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2022-08-26
Sempre più armi, zero diplomazia. Così alimentiamo la guerra lunga
(Ansa)
Sei mesi di guerra e a oggi non si intravvedono possibilità di negoziati che possano fermare gli scontri. Quello russo-ucraino è un conflitto del quale non si parla di fine ma neppure di riduzione dei combattimenti, mentre si discute all’infinito sulle sue conseguenze nella nostra vita quotidiana, bollette dell’energia in testa. I media occidentali parlano di quindicimila morti russi e quasi diecimila ucraini, oltre cinquemila i civili.
Scontro a oltranza
E mentre sembra che Putin non abbia alcuna intenzione di cambiare strategia, seguendo modalità tipiche russe, ovvero la guerra a oltranza e l’avanzata a qualsiasi costo, come accadde durante la Seconda guerra mondiale contro i nazisti, il presidente Zelensky pare dimenticare che senza l’aiuto diretto delle forze occidentali, forse nemmeno con una improvvisa caduta di Putin riuscirà mai a ricacciare le truppe di Mosca dove si trovavano prima del 24 febbraio. Ma questo significherebbe l’inizio di una nuova guerra mondiale. Di certo le forniture di missili a medio e lungo raggio fatte dagli Usa gli hanno permesso un cambio di strategia, mettendo Kiev in grado di colpire fino a molti chilometri nel territorio controllato dai russi. Ma se queste regioni facevano parte dell’Ucraina come della Crimea, a essere distrutto è comunque ciò che resta del Paese che Kiev vorrebbe ricostituire. E tutto ciò avviene mentre l’Ucraina resiste all’avanzamento russo grazie all’innesco di focolai di controffensiva nei territori occupati. Il presidente ucraino insiste sul fatto che la Russia oggi sia una minaccia per tutti, ma questo è vero nella misura in cui la Ue, e di fatto la Nato, hanno deciso di sostenerlo militarmente e di non avviare, almeno un anno fa, politiche di distensione.
La posizione atlantica
Sta per arrivare l’autunno, il terreno di battaglia si farà pesante e difficile e l’avanzata russa, già difficoltosa per la mancanza di rifornimenti e le carenze logistiche, potrebbe ulteriormente rallentare. Abbandonando ogni ipocrisia, sono le nazioni Nato che stanno permettendo a Kiev di resistere, ed anche il presidente turco Erdogan, l’unico interlocutore che ha sortito effetti positivi sbloccando il trasporto del grano, non perde occasione di vendere armi e mezzi militari all’Ucraina. Ed anche se nel Paese è stato ripreso persino il campionato di calcio, quasi a voler dimostrare che la situazione sia in qualche modo sotto controllo, le perdite da entrambe le parti sono di circa 70-90 uomini al giorno, almeno stando agli analisti militari. C’è un risvolto pericoloso del quale si parla poco ma che rappresenta una delle ragioni per le quali Mosca chiude alle iniziative diplomatiche. La Nato sta approfittando della situazione per occidentalizzare gli armamenti delle nazioni dell’Europa dell’Est appartenenti all’Alleanza. Non è un caso se c’è voluto un mese di trattative per riuscire a organizzare il sopralluogo dei tecnici nucleari presso l’impianto di Zaporizhzhya, e questo dimostra quale distanza e difficoltà di relazioni ci sia tra i belligeranti. Ogni altra proposta ventilata, dal referendum per il futuro della città di Kherson alla presenza dei caschi blu Onu, appare ancora troppo lontana. Non soltanto Zelensky sembra non accettare la realtà di perdere regioni come il Donbass, ma neppure pare prendere in considerazione quella possibilità per ottenere l’inizio di un colloquio di pace.
