2020-11-30
«Sì alla riforma, no all’uso del Mes». L’inganno M5s non nasconde la resa
Oggi all'Eurogruppo Roberto Gualtieri darà l'ok con il permesso grillino. Claudio Borghi: «Una tonnara».Alla fine della fiera, i 5 stelle si preparano a cedere un'altra volta. Dopo mesi trascorsi a giurare e a promettere che quella contro il Mes sarebbe stata l'ultima e insuperabile trincea, i grillini sembrano pronti - a meno di sorprese dell'ultima ora - a sposare un compromesso solo apparente, e in realtà a dire un sì malamente mascherato da una manovra di tattica politica.In altre parole, il M5s si acconcerebbe a dare semaforo verde all'euroriforma del Mes, riservandosi di precisare che comunque l'Italia non aderirà in questa fase al cosiddetto Mes sanitario. Magra consolazione, quest'ultima, nel momento in cui la concessione di oggi dei pentastellati al Pd e agli eurolirici rischia di avere un peso ben maggiore, letteralmente storico. Ciò che è in ballo nell'Eurogruppo di oggi non è più infatti il funzionamento del meccanismo sanitario (finora non richiesto da nessun Paese), ma un'estensione del fondo Salvastati pure alle crisi bancarie. Con una differenza fondamentale, però: nel senso che gli Stati saranno divisi in due categorie radicalmente distinte. Da un lato ci saranno i Paesi virtuosi dal punto di vista del debito (poco importa se poi le loro banche hanno in pancia titoli tossici), ai quali, se necessario, sarà consentito di accedere al Mes come a una sorta di salvadanaio. Dall'altro ci saranno invece quelli ad alto debito (Italia in testa, ovviamente), che, in caso di uso del fondo, saranno assoggettabili a una sorta di commissariamento alla greca, con annessa ipotesi di ristrutturazione del debito. Praticamente, un disastro: la capitolazione finale del Paese rispetto al pilota automatico esterno. Va sottolineato che è perfino improprio evocare il precedente del 2011 italiano, e delle misure di austerità che il governo tecnico si fece dettare dall'Europa. Il nostro 2021 rischia di portarci in una zona ancora più rischiosa di allora: dieci anni fa non c'era un Pil in negativo a due cifre, e non c'era un rapporto debito/Pil che rischia di arrivare - stavolta - al 160% o magari perfino oltre (questa è la previsione dell'ufficio parlamentare di bilancio, ad esempio). A maggior ragione, dunque, prudenza vorrebbe che l'Italia evitasse di costruire un cappio che potrebbe finire al nostro stesso collo. E invece la prospettiva appare segnata, in una giornata (quella di oggi) in cui dapprima ci sarà l'audizione parlamentare in commissione del ministro Roberto Gualtieri, e subito dopo l'Eurogruppo. E già questo timing dà l'idea di una scelta ormai compiuta, di una subalternità verso Bruxelles a cui fa da pendant una scarsa considerazione del governo verso il Parlamento. Ufficialmente, comunque, i grillini ripetono il solito mantra: «La divergenza di opinioni è netta, toccherà a Gualtieri trovare una sintesi», ha detto alla Stampa il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. «Siamo convinti che il Mes non sia uno strumento adatto, è una scelta che non sta facendo nessun altro Paese. Sull'utilizzo si dovrà comunque passare dal Parlamento. Quanto alla riforma del Mes, sarà importante che domani il ministro Gualtieri trovi una sintesi in commissione». E quest'ultimo accenno fa capire che le resistenze pentastellate sono agli sgoccioli. Di parere opposto il leghista Claudio Borghi che ancora ieri, sentito da Huffington Post, ha provato a lanciare l'ennesimo allarme, dicendo che l'Italia rischia di finire «in un vicolo cieco, anzi peggio, in una tonnara». Borghi critica non solo il metodo («L'audizione del ministro Gualtieri è come sempre tardiva e insufficiente: su queste cose si discute e si vota con calma, non si fanno informative informali la mattina stessa del vertice»), ma soprattutto la sostanza: «A quel punto», avverte, «sarebbe come aver costruito una tonnara con le nostre mani, perché il sistema nuovo del Mes conduce a un percorso per gli stati ad alto debito, come il nostro, che porterà a un esito simile a quello che fu riservato alla Grecia. Quindi troika e ristrutturazione del debito via Mes».
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco