La Camera approva con 243 sì e 109 no il ddl costituzionale varato da Nordio. Adesso mancano l’ok del Senato e la prova del referendum. Il ministro: «L’opposizione crea il caos per sminuire». Fi dedica il successo al Cav.
La Camera approva con 243 sì e 109 no il ddl costituzionale varato da Nordio. Adesso mancano l’ok del Senato e la prova del referendum. Il ministro: «L’opposizione crea il caos per sminuire». Fi dedica il successo al Cav.La Camera dei deputati ha approvato ieri la riforma della giustizia targata Carlo Nordio: i voti favorevoli sono stati 243, i contrari 109. Si tratta del penultimo passaggio parlamentare: l’iter di approvazione di un ddl costituzionale, prevede due letture alla Camera e due al Senato, naturalmente alternate. Tra la prima e la seconda lettura di ciascun ramo del Parlamento devono passare almeno tre mesi: nel caso in cui la seconda votazione alla Camera e al Senato non faccia registrare almeno due terzi dei voti a favore, si va al referendum. Ieri a Montecitorio la maggioranza dei due terzi non è stata raggiunta, quindi dopo l’ultimo passaggio al Senato ci sarà il referendum confermativo. La consultazione popolare dovrebbe svolgersi nel 2026. Attenzione: i referendum confermativi dei ddl costituzionali non prevedono il quorum, quindi nessuno potrà invitare i propri elettori ad andare al mare (o a restare a casa, a seconda del periodo in cui verrà celebrata la consultazione). Gli ultimi sondaggi pubblicati segnalano una certa prevalenza dei favorevoli, ma c’è grande incertezza. Prendiamo ad esempio uno dei più recenti, pubblicato da SkyTg24 e realizzato da Youtrend lo scorso 5 agosto: alla domanda «In caso di referendum sulla riforma della giustizia, come voterebbe?», il 51% degli intervistati ha risposto sì, il 49% no, con una affluenza stimata intorno al 55% degli italiani. Il sondaggio rivela poi un dettaglio importante: il centrodestra sarebbe più compatto nelle intenzioni di voto a sostegno della riforma (85% sì, 15% no), rispetto al campo largo (25% sì, 75% no), per la posizione meno netta del Movimento 5 stelle (31% sì, 69% no). In ogni caso, inutile farsi illusioni: la partita, come sempre accade in questi casi, non si giocherà sul merito della riforma, ma si trasformerà in un referendum sul governo e in particolare su Giorgia Meloni. Del resto, l’opposizione ieri ha fatto capire molto bene che intende alzare il livello dello scontro: una circostanza tutto sommato assolutamente trascurabile, ovvero che la maggioranza e alcuni esponenti del governo hanno esultato al momento dell’approvazione, ha scatenato una bagarre degna di ben altri argomenti, con esponenti delle sinistre, compresa Elly Schlein, che si sono avvicinati minacciosamente ai banchi dell’esecutivo scatenando l’inevitabile bagarre. «La bagarre in Aula? In politica», ha commentato serafico il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, «bisogna sempre aspettarsi che chi è sconfitto cerchi di annacquare l’amarezza con una sorta di diversione. In questo caso la bagarre è stata evidentemente provocata per sminuire l’importanza della vittoria della maggioranza su un argomento essenziale come la riforma della giustizia». Tra i più felici dell’approvazione, e non potrebbe essere altrimenti, il vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani. La separazione delle carriere tra pm e giudici era una delle riforme che più stavano a cuore al mai abbastanza rimpianto Silvio Berlusconi, che aveva l’abitudine di ripetere una frase diventata leggendaria per spiegare il senso della riforma: «Il pm», ripeteva sempre Silvio, «per parlare con il giudice deve comportarsi come l’avvocato della difesa, fissare un appuntamento, entrare con il cappello in mano nel suo ufficio e magari dargli del lei». Non c’è solo la separazione delle carriere tra i pilastri della riforma. Un’altra innovazione importante è lo sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura in due diversi organismi, uno per la magistratura giudicante e uno per quella requirente (i pubblici ministeri) entrambi presieduti dal presidente della Repubblica. Di questi Consigli superiori fanno parte di diritto, rispettivamente, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono estratti a sorte, per un terzo, da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo 15 anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione; e, per due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti, nel numero e secondo le procedure previste dalla legge. Ciascun consiglio elegge il proprio vicepresidente fra i componenti sorteggiati dall’elenco compilato dal Parlamento. I membri designati mediante sorteggio durano in carica quattro anni e non possono partecipare alla procedura di sorteggio successiva. Il meccanismo del sorteggio, come è evidente, elimina il potere delle correnti organizzate (e politicizzate) dei magistrati. Inoltre la riforma prevede che la giurisdizione disciplinare nei riguardi dei magistrati ordinari, giudicanti e requirenti, è attribuita alla neoistituita «Alta Corte disciplinare», composta da 15 giudici, tre dei quali nominati dal presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno 20 anni di esercizio e tre estratti a sorte da un elenco di soggetti in possesso dei medesimi requisiti che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, e poi da sei magistrati giudicanti e tre requirenti estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie.
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