a lunga scadenza
Nelle ultime due settimane gli Usa hanno annunciato di voler fornire a Kiev armi per altri 2,98 miliardi di dollari, un record, una cifra che prevede anche l’addestramento delle forze ucraine per i prossimi cinque anni. A disposizione delle forze di Kiev arriveranno sistemi di difesa aerea Nasams, centinaia di migliaia di munizioni, decine di sistemi radar, droni e altri dispositivi offensivi. Ciò porta a quasi 16 miliardi di dollari il valore delle armi inviate da Washington in Ucraina dal 2014. L’ultimo episodio è ciò che viene definito «una partita di giro» per fornire nuovi carri armati a Kiev. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato che invierà a Kiev armi per 500 milioni di dollari, ma saranno consegnate a partire dal 2023. Ebbene, Berlino fornirà 15 carri Leopard 2-A4 alla Slovacchia in cambio dell’invio da parte di Bratislava di trenta veicoli da combattimento cingolati Bvp-1 di concezione sovietica all’Ucraina. Lo ha annunciato il ministero della Difesa tedesco specificando che si tratta proprio di uno dei «numerosi ring swap» in corso con i governi dell’Europa orientale dalla scorsa primavera. Per poter dare il via all’operazione, i funzionari della Difesa tedesca insieme ai colleghi slovacchi, hanno firmato un accordo il 23 agosto che approvava la consegna. L’idea non consente soltanto di fornire nuove armi all’Ucraina, ma anche di occidentalizzare le dotazioni della Difesa slovacca, come ha confermato alla stampa tedesca il ministro della Difesa di Bratislava, Jaroslav Nad. Con questa manovra il suo Paese potrà ridurre parte del divario tecnologico e aumentare la deterrenza nei confronti della sua frontiera Est, poco più di cento chilometri di confine con l’Ucraina.
Non è la prima volta che questo accade, mesi fa un altro «ring swap» portò all’arrivo in Slovacchia di batterie di missili Patriot per sostituire gli S-300 (di costruzione Urss) donati all’Ucraina. Il pacchetto di carri armati fornito dalla Germania include anche munizioni, addestramento dei militari e pezzi di ricambio, con i primi Leopard 2-A4 che dovrebbero arrivare in Slovacchia entro la fine dell’anno. «La Slovacchia consegnerà veicoli da combattimento di fanteria all’Ucraina il prima possibile», ha affermato alla stampa il ministro della Difesa tedesco Christine Lambrecht, osservando che i soldati ucraini hanno familiarità con l’utilizzo di quei veicoli. Parlare di pace innanzi a questi fatti è impossibile.
Alla fine pure Di Maio va da Zelensky
Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha ribadito la vicinanza dell’Italia all’Ucraina durante il suo incontro con il presidente Volodymyr Zelensky. «L’Italia non abbandonerà il popolo ucraino», ha affermato, aggiungendo però che è «fondamentale ricercare la via diplomatica per ritrovare la pace e difendere la democrazia». Il ministro si è recato in visita a Kiev e Irpin, sottolineando che «non potevamo ignorare il grido di dolore di un popolo coraggioso, che non ha rinunciato a difendersi e a difenderci». Di Maio ha parlato di un’Europa pienamente coinvolta, usando l’espressione «resistenza europea». Il ministro ha ricordato che «siamo stati tra i Paesi che hanno dato più aiuti alla resistenza ucraina, ma dobbiamo fare ancora di più». A proposito poi del riconoscimento all’Ucraina dello status di Paese candidato all’Ue, Di Maio ha parlato di «passo fondamentale di vicinanza e di incoraggiamento», sottolineando che la visita a Kiev del premier Mario Draghi lo scorso giugno è stata determinante in questa direzione. «Noi come governo italiano abbiano scelto di stare dalla parte del popolo ucraino e dalla parte di questo Stato sovrano, che ha tutto il diritto di difendere la sua sovranità e integrità. Nel difendere l’Europa non possiamo che incoraggiarli a continuare». Il ministro è stato ringraziato da Zelensky, che ha confermato che «l’Italia è uno dei principali Paesi che hanno sostenuto l’Ucraina, la nostra società, coloro che sono dovuti fuggire dal conflitto».
Sul campo, desta ancora grossa preoccupazione la questione della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Il ministero della Difesa russo ha denunciato almeno sette bombardamenti d’artiglieria delle forze ucraine sull’area. Secondo i russi proprio i bombardamenti avrebbero causato il distacco momentaneo dell’impianto dalla rete elettrica. La centrale è stata riconnessa alla rete, infatti, dopo un’interruzione della quale non si capivano le cause. «Il distacco è stato dovuto a pesanti bombardamenti ucraini», secondo le autorità municipali di Energodar, dove ha sede l’impianto. Il direttore generale dell’Aiea, Rafael Grossi, ha espresso la speranza che avvenga a «giorni» la visita dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica alla centrale e ha dichiarato, in merito ai colloqui per un accordo con i russi sull’accesso alla struttura, che la soluzione è molto vicina. Da parte sua, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha confermato che l’Onu è pronta a sostenere una missione condotta dall’Aiea alla centrale, ribadendo la preoccupazione per i combattimenti in corso nell’area. «Qualsiasi ulteriore escalation della situazione potrebbe portare all’autodistruzione», ha affermato Guterres.
