2021-01-20
Anche al Senato Forza Italia cede. Rossi e Causin soccorrono Giuseppi
Maria Rosaria Rossi (Ansa)
Dopo la delusione dell'ex governatrice laziale, pure l'ex assistente di Silvio Berlusconi dà una mano ai giallorossi. Antonio Tajani costretto a cacciarli dal partito. Idea, Cambiamo e Udc tengono. Paola Binetti rimane vaga sul futuro.Con il fiato sospeso fino all'ultimo. Il centrodestra vive la sera più lunga con la convinzione di avere indicato al Paese la via più saggia, quella delle elezioni. Lo ha gridato in Parlamento, lo ha spiegato nelle strade. La coalizione ha mostrato unità d'intenti durante questa crisi breve e lacerante. Ma nel momento decisivo tutta l'attenzione è su Forza Italia, componente fondamentale nella quale le forze centrifughe non sono un mistero. L'ultimo dribbling è quello di Maria Rosaria Rossi (amica di Francesca Pascale ai tempi di Menomale che Silvio c'è), che a sorpresa vota sì. Anche Andrea Causin finisce dall'altra parte. Per loro ci sarà l'espulsione. C'è chi si ferma ai numeri e chi guarda più avanti, alle trappole in commissione. Come sussurra un vecchio frequentatore del Transatlantico: «Oggi il governo decide solo quanti saranno i senatori ai quali pagare un prezzo». «Qui si vota la fiducia e io non mi fido». Il giorno del giudizio comincia presto, con una battuta di Matteo Richetti (calendiano di Azione) che riassume in estrema sintesi i tormenti dei partiti di centro sotto attacco telefonico dai pasdaran del premier prima della sfilata al Senato. Forza Italia teme smottamenti, Silvio Berlusconi ha imposto due vertici di coalizione al giorno per costringere i suoi a guardare negli occhi Antonio Tajani, garante della compattezza degli azzurri. «Più il tempo passa, più chi vuole essere rieletto si butta a destra», commenta il vicepresidente di Forza Italia. Che conferma: «Voteremo lo scostamento di bilancio e il decreto Ristori perché abbiamo a cuore il Paese. Cosa diversa è sostenere un governo di sinistra. Quando sono in difficoltà fanno sempre un appello ai liberali, ma non vedo tanto liberalismo nel governo. Si facciano un esame di coscienza. Leu non è propriamente un partito liberale o liberista». Mariastella Gelmini nel suo intervento dà un consiglio a Conte: «Lasci a Sergio Mattarella il compito di condurre la crisi, la formula che la sostiene è fallita». Anche Giorgia Meloni indica il Colle: «Siete sicuri che il presidente vi consenta di governare senza maggioranza assoluta dopo che nel 2018 si era rifiutato di dare l'incarico al centrodestra perché non aveva numeri certi?». Si nota una grande attenzione a tenere insieme il gruppo forzista, lo sgambetto di Renata Polverini alla Camera ha lasciato il segno. Il malessere montava da tempo e il giudizio delle voci di dentro è definitivo: «Ci ha sempre creato problemi, sai che perdita una fasciocomunista...». La Meloni archivia la pratica: «Non ha mai fatto una cosa di destra in dieci anni». Curioso destino per la transfuga che rischia l'immediato isolamento a sinistra: sui social gira la fotografia del suo saluto romano e a poco serve la precisazione che «era solo un fermo immagine». Dagospia lancia lo spiffero: dietro la scelta ci sarebbe una love story con Luca Lotti. Ma i due smentiscono. La conta in Forza Italia viene fatta e rifatta durante la giornata. A tenere i nomi sull'agenda con le due colonnine da partita doppia è Maurizio Gasparri: «I costruttori sono dei palazzinari, quelli che si credevano costruttori e facevano le casette abusive. Hanno fatto anche i soldi talvolta ma sono rimasti nella storia economica come un esempio negativo. Non credo che dal Quirinale si possano dare licenze edilizie a palazzinari». Non fa previsioni. Lui e l'altra vecchia volpe Roberto Calderoli hanno in tasca un numero, 155, sotto il quale sia Conte, Zingaretti e Mattarella rischiano lo showdown. È la soglia minima per galleggiare.Tutto dipende dagli azzurro-tenebra. I senatori a rischio smottamento erano la pugliese Anna Carmela Minuto, che a un certo punto smette di rispondere al telefono (la faccenda crea allarme), Laura Stabile e Barbara Masini (due parlamentari vicine a Mara Carfagna) e Andrea Causin che ha una storia di traversate da fare invidia a Giovanni Soldini: partì dal Pd, poi entrò nel Ppi, quindi seguì Mario Monti in Scelta civica, è approdato in Forza Italia e si teme che torni alla Itaca rossa. All'appello mancava anche Salvatore Sciascia, ma è malato. Masini ha smentito di essere «una volenterosa» per la terza volta in tre giorni, ma non basta.Idea e Cambiamo sono fedeli alla coalizione, Conte è stato deludente e Gaetano Quagliariello mette un punto fermo. «L'appello alle forze democratiche, liberali ed europeiste è troppo generico, mi ha riportato in mente l'utilizzo che si è fatto della categoria dell'antifascismo. Rimaniamo fermamente all'opposizione». Sembra strano, ma mentre si avvicinano la sera e il voto, pure l'Udc di Lorenzo Cesa offre garanzie di tenuta. Il blitz sui cattolici parrebbe fallito, lo conferma Antonio Saccone: «Votiamo no anche se il discorso del premier ha toccato corde a cui noi siamo sensibili, l'europeismo e il proporzionale». Sulla stessa linea Paola Binetti, blandita con la promessa del ministero della Famiglia. «Non faceva per me, da sinistra mi avrebbero massacrato a ogni uscita». Però la madre badessa tiene aperta la porta della sacrestia: «Il Paese ha bisogno di un partito di centro e Conte può essere una parte importante del progetto. Oggi è no, ma del doman non v'è certezza». Liquidi fino all'ultimo. Quando comincia la prima chiama tutti guardano ai socialisti di Riccardo Nencini: i dem con speranza, il centrodestra con il timore che la stampella arrivi proprio dagli ex alleati di Renzi. Alla fine, anche senza il supporto di Lorenzo il Magnifico, una certezza percorre l'opposizione. La esprime ancora Gasparri: «Luigi Di Maio da stamane diventa Di Maie». È il canotto di salvataggio, il gruppo degli italiani all'estero. Dove potrà sempre chiedere un pasto caldo.
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