
Il premier libico inizia da Roma il suo tour europeo per contrastare Khalifa Haftar. E insiste per uno sforzo diplomatico in Europa e, in caso di necessità, un supporto militare. Giuseppe Conte esclude l'uso della forza e rilancia: «Presto incontrerò anche il generale».Mentre il Ramadan non ferma l'offensiva del generale Khalifa Haftar, ieri è iniziato da Roma il minitour europeo di Fayez Al Serraj. Il premier del governo di accordo nazionale libico in mattinata ha incontrato a Palazzo Chigi il premier, Giuseppe Conte, per chiedere il sostegno di Roma. Il premier libico è passato da Roma per la sua «operazione verità», in risposta all'«operazione dignità» lanciata lo scorso 4 aprile da Haftar avviando le operazioni su Tripoli. Serraj vuole smontare la propaganda di Bengasi secondo cui con Tripoli combattono milizie terroristiche. Ma da Bengasi hanno rilanciato proprio prima del vertice tra Conte e Serraj. Sul Corriere della Sera ieri è comparsa infatti un'intervista ad Abdulhadi Ibrahim Iahweej, responsabile degli Affari esteri di Haftar, che ha spiegato che la guerra finirà solo quando i soldati fedeli a Bengasi avranno sconfitto le milizie che stanno con il governo di Tripoli. «Solo allora, potremo avviare il dialogo politico», ha detto.Spiegano fonti di Palazzo Chigi alla Verità che il premier libico non si è soffermato sulla «bomba migranti». Nelle settimane scorse aveva lanciato l'allarme di 800.000 pronti a partire per l'Italia a causa dell'offensiva di Haftar. Ma la formula maggiore instabilità uguale maggiori partenze non convince Roma, come spiegano le elaborazioni di Matteo Villa, ricercatore dell'Ispi, secondo cui l'instabilità in Libia non ha alcuna correlazione con il numero di chi tenta la traversata verso l'Europa.Conte ha bocciato la soluzione militare e ha auspicato di incontrare il prima possibile anche Haftar, rilanciando la necessità di «un confronto tra le parti sotto l'egida dell'Onu e con il coeso supporto della comunità internazionale, a beneficio del popolo libico, della stabilità del Paese e dell'intera regione», come si legge in una nota di Palazzo Chigi. Attraverso la pagina Facebook del suo ufficio stampa, Serraj ha ringraziato il nostro Paese per la «chiara condanna dell'aggressione» del generale Haftar contro Tripoli, ma ha poi fatto appello «agli amici italiani affinché compiano maggiori sforzi, visto il peso internazionale e il posizionamento dell'Italia, per produrre un cambiamento positivo negli atteggiamenti esitanti di alcuni Stati europei e della regione in modo da far cessare immediatamente questa aggressione», iniziata da parte dalle forze del generale Haftar a Tripoli lo scorso 4 aprile. In pratica, Serraj ha chiesto a Conte di costringere Haftar a ritirarsi. Ma ci sono due problemi. Il primo: il peso dell'Italia (così come quello della Francia), dopo l'ingresso in campo degli Usa di Donald Trump e con la guerra per procura che si sta combattendo in Libia tra fazioni sunnite, è sempre minore. Il secondo: l'avanzata di Haftar ha perso slancio e il generale è ancora lontano dal suo obiettivo, cioè trovare un canale legale per vendere il petrolio, visto che pure controllando l'80 per cento del territorio del Paese, non ha accesso ai soldi, che passano dalla Banca centrale di Tripoli e dalla compagnia nazionale petrolifera, la Noc. Soltanto ieri le forze di Haftar hanno annunciato di aver abbattuto un caccia dell'aviazione di Serraj e di aver catturato il pilota. Secondo i media vicini al generale, si tratterebbe di un «mercenario portoghese» di nome Jimmy Reis. Sarebbe la prova, come spiegato dal generale Abdel Salam Al Hasi, delle forze di Haftar, che «le forze di Serraj usano piloti stranieri per colpire i libici». Serraj ieri in serata è stato a Berlino per incontrare la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e oggi sarà a Parigi per un vertice con il presidente francese, Emmanuel Macron. La Germania è da sempre sostenitrice del cessate il fuoco in sede di Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. La Francia, invece, seppur ufficialmente si proclami sostenitrice di Serraj, ha più volte mostrato vicinanza ad Haftar: soltanto pochi giorni fa, il ministro degli Esteri francese, Jean Yves Le Drian, ha definito l'uomo forte della Cirenaica un partner fondamentale nella lotta al terrorismo, mandando su tutte le furie il governo di Tripoli. Probabile, infine, che Serraj oggi passi da Londra per incontrare il premier britannico, Theresa May. Il Regno Unito, le cui due recenti proposte di risoluzione per il cessate il fuoco al Consiglio di sicurezza Onu sono cadute nel vuoto, è da tempo vicina a Misurata, la città Stato con cui parla con l'Italia attraverso il vicepremier libico, Ahmed Maitig, ritenuta centrale per la stabilità della Libia.«Le ultime dichiarazioni dell'inviato Onu, Ghassan Salamé, su un possibile cessate il fuoco per il Ramadan non hanno soddisfatto Serraj», ha spiegato ieri ad Agenzia nova Umberto Profazio, analista presso il Nato defence college foundation e l'International institute for strategic studies. Da questo è nato il minitour europeo del leader tripolino, deciso a comprendere le posizioni italiane dopo una fase di apparente avvicinamento di Roma ad Haftar. Secondo Profazio, ieri Serraj ha chiesto all'Italia «maggiore supporto dal punto di vista politico diplomatico e probabilmente anche militare». Il capo del governo libico, secondo l'analista, «chiede che Haftar ritorni da dove è venuto nell'Est della Libia e lo status quo ante». Ed è dello stesso avviso anche l'analista libico Tarek Megerisi, intervistato sempre da Agenzia nova.Ma attenzione: un cessate il fuoco in questo momento, ha spiegato Profazio, «andrebbe tutto a favore di Haftar, perché manterrebbe le posizioni di assedio lungo Tripoli, potrebbe solidificare le strutture di approvvigionamento e di trasporto verso la capitale, oltre a difendersi da eventuali attacchi nel Sud della Libia, che sono stati più frequenti negli ultimi mesi».