È salito intanto a 25 il numero dei morti accertati dopo il bombardamento che ha colpito la stazione ferroviaria di Chaplyne, nella regione del Dnipropetrovsk fra Zaporizhzhia e Donetsk: due sono bambini. Come ha fatto sapere il vice capo dell’ufficio del presidente Volodymyr Zelensky, Kyrylo Tymoshenko, «un bambino di 11 anni è morto sotto le macerie dell’edificio, un altro di 6 anni è morto nell’incendio di un’auto vicino alla stazione ferroviaria». Il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che nell’attacco alla stazione sono stati colpiti obiettivi militari e che sono stati distrutti equipaggiamenti in viaggio verso la zona dei combattimenti, in Donbass. Il capo della diplomazia europea Borrell ha condannato l’attacco, avvertendo che «i responsabili del terrore missilistico russo dovranno renderne conto».
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Gli Usa daranno a Kiev materiale e addestramento per altri cinque anni. Da Berlino forniture per 500 milioni nel 2023. L’Occidente sta contribuendo alla creazione di un Afghanistan europeo, eternamente destabilizzato. Visita di Di Maio in Ucraina: «Non potevamo ignorare il vostro grido di dolore». Altri sette bombardamenti sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia.Lo speciale contiene due articoli.Sei mesi di guerra e a oggi non si intravvedono possibilità di negoziati che possano fermare gli scontri. Quello russo-ucraino è un conflitto del quale non si parla di fine ma neppure di riduzione dei combattimenti, mentre si discute all’infinito sulle sue conseguenze nella nostra vita quotidiana, bollette dell’energia in testa. I media occidentali parlano di quindicimila morti russi e quasi diecimila ucraini, oltre cinquemila i civili. Scontro a oltranzaE mentre sembra che Putin non abbia alcuna intenzione di cambiare strategia, seguendo modalità tipiche russe, ovvero la guerra a oltranza e l’avanzata a qualsiasi costo, come accadde durante la Seconda guerra mondiale contro i nazisti, il presidente Zelensky pare dimenticare che senza l’aiuto diretto delle forze occidentali, forse nemmeno con una improvvisa caduta di Putin riuscirà mai a ricacciare le truppe di Mosca dove si trovavano prima del 24 febbraio. Ma questo significherebbe l’inizio di una nuova guerra mondiale. Di certo le forniture di missili a medio e lungo raggio fatte dagli Usa gli hanno permesso un cambio di strategia, mettendo Kiev in grado di colpire fino a molti chilometri nel territorio controllato dai russi. Ma se queste regioni facevano parte dell’Ucraina come della Crimea, a essere distrutto è comunque ciò che resta del Paese che Kiev vorrebbe ricostituire. E tutto ciò avviene mentre l’Ucraina resiste all’avanzamento russo grazie all’innesco di focolai di controffensiva nei territori occupati. Il presidente ucraino insiste sul fatto che la Russia oggi sia una minaccia per tutti, ma questo è vero nella misura in cui la Ue, e di fatto la Nato, hanno deciso di sostenerlo militarmente e di non avviare, almeno un anno fa, politiche di distensione.La posizione atlanticaSta per arrivare l’autunno, il terreno di battaglia si farà pesante e difficile e l’avanzata russa, già difficoltosa per la mancanza di rifornimenti e le carenze logistiche, potrebbe ulteriormente rallentare. Abbandonando ogni ipocrisia, sono le nazioni Nato che stanno permettendo a Kiev di resistere, ed anche il presidente turco Erdogan, l’unico interlocutore che ha sortito effetti positivi sbloccando il trasporto del grano, non perde occasione di vendere armi e mezzi militari all’Ucraina. Ed anche se nel Paese è stato ripreso persino il campionato di calcio, quasi a voler dimostrare che la situazione sia in qualche modo sotto controllo, le perdite da entrambe le parti sono di circa 70-90 uomini al giorno, almeno stando agli analisti militari. C’è un risvolto pericoloso del quale si parla poco ma che rappresenta una delle ragioni per le quali Mosca chiude alle iniziative diplomatiche. La Nato sta approfittando della situazione per occidentalizzare gli armamenti delle nazioni dell’Europa dell’Est appartenenti all’Alleanza. Non è un caso se c’è voluto un mese di trattative