2025-10-13
«La Cechia rafforza l’asse dei patrioti»
Ondrej Knotek, il capodelegazione a Bruxelles del partito sovranista che ha da poco vinto le elezioni: «Combatteremo l’agenda green. No al gender e ai migranti. Sulla guerra in Ucraina serve pragmatismo. Kiev non può entrare nella Ue».Ondrej Knotek, è il momento giusto per parlare?«Possiamo procedere».Lei è capo delegazione del partito Ano 2011 al Parlamento europeo. Iscritto nel gruppo Patriots for Eu con sette europarlamentari. L’anno scorso avete preso il 26% alle elezioni europee. Ed alle ultime elezioni politiche nella Repubblica Ceca il 42%. Un suo commento… ma non troppo trionfalistico.«A lungo i sondaggi ci hanno dato vincenti. Era molto probabile che saremmo stati i primi. Ma non ci aspettavamo un risultato così buono».La geografia del nuovo Parlamento sembra questa. Mi corregga se sbaglio. Voi con 80 membri. Poi Spolu (destra conservatrice con Ecr in Europa) con 52 seggi. E fino a ieri esprimevano il primo ministro Fiala, amico di Giorgia Meloni. Poi «Sindaci e Indipendenti» con 22 seggi. Quindi i Pirati con 18 seggi. Poi Spd - che a dispetto del nome sono turbo sovranisti e stanno a Bruxelles con AfD - con 15 seggi. Infine, i «motoristi» con 13 seggi. Avete l’imbarazzo della scelta. Il Parlamento è pieno di partiti di destra. Con chi vi alleerete?«Esatto. 200 membri. Ne servono almeno 101 per avere una maggioranza. Però sarebbe fragile. Il numero raccomandato è di almeno 104. Ma devo correggerla sulla sua analisi. Spolu è composta da tre partiti. Uno di essi è conservatore, ma non troppo. E gli altri due partiti della coalizione sono molto più liberali o verdi. Progressisti e addirittura federalisti. Già quattro anni fa si sono candidati contro di noi. Molto improbabile che governeremo con qualcuno di loro. “Sindaci e Indipendenti” sono davvero liberali, progressisti e federalisti. I Pirati stanno coi verdi. L’opzione più probabile per noi è negoziare il governo insieme ai "motoristi". Entrambi stiamo in Patriots for Europe. Poi Spd, partito della democrazia diretta. Dal punto di vista di Bruxelles, il futuro governo ceco molto probabilmente si baserà su partiti che rappresentano Esn e Patriots. E ne sarei felice».Maggioranza solida?«Matematicamente si. 108 seggi. Politicamente condividiamo obiettivi comuni coi "motoristi". Stiamo già definendo i dettagli. Per la prima volta in Parlamento. I due partiti con cui potremmo allearci sono alla prima esperienza di governo. Supereremo eventuali difficoltà iniziali perché abbiamo ricevuto insieme un mandato molto forte dai cittadini. Dobbiamo agire senza discussioni».La sinistra nella Repubblica Ceca non esiste. Perché? (Knotek riflette sempre qualche secondo prima di rispondere. E non solo a questa domanda, ndr)«Se si considera solo questa tipica divisione di destra e sinistra, le do ragione. Ma questo modello non esiste più. È 2D. Serve ragionare in 3D. La coalizione nata sulle ceneri Partito comunista ceco ha preso il 4,56% e non ha superato lo sbarramento. Elettori di sinistra ce ne sono. Ano è un partito "pigliatutto". Siamo come in un’azienda e vogliamo gestire lo Stato come un’azienda lavorando per tutti. Abbiamo elettori che vivono in città, dipendenti pubblici, piccoli imprenditori e uomini d’affari. Siamo abituati a questa idea di partito dal 2013».A proposito di uomini di affari, il vostro leader Babis lo è. Sarà premier?«Ne sarei felice. Tocca al presidente della Repubblica nominarlo. È il nostro unico candidato»La storia di Ano è curiosa. Eravate coi liberaldemocratici assieme a Macron. Ora siete euroscettici? Se non addirittura eurocritici?«Ano nasce nel 2012. Nel 2013, siamo entrati in Parlamento. Siamo diventati un partito di governo. Babis ministro delle Finanze. L’anno successivo, nel 2014, ci sono state le prime elezioni europee. Siamo entrati nell’Alleanza dei liberali e dei democratici per l’Europa. Uno dei nostri candidati leader - Telicka, ex commissario Ue e molto liberale - ci ha praticamente fatti entrare a Bruxelles. In economia siamo liberali. Ci piace il libero commercio. Ci piace l’Europa come mercato interno. Ma quando si parla di Green deal, immigrazione e identità nazionale noi non siamo federalisti. Come partito "pigliatutto", abbiamo attratto candidati molto liberali come la Charanzová…».Bella donna peraltro!«Vicepresidente del Parlamento. Non siamo euro federalisti. Neppure euroscettici, se permette. Vogliamo un’Ue diversa. Al servizio delle persone. Che funzioni. Quindi non Ursula von der Leyen. Un’Ue che rispetti l’identità delle nazioni e degli Stati membri. Fondamentalmente, siamo più pro europei di questi partiti liberali o centristi come il Ppe. Loro stanno danneggiando l’Europa. Vogliamo riparare l’Europa. Vogliamo ricostruirla sul buon senso. Non vogliamo insegnare agli studenti e ai bambini che ci sono più di due sessi. Ci sono sempre solo uomini e donne ai nostri occhi. Questo è stato il motivo per cui ci siamo resi conto negli ultimi anni che non vogliamo far parte di un gruppo liberale. I gruppi liberali stanno danneggiando l’Europa. Questo è il motivo per cui Babis ed Orbán dialogano con Fico (premier slovacco, ndr). Vogliamo evitare che l’Europa o alcuni dei suoi Stati membri, specialmente nell’Europa occidentale e meridionale, diventino un califfato (rido, ndr). Sono serio. Perché ride?»Certo. Presumo che l’adozione della moneta unica non sia in agenda. Al contrario di quanto avvenuto in Slovacchia.