Andy Mann for Stefano Ricci
Così la famiglia Ricci difende le proprie creazioni della linea Sr Explorer, presentata al Teatro Niccolini insieme alla collezione Autunno-Inverno 2026/2027, concepita in Patagonia. «Più preserveremo le nostre radici, meglio costruiremo un futuro luminoso».
Il viaggio come identità, la natura come maestra, Firenze come luogo d’origine e di ritorno. È attorno a queste coordinate che si sviluppa il nuovo capitolo di Sr Explorer, il progetto firmato da Stefano Ricci. Questa volta, l’ottava, è stato presentato al Teatro Niccolini insieme alla collezione Autunno-Inverno 2026/2027, nata tra la Patagonia e la Terra del Fuoco, terre estreme che hanno guidato una riflessione sull’uomo, sulla natura e sul suo fragile equilibrio. «Guardo al futuro e vedo nuovi orizzonti da esplorare, nuovi territori e un grande desiderio di vivere circondato dalla bellezza», afferma Ricci, introducendo il progetto. «Oggi non vi parlo nel mio ruolo di designer, ma con lo spirito di un esploratore. Come un grande viaggiatore che ha raggiunto luoghi remoti del Pianeta, semplicemente perché i miei obiettivi iniziavano dove altri vedevano dei limiti».
Aimo Moroni e Massimiliano Alajmo
Ultima puntata sulla vita del grande chef, toscano di nascita ma milanese d’adozione. Frequentando i mercati generali impara a distinguere a occhio e tatto gli ingredienti di qualità. E trova l’amore con una partita a carte.
Riprendiamo con la seconda e conclusiva puntata sulla vita di Aimo Moroni. Cesare era un cuoco di origine napoletana che aveva vissuto per alcuni anni all’estero. Si era presentato alla cucina del Carminati con una valigia che, all’interno, aveva ben allineati i ferri del mestiere, coltelli e lame.
Davanti agli occhi curiosi dei due ragazzini l’esordio senza discussioni: «Guai a voi se me li toccate». In realtà una ruvidezza solo di apparenza, in breve capì che Aimo e Gialindo avevano solo il desiderio di apprendere da lui la professione con cui volevano realizzare i propri sogni. Casa sua divenne il laboratorio dove insegnò loro i piccoli segreti di una vita, mettendoli poi alla prova nel realizzare i piatti con la promozione o bocciatura conseguente.
Alessandra Coppola ripercorre la scia di sangue della banda neonazi Ludwig: fanatismo, esoterismo, violenza e una rete oscura che il suo libro Il fuoco nero porta finalmente alla luce.
La premier nipponica vara una manovra da 135 miliardi di dollari Rendimenti sui bond al top da 20 anni: rischio calo della liquidità.
Big in Japan, cantavano gli Alphaville nel 1984. Anni ruggenti per l’ex impero del Sol Levante. Il boom economico nipponico aveva conquistato il mondo con le sue esportazioni e la sua tecnologia. I giapponesi, sconfitti dall’atomica americana, si erano presi la rivincita ed erano arrivati a comprare i grattacieli di Manhattan. Nel 1990 ci fu il top dell’indice Nikkei: da lì in poi è iniziata la «Tokyo decadence». La globalizzazione stava favorendo la Cina, per cui la nuova arma giapponese non era più l’industria ma la finanza. Basso costo del denaro e tanto debito, con una banca centrale sovranista e amica dei governi, hanno spinto i samurai e non solo a comprarsi il mondo.