per riuscire a organizzare il sopralluogo dei tecnici nucleari presso l’impianto di Zaporizhzhya, e questo dimostra quale distanza e difficoltà di relazioni ci sia tra i belligeranti. Ogni altra proposta ventilata, dal referendum per il futuro della città di Kherson alla presenza dei caschi blu Onu, appare ancora troppo lontana. Non soltanto Zelensky sembra non accettare la realtà di perdere regioni come il Donbass, ma neppure pare prendere in considerazione quella possibilità per ottenere l’inizio di un colloquio di pace. a lunga scadenzaNelle ultime due settimane gli Usa hanno annunciato di voler fornire a Kiev armi per altri 2,98 miliardi di dollari, un record, una cifra che prevede anche l’addestramento delle forze ucraine per i prossimi cinque anni. A disposizione delle forze di Kiev arriveranno sistemi di difesa aerea Nasams, centinaia di migliaia di munizioni, decine di sistemi radar, droni e altri dispositivi offensivi. Ciò porta a quasi 16 miliardi di dollari il valore delle armi inviate da Washington in Ucraina dal 2014. L’ultimo episodio è ciò che viene definito «una partita di giro» per fornire nuovi carri armati a Kiev. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato che invierà a Kiev armi per 500 milioni di dollari, ma saranno consegnate a partire dal 2023. Ebbene, Berlino fornirà 15 carri Leopard 2-A4 alla Slovacchia in cambio dell’invio da parte di Bratislava di trenta veicoli da combattimento cingolati Bvp-1 di concezione sovietica all’Ucraina. Lo ha annunciato il ministero della Difesa tedesco specificando che si tratta proprio di uno dei «numerosi ring swap» in corso con i governi dell’Europa orientale dalla scorsa primavera. Per poter dare il via all’operazione, i funzionari della Difesa tedesca insieme ai colleghi slovacchi, hanno firmato un accordo il 23 agosto che approvava la consegna. L’idea non consente soltanto di fornire nuove armi all’Ucraina, ma anche di occidentalizzare le dotazioni della Difesa slovacca, come ha confermato alla stampa tedesca il ministro della Difesa di Bratislava, Jaroslav Nad. Con questa manovra il suo Paese potrà ridurre parte del divario tecnologico e aumentare la deterrenza nei confronti della sua frontiera Est, poco più di cento chilometri di confine con l’Ucraina. Non è la prima volta che questo accade, mesi fa un altro «ring swap» portò all’arrivo in Slovacchia di batterie di missili Patriot per sostituire gli S-300 (di costruzione Urss) donati all’Ucraina. Il pacchetto di carri armati fornito dalla Germania include anche munizioni, addestramento dei militari e pezzi di ricambio, con i primi Leopard 2-A4 che dovrebbero arrivare in Slovacchia entro la fine dell’anno. «La Slovacchia consegnerà veicoli da combattimento di fanteria all’Ucraina il prima possibile», ha affermato alla stampa il ministro della Difesa tedesco Christine Lambrecht, osservando che i soldati ucraini hanno familiarità con l’utilizzo di quei veicoli. Parlare di pace innanzi a questi fatti è impossibile.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sempre-piu-armi-zero-diplomazia-cosi-alimentiamo-la-guerra-lunga-2657948565.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="alla-fine-pure-di-maio-va-da-zelensky" data-post-id="2657948565" data-published-at="1661519819" data-use-pagination="False"> Alla fine pure Di Maio va da Zelensky Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha ribadito la vicinanza dell’Italia all’Ucraina durante il suo incontro con il presidente Volodymyr Zelensky. «L’Italia non abbandonerà il popolo ucraino», ha affermato, aggiungendo però che è «fondamentale ricercare la via diplomatica per ritrovare la pace e difendere la democrazia». Il ministro si è recato in visita a Kiev e Irpin, sottolineando che «non potevamo ignorare il grido di dolore di un popolo coraggioso, che non ha rinunciato a difendersi e a difenderci». Di Maio ha parlato di un’Europa pienamente coinvolta, usando l’espressione «resistenza europea». Il ministro ha ricordato che «siamo stati tra i Paesi che hanno dato più aiuti alla resistenza ucraina, ma dobbiamo fare ancora di più». A proposito poi del riconoscimento all’Ucraina dello status