«Abbiamo chiaramente promesso che non passeremo all’euro. Siamo orgogliosi delle nostre corone. Forse alcune aziende preferirebbero l’euro. Naturalmente, entrambe le opzioni hanno vantaggi e svantaggi. Ma la corona ceca è alla base del nostro Stato, della nostra identità, della nostra nazione. Durante la crisi energetica la corona ceca si è rafforzata rispetto al dollaro. È stato un utile presidio contro l’inflazione causata dall’incompetenza di chi ci ha preceduto. Con l’euro saremmo stati peggio».Che relazione avete coi cugini slovacchi, con cui una volta eravate Cecoslovacchia?«Sono nato in Cecoslovacchia nel 1984. La Slovacchia è una seconda casa. Ci capiamo. Non abbiamo bisogno di traduzione o interpreti se ci parliamo. Il governo uscente non stava andando nella giusta direzione. Fiala ha preso le relazioni con Fico in ostaggio per farne argomento di politica interna. I rapporti con Bratislava erano freddi e formali. Vogliamo riavviare il programma di riavvicinamento interrotto. È abitudine comune che il presidente e il primo ministro della Repubblica Ceca facciano la prima visita in Slovacchia una volta eletti. Lo stesso loro. Questo dice tutto».La convivenza fra vicini di casa nell’Europa dell’Est non è semplice. Non è un mistero che Polonia ed Ungheria non siano in sintonia in merito ai rapporti con la Russia. Voi con chi andate d’accordo? E con chi no, invece?«Crediamo nell’accordo di Visegrad. Crediamo nell’Iniziativa dei Tre Mari. I quattro Paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia) hanno insieme 60 milioni di cittadini. E abbiamo dimostrato con la nostra cooperazione che possiamo bloccare l’immigrazione incontrollata. Possono esserci disaccordi. La Polonia ha i suoi motivi per diffidare dell’Unione Sovietica ieri, e della Russia oggi. L’Ungheria si trova in una situazione di dipendenza dal carburante e dall’energia russa, a causa della rete infrastrutturale. Ma a parte questo siamo d’accordo su tante cose. Insieme possiamo combattere la malattia dell’agenda liberale presente specialmente nell’Europa occidentale, settentrionale o meridionale. Niente Green deal. Niente immigrazione. Meno Ursula von der Leyen. Meno Bruxelles. Meno Europa».Meno Europa, chiaro…«Meno Europa significa meno burocrazia e meno sovrastato federale. Mentre invece vogliamo più Europa intesa come comunità di nazioni libere che cooperano e commerciano fra loro».Sembra si stia facendo la pace a Gaza. Qual è la vostra posizione? Trump avrebbe meritato il Premio Nobel che desiderava tanto?«Non sono in grado di dire se avrebbe meritato il Premio Nobel, ma rispetto il risultato che ha ottenuto. Ano sostiene pienamente i Repubblicani. Abbiamo persino visitato gli Stati Uniti durante la campagna elettorale. Eravamo presenti all’inaugurazione della presidenza di Donald Trump. Sosteniamo la sua politica estera. La nazione ceca è nota per sostenere molto Israele. Nonostante non ci piaccia una visione del mondo in bianco e nero, Israele richiede e ha bisogno del nostro sostegno. Israele incarna la tradizione giudaica che assieme a quella cristiana sono le radici dell’Europa. Se rinunciamo a questi valori finisce la nostra civiltà. Per questo siamo Patriots for Europe. Vogliamo difendere il nostro stile di vita. Non vivere come i musulmani. Giù le loro mani da Israele e dall’Europa».La pace in Ucraina invece è ancora lontana. Avete proposte in proposito su come raggiungere la pace?«Sostenere Donald Trump. Motivarlo a fare la pace. Al di là delle opinioni è l’unico che ci ha provato. Forse era troppo ottimista. Ma dobbiamo rinunciare all’ideologia. Essere pragmatici. Sedersi intorno al tavolo. Insomma, fare l’esatto opposto di quello che vorrebbe fare Ursula von der Leyen»L’Ucraina dovrebbe far parte dell’Unione europea?«No! (qui non si prende la solita pausa di riflessione, ndr)»Chiaro!«L’Ue non è pronta ad accettare l’Ucraina. Chi vuole l’Ucraina in Europa vuole che si passi dall’unanimità alla maggioranza qualificata. Un politico francese liberale mi disse: “Non possiamo permetterci che qualcuno dell’Europa dell’Est blocchi la Francia”. Noi invece vogliamo mantenere il diritto di veto. Capisce?».Sì. «Le do un titolo. Se Francia e Germania decidono che un altro Stato deve saltare, sa cosa risponderebbe la Commissione Ue?».No.«Quanto in alto?».Cosa pensa della mancata revoca dell’immunità parlamentare ad Ilaria Salis?«Per un eurodeputato. Un eurodeputato in più con cervello non era presente. Rispetto il risultato ma la reazione successiva dell’attivista e di tutta la comitiva "woke" di sinistra ci ha solo mostrato quanto siano disperati».
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
Continua a leggereRiduci