Punteggi bassissimi nelle pubblicazioni scientifiche e scarsa partecipazione alle riunioni tra i membri del Cts. E per la rivista «Nature», il Comitato tecnico è privo degli esperti essenziali per contrastare un'epidemia.Il Cts, istituito poco più di un anno fa, non dispone di competenze sufficienti: è questo il (duro) giudizio, espresso - lo scorso 17 febbraio - da Nature. E, per suffragare una tale tesi, l'autorevole rivista scientifica ha citato in particolare due episodi. Il primo risale al marzo 2020, quando 292 scienziati italiani inviarono all'allora premier, Giuseppe Conte, una lettera aperta in cui proponevano «un piano per potenziare le capacità diagnostiche in fatto di Covid-19 nel Paese, sfruttando il potenziale di centri di ricerca universitari» e offrivano «i propri laboratori e il proprio personale senza costi aggiuntivi». L'idea, ha riferito Nature, fu discussa e poi respinta dal Cts, secondo il quale «i laboratori diagnostici erano più adatti di quelli degli istituti di ricerca, e avrebbero presto aumentato la loro capacità di risposta». Una tesi in sostanza errata, secondo la rivista, che a tal proposito ha dichiarato: «Quella rete era insufficiente, e ci sarebbero voluti mesi prima che i test riuscissero a stare al passo con l'epidemia. A marzo, in Italia si eseguivano circa 15.000 test del Covid-19 al giorno (attualmente se ne fanno circa 230.000). La scarsità di test ha finito per ostacolare gli sforzi volti a tracciare e contenere la diffusione del virus, specialmente in Lombardia e in Piemonte». Il secondo episodio citato si riferisce invece a quando il professor Andrea Crisanti inviò «al ministro della Salute un abbozzo di piano per elaborare fino a 400.000 test molecolari al giorno, un aumento pari a sette volte la capacità nazionale». Una proposta che - ha sostenuto Nature, verbali alla mano - il Cts non avrebbe nemmeno discusso. Da qui il giudizio negativo espresso sul comitato. «Una gamma ristretta di competenze all'interno del Cts», ha argomentato Nature, «potrebbe essere tra le ragioni di queste decisioni. Il comitato può contare su figure di livello mondiale in pneumologia, malattie infettive, gerontologia ed epidemiologia, ma è a corto di figure in aree critiche di competenza come diagnostica molecolare, virologia molecolare e high-throughput screening». «Soltanto due membri», ha aggiunto, «hanno una comprovata esperienza in biotecnologia, ma in campi non legati alle malattie infettive». Un giudizio severo, che non si ferma qui. «Il Cts», ha proseguito la rivista, «ha talvolta fornito indicazioni su tematiche su cui ha poca o nessuna competenza. A gennaio, ha affermato che proseguire con l'insegnamento a distanza avrebbe causato negli studenti 'un grave impatto sul [loro] apprendimento, la loro psicologia e la loro personalità'. L'affermazione ha avuto conseguenze sulle politiche nazionali, ma nessun membro del Cts ha esperienza in campo pedagogico, in psicologia dell'infanzia o in neuropsichiatria». In tutto questo, la rivista scientifica ha anche denunciato un esiguo numero di donne all'interno del comitato. Insomma, il Cts non ospiterebbe esperti di tutti i settori medico-scientifici interessati dalla gestione pandemica (contrariamente a quel che invece avverrebbe nello Uk Scientific Advisory Group for Emergencies e nell'Accademia Leopoldina). Il che non può non lasciare perplessi, visto il peso che quest'organo ha avuto nelle misure di contenimento, adottate nel corso dell'ultimo anno. Soprattutto a fronte di un governo - il Conte bis - che ha spesso e volentieri scaricato direttamente sul Cts la responsabilità delle proprie azioni. Tra l'altro, i verbali hanno mostrato come alcuni componenti dell'organo si siano macchiati di assenteismo: nelle 35 riunioni tenutesi tra il 20 luglio e il 20 novembre, Giuseppe Ruocco (uscito dal Cts a gennaio) ha collezionato 35 assenze, Elisabetta Dejana 28, Nausicaa Orlandi 20, Franco Locatelli 14. In tutto questo, alcuni componenti non brillerebbero neppure in termini di H-index (il punteggio attribuito sulla base di pubblicazioni e citazioni scientifiche). A fronte del punteggio notevole della Dejana (110), gli altri non sono altissimi. Alcuni, anzi, risultano piuttosto bassi. Per esempio, secondo il database Scopus, la Orlandi (che è molto giovane) sarebbe a 1, Mauro Dionisio (uscito dal Cts a gennaio) a 2, Alberto Zoli a 2, Fabio Ciciliano a 4, Kyriakoula Petropulacos a 6. È quindi forse anche in questo quadro che vanno inseriti i propositi di riforma del comitato da parte del nuovo governo. Negli scorsi giorni, è stato infatti reso noto che Mario Draghi vorrebbe ridimensionare l'organo e istituire un portavoce unico. L'obiettivo sembrerebbe essere quello di renderlo innanzitutto più efficiente, aiutarlo a curare la propria comunicazione e - magari - ridurre anche il peso dei tecnici rispetto all'era Conte. Gli esperti sono fondamentali per fornire consigli sulle strategie di azione. Ma è la politica che deve assumersi la responsabilità delle proprie scelte. È da qui che passa la differenza tra democrazia e tecnocrazia.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci
Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