di Paese candidato all’Ue, Di Maio ha parlato di «passo fondamentale di vicinanza e di incoraggiamento», sottolineando che la visita a Kiev del premier Mario Draghi lo scorso giugno è stata determinante in questa direzione. «Noi come governo italiano abbiano scelto di stare dalla parte del popolo ucraino e dalla parte di questo Stato sovrano, che ha tutto il diritto di difendere la sua sovranità e integrità. Nel difendere l’Europa non possiamo che incoraggiarli a continuare». Il ministro è stato ringraziato da Zelensky, che ha confermato che «l’Italia è uno dei principali Paesi che hanno sostenuto l’Ucraina, la nostra società, coloro che sono dovuti fuggire dal conflitto». Sul campo, desta ancora grossa preoccupazione la questione della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Il ministero della Difesa russo ha denunciato almeno sette bombardamenti d’artiglieria delle forze ucraine sull’area. Secondo i russi proprio i bombardamenti avrebbero causato il distacco momentaneo dell’impianto dalla rete elettrica. La centrale è stata riconnessa alla rete, infatti, dopo un’interruzione della quale non si capivano le cause. «Il distacco è stato dovuto a pesanti bombardamenti ucraini», secondo le autorità municipali di Energodar, dove ha sede l’impianto. Il direttore generale dell’Aiea, Rafael Grossi, ha espresso la speranza che avvenga a «giorni» la visita dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica alla centrale e ha dichiarato, in merito ai colloqui per un accordo con i russi sull’accesso alla struttura, che la soluzione è molto vicina. Da parte sua, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha confermato che l’Onu è pronta a sostenere una missione condotta dall’Aiea alla centrale, ribadendo la preoccupazione per i combattimenti in corso nell’area. «Qualsiasi ulteriore escalation della situazione potrebbe portare all’autodistruzione», ha affermato Guterres. È salito intanto a 25 il numero dei morti accertati dopo il bombardamento che ha colpito la stazione ferroviaria di Chaplyne, nella regione del Dnipropetrovsk fra Zaporizhzhia e Donetsk: due sono bambini. Come ha fatto sapere il vice capo dell’ufficio del presidente Volodymyr Zelensky, Kyrylo Tymoshenko, «un bambino di 11 anni è morto sotto le macerie dell’edificio, un altro di 6 anni è morto nell’incendio di un’auto vicino alla stazione ferroviaria». Il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che nell’attacco alla stazione sono stati colpiti obiettivi militari e che sono stati distrutti equipaggiamenti in viaggio verso la zona dei combattimenti, in Donbass. Il capo della diplomazia europea Borrell ha condannato l’attacco, avvertendo che «i responsabili del terrore missilistico russo dovranno renderne conto».
L’avvocato Fabrizio Gallo, difensore di Massimo Lovati, sostiene che l’inchiesta di Garlasco è segnata da errori gravi e irrisolti. Tra reperti non analizzati, scelte investigative discutibili e indizi sottovalutati, Gallo parla di una “vergogna giudiziaria” e chiede che si abbia il coraggio di ammettere gli sbagli.
Nicolò Zanon, ex presidente della Corte costituzionale (Imagoeconomica)
Nicolò Zanon, noto costituzionalista, oggi professore di diritto costituzionale alla Statale di Milano, con un passato da giudice e poi vicepresidente della Corte costituzionale, dal luglio 2010 al settembre 2014 è stato membro del Csm, su indicazione dell’allora Popolo della libertà. E in quegli anni ne ha viste e sentite di cotte e di crude. Ospite di Atreju, il professor Zanon ha raccontato alcuni aneddoti, risaputi, ma allo stesso tempo sconcertanti. Allora come oggi, al Csm era tutto lottizzato dalle correnti. I 20 giudici togati di Magistratura indipendente, Area, UniCost e Magistratura democratica si spartivano tutto. E per tutto si intende tutto, dagli autisti alle donne delle pulizie, fino ai tavoli della buvette dove pranzavano. I dieci membri laici eletti dal Parlamento dovevano solo rassegnarsi. «Il potere delle correnti era talmente forte da coinvolgere non solo i componenti togati, ma addirittura tutto l’ambiente di funzionari che lavoravano intorno a loro», spiega Zanon alla Verità.
