Se va come vuole l’Ue l’Italia sarà costretta a importare energia dagli Stati dell’Unione
In Europa c’è abbondanza di spazio per accogliere tutte le rinnovabili che servono, dice l’ennesima Ong green ben finanziata e con stretti legami con la Commissione europea. Nessuna preoccupazione, pannelli solari e pale eoliche occupano spazio, ma questo vi è a sufficienza. Tranne che in Italia e in Germania, per la verità, che non troverebbero abbastanza posto (per l’eolico su terra).
Dopo le polemiche, ancora vivaci, in Italia sul decreto del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che limita il fotovoltaico nelle aree agricole, arriva un report dell’European Environmental Bureau, secondo cui le esigenze di energia solare ed eolica onshore dell’Ue possono essere soddisfatte senza compromettere la produzione alimentare o gli sforzi di protezione della natura. Anche escludendo i terreni agricoli produttivi e le aree ad alta biodiversità, resta molto spazio in Europa per l’energia eolica e solare, dice Eeb. Nel rapporto («Land For Renewables«) le eccezioni sono rappresentate da Germania e Italia, Paesi nei quali non ci sarebbe spazio sufficiente per gli impianti eolici necessari a raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica al 2040.
L’uso del suolo per l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile è diventato un tema caldo solo recentemente, anche se era sin dall’inizio della riconversione green uno dei tanti problemi notevoli. A un certo punto sembra porsi una scelta tra produzione alimentare e produzione di energia. Non è così, in realtà, nella maggior parte dei casi (almeno non ancora, per fortuna). Ma la Eeb, organizzazione non governativa finanziata dal solito network green e ovviamente con sede a Bruxelles, si è preoccupata di andare a verificare quanta superficie del territorio europeo è necessario occupare per installare tutta la potenza elettrica fotovoltaica ed eolica che serve a raggiungere gli «ambiziosi» obiettivi di neutralità climatica al 2040.
A livello complessivo europeo, a fronte della disponibilità di un 5,2% di territorio adatto alle installazioni di fotovoltaico ed eolico, la necessità sarebbe pari al 2,2% del territorio. Diversa è la situazione Paese per Paese. In Italia, il 56,4% del territorio è costituito da superfici agricole e un 19% circa è area protetta, con l’8,79% di aree edificate.
L’Italia, nello scenario a zero emissioni al 2040, dovrebbe installare 228.000 MW di potenza fotovoltaica e 39.000 MW di potenza eolica. Queste due tecnologie, secondo il rapporto, forniranno il 68% della produzione elettrica italiana a quella data (il 41% dei consumi energetici totali). Per ospitare queste capacità produttive, Eeb stima che sia necessario il 2,7% del territorio.
L’Ue, però, ha calcolato che lo 0,91% del territorio italiano è adatto per pannelli solari a terra, lo 0,46% è adatto alle pale eoliche e lo 0,25% per pannelli solari sui tetti. In totale, si tratta dell’1,62% del territorio. Per cui, non c’è abbastanza spazio per installare quanto servirebbe. Chiariamo subito, però, che il problema non riguarda i pannelli solari, che invece avrebbero spazio in sovrabbondanza. Il problema riguarda l’eolico, poiché a fronte di solo lo 0,46% di territorio adatto servirebbe l’1,32% della superficie. Del resto, come è noto, il nostro è un Paese in cui il vento costante necessario è limitato a poche zone già sfruttate o in procinto di esserlo.
Ne risulta che, al pari della Germania, l’Italia per raggiungere i suoi obiettivi di emissioni zero al 2040 avrebbe bisogno di una «super rete europea interconnessa» (sic) per ottenere l’energia da altri Paesi in surplus (come per esempio la Spagna), «consentendo solidarietà e riduzione dello spreco di energia». Cioè l’Italia dovrebbe comunque importare energia, analogamente a quanto sta facendo ora.
Difficile dare un giudizio serio su queste affermazioni. Il rapporto, peraltro, contiene alcuni caveat non da poco.
Il primo è che il fabbisogno di fonti rinnovabili è calcolato anche tenendo conto di uno stop totale all’energia nucleare, il che non ha completamente senso, visto che se c’è una tecnologia a basse emissioni (praticamente nulle) è proprio il nucleare. Il secondo aspetto, non molto in evidenza nel rapporto, è che gli obiettivi di capacità produttiva a fonti rinnovabili sono legati ad ipotesi di consumi energetici di un certo tipo. Quali? Quelli indicati dall’Accordo di Parigi del 2015, che fanno riferimento ad una riduzione dei consumi energetici indotta da «cambiamenti comportamentali», tra cui la riduzione dei viaggi aerei, un calo della domanda di energia superiore agli attuali obiettivi dell’Ue, un calo nel consumo della carne.
Lo studio ignora altresì il problema della sovrapposizione tra necessità di biomassa, biocarburanti, agricoltura, rinnovabili, protezione della natura. Anche l’Agenzia europea per l’ambiente, in un rapporto dello scorso anno, non è riuscita a risolvere questa complicatissima equazione.
Insomma, siamo alle solite e a dirlo è una Ong di Bruxelles: per stare in piedi, il green ha bisogno di un calo dei consumi. Non si sta parlando di efficienza (che comunque è poco meno di una illusione), ma di vera e propria decrescita.




