2021-01-02
Se sono in ballo gli affari con la Cina l’Europa si scorda dei diritti umani
Ursula von der Leyen (Ansa)
La linea dura usata con Polonia e Ungheria non vale per l'ultimo accordo con Pechino.È un evidente cortocircuito quello che si accompagna al recente accordo sugli investimenti, raggiunto da Unione europea e Cina. L'intesa - fortemente caldeggiata dalla Cancelliera tedesca, Angela Merkel - prevede un maggiore accesso per le aziende europee al mercato cinese, soprattutto in alcuni settori (dalle automobili alle telecomunicazioni). Pechino, dal canto suo, rafforza la possibilità di investire nel comparto tecnologico e in quello energetico, trovando inoltre nell'Ue una sponda geopolitica per far fronte alle turbolenze in corso con Washington. Non a caso, la Repubblica popolare ha fatto il possibile affinché i negoziati non naufragassero all'ultimo momento. Una linea adottata sul fronte europeo dalla Merkel, che ha di fatto messo all'angolo quegli Stati che si sono «azzardati» a esprimere dei dubbi. La ragione di questa condotta è presto detta. In primis, non va trascurato che le imprese tedesche abbiano investito pesantemente in Cina, soprattutto nel settore automobilistico. In secondo luogo, la Cancelliera si sta allontanando (non certo da oggi) sempre più dall'orbita statunitense. Non sarà un caso che questo accordo non sia stato digerito né dal vice consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, Matt Pottinger, né dal consigliere per la sicurezza nazionale di Joe Biden, Jake Sullivan. Insomma, Trump e Biden (che sono divisi su tutto) sembrano aver trovato un punto di convergenza proprio su una comune critica all'intesa tra Bruxelles e Pechino. Tra l'altro, un fattore spinoso resta quello dei diritti umani. È pur vero che la Cina si sia impegnata a rispettare due convenzioni dell'Organizzazione mondiale del lavoro sul contrasto al lavoro forzato. Ma è anche vero che si tratti di una promessa molto generica, sulla cui sincerità qualche dubbio onestamente viene. In tal senso, il vicepresidente della commissione Esteri alla Camera, il leghista Paolo Formentini, ha dichiarato alla Verità: «Pur comprendendo le esigenze del commercio, non dovremmo rinunciare alla difesa dei diritti umani e all'essenza stessa dell'Occidente. Non possiamo trascurare libertà individuali e democrazia nel nome di presunti benefici economici. Non possiamo non ricordare ciò che sta accadendo a Hong Kong e nello Xinjiang». Ed è qui che veniamo al cortocircuito di un'Unione europea che sembra prefiggersi di tutelare i diritti umani a fasi alterne. Da una parte, Bruxelles fa la voce grossa contro Polonia e Ungheria, parlando di salvaguardia dello stato di diritto, non rinunciando a comminare sanzioni alla Russia a causa della crisi ucraina. Dall'altra parte, non esita tuttavia a stringere intese commerciali con la Cina: una nazione retta da un partito comunista che certo non brilla per assicurare alcun tipo di garanzia democratica. Anziché in nome dei «valori», l'Ue agisce quindi sulla base dell'interesse nazionale dello Stato più forte: la Germania. Uno Stato che riesce a imporre la propria linea a tutti gli altri: e pazienza se questo implica spostare l'intera geopolitica europea alla mercé del Dragone e comporta un sostanziale disinteresse per i diritti umani. È la realpolitik merkeliana che comanda. Con buona pace di chi, magari da un alto scranno dell'Europarlamento, continua a raccontarci la favola del «nazionalismo distruttivo». Perché è proprio all'interesse nazionale dei più forti che oggi le istituzioni europee sono piegate. Ma il problema non sono gli Stati che tutelano il proprio interesse. Il problema sono semmai quelli che si lasciano scavalcare senza batter ciglio. Ogni riferimento all'Italia (non) è puramente casuale.
Jose Mourinho (Getty Images)