrutture, l’onorevole emiliana del Pd. Il 22 agosto, in vista della formazione del nuovo esecutivo, che con una capriola Matteo Renzi aveva deciso di sostenere con i voti del Partito democratico, il capo politico del Movimento 5 stelle, che non era ancora Giuseppe Conte ma Luigi Di Maio, presentò a Sergio Mattarella il programma di governo. Si tratta di dieci punti, molti dei quali fanno riferimento agli storici cavalli di battaglia grillini, come ad esempio il taglio del numero di parlamentari. Tuttavia, oltre alle solite richieste tra cui la legge sul conflitto d’interessi e la riforma delle banche, al punto 6 si trova l’autonomia differenziata solidale. Non fatevi ingannare dall’aggettivo aggiunto da Di Maio: anche se ha una parolina in più di quella messa a punto da Calderoli, la riforma che all’epoca il Pd e i 5 stelle avevano intenzione di realizzare è la stessa che oggi ha varato il centrodestra, ma che sia il Partito democratico sia quanto resta dei pentastellati contestano e vorrebbero abolire con un referendum. Già, basta leggere ciò che ancora oggi si trova sul Blog delle stelle a proposito di quella famosa giornata di cinque anni fa. Titolo: «Autonomia differenziata e riforma degli enti locali» (qui l’aggettivo solidale è scomparso). «Va completato il processo di autonomia differenziata richiesta dalle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, istituendo contemporaneamente i livelli essenziali di prestazioni per tutte le altre regioni per garantire a tutti i cittadini gli stessi livelli di qualità dei servizi».
Beh, è esattamente quello che si prefigge la legge Calderoli: autonomia differenziata fra le regioni, come richiesto da alcune di esse, e livelli essenziali di assistenza garantiti a tutte quelle che non vogliano ottenere potestà di governo su materie oggi attribuite esclusivamente allo Stato. Vi chiedete come sia possibile che la stessa sinistra che ora parla di «Spacca Italia» nella scorsa legislatura avesse nel programma una legge analoga a quella che ora critica? La risposta sta in un numero: 34,26. Fu questa la percentuale che la Lega prese alle Europee di quello stesso anno. Un balzo in avanti che non soltanto indusse Matteo Salvini a far cadere il Conte 1, pensando di portare il Paese alle elezioni liberandosi dei grillini e dell’avvocato di Volturara Appula, ma poi suggerì a Di Maio e al Pd di inserire tra i punti del programma del governo l’autonomia differenziata, così da togliere argomenti alla Lega.
Fu solo una dichiarazione d’intenti? No, perché il Conte 2, quello giallorosso, si impegnò con una proposta di legge firmata da Francesco Boccia (colui che ora contesta l’autonomia differenziata) e Deborah Serracchiani, dal titolo: «Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 116, in materia di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni a statuto ordinario». Vi risparmio la lettura dei codicilli, ma la sostanza è quella che oggi 5 stelle e Pd vorrebbero impedire, giungendo fino al punto di chiedere al capo dello Stato di non controfirmare la riforma. Ma questa non è la sola contraddizione: nel 2018, Paolo Gentiloni sottoscrisse gli accordi preliminari con le regioni Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia per l’attuazione dell’intesa prevista dall’articolo 116 della Costituzione, con l’obiettivo dell’autonomia differenziata. Perché ciò che allora andava bene ora non più? Semplice: all’epoca, mancavano poche settimane alle elezioni e il Pd aveva paura di perderle, come poi effettivamente accadde. Detto in maniera più chiara: ogni giravolta è giustificata dal tornaconto elettorale. Altro che Spacca Italia, qui da rompere è il muro di ipocrisia dei compagni.