Ad esempio, gli autisti che portavano i consiglieri da casa al Csm erano selezionati correntiziamente, ovvero, se tu eri l’autista di Magistratura democratica o di Area, quando cambiava la consiliatura, venivi assegnato ai nuovi componenti togati delle stesse correnti. «Era poi una prassi sedersi in plenum come se fosse un parlamentino», svela Zanon: «C’erano tutti quelli delle correnti da una parte e tutti i laici dall’altra. Su pressione del capo dello Stato e di un togato eletto come indipendente, Paolo Corder, si volle cercare di spezzare questa consuetudine e iniziammo a sederci in ordine decrescente per età. Quando non c’era Napolitano, al posto del presidente sedeva il più anziano e poi, a scorrere, i più giovani. Quando c’erano delle discussioni non previste che non avevano potuto concertare prima, diventava una baraonda, si telefonavano e si consultavano con il capogruppo. Un plenum disfunzionale e disordinato».
Zanon, che si occupava di ordinamento giudiziario, ammette che «in un ambiente così non era facile lavorare. Era complicato operare in maniera indipendente, bisognava volerlo fare e per riuscirci si doveva sgomitare. Il laico era sempre in minoranza, per contare di più dovevamo essere tutti insieme ma raramente accadeva ed è chiaro che con due terzi contro un terzo la partita era difficile in partenza, vincevano sempre loro. Ogni magistrato dovrebbe essere indipendente dagli altri e ragionare con la propria testa, avere una propria autonomia; invece, lì si sentiva forte il peso delle decisioni di gruppo. All’epoca l’alleanza era tra Area e UniCost».
In particolare, Zanon riferisce di un episodio del 2011 che lo scosse particolarmente «tanto che la pressione mi salì a 190 e da allora iniziai a soffrirne». Un caso emblematico. «Ci venne assegnata la pratica per un fuori ruolo. Era una magistrata che doveva essere assegnata alla Corte internazionale ma non era gradita alle correnti. Scrissi di mio pugno una relazione favorevole. Uno dei magistrati segretari scrisse a sua volta una relazione contraria. Cosa che di solito non succedeva mai. Mi sembrò una pratica scorretta e protestai in plenum. Ci fu una specie di rivolta dei magistrati segretari. Anziché valutare individualmente i casi, i magistrati seguivano gli input della corrente del proprio gruppo. Adesso c’è un concorso, ma allora i magistrati segretari venivano scelti dalle correnti ed erano alle loro dipendenze. E i laici erano nelle mani di questi magistrati».
Nemmeno per pranzare si era indipendenti. «In cima a Palazzo dei Marescialli c’è una terrazza molto bella», racconta Zanon, «dove è stata ricavata una buvette. Lì le correnti andavano a pranzo. Ne avevano diritto solo i togati, non noi laici che invece andavamo al ristorante, pagandocelo». E anche i tavoli della buvette erano lottizzati. «I tavoli più belli, che davano sulla piazza, erano quelli di Magistratura democratica e di Area, quello di UniCost era meno prestigioso. Quello di Magistratura indipendente, in minoranza, non aveva vista sull’esterno. Il clima era questo». Persino le donne delle pulizie erano divise in correnti. «Venivano assoldate dalle correnti per fare la spesa ai magistrati», rivela divertito Zanon, «e portavano il cibo in buvette per i togati così non avevano bisogno di andare al ristorante». Anche se guadagnavano 12.000 euro al mese.
Ecco perché il referendum sulla separazione delle carriere è così importante. «Questo è il Csm che questa riforma cerca di svellere», chiosa Zanon, «con la scelta del sorteggio dei togati molto contestata e temuta dalle correnti perché così perderebbero il loro potere».
Alla faccia della indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello Stato.
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(Totaleu)
Lo ha detto l'eurodeputato di Fratelli d'Italia riguardo il traffico di stupefacenti durante la sessione plenaria di Strasburgo.