2019-06-24
Se questa è integrazione
Delle donne straniere residenti nel nostro Paese, almeno tre su dieci subiscono maltrattamenti da fratelli e padri di fede musulmana. Chi le costringe a restarsene barricate dentro casa, chi le rispedisce con la forza in patria, oppure le picchia soltanto perché vorrebbero emanciparsi un po'. È violenza di genere ma le femministe restano in silenzio.«Padre marocchino tenta di dare fuoco a sua figlia gettandole benzina addosso». «Nepalese pesta a sangue la moglie con la bimba di pochi mesi in braccio. Interrogato dal giudice dichiara: Non sapevo che in Italia la moglie non si può picchiare». «Quarantaduenne indiano, arrabbiato per la mancanza di un figlio maschio, per mesi ha riempito di botte la donna e le figlie minacciandole di morte con i coltelli da cucina». Mentre facciamo il tifo per le Azzurre impegnate nei mondiali di Francia 2019, mentre celebriamo finalmente l'attenzione mediatica dedicata al calcio femminile come un traguardo culturale nella parità tra i generi, arriva la cronaca a ricordarci quello che, in Italia, accade troppo spesso tra le mura domestiche delle famiglie immigrate. Fatti che rimangono privati, anche se accadono sotto gli occhi di tutti, quasi tollerati in nome della «differenza culturale». Gli episodi riportati sono accaduti a Treviso, Padova e Verona, solo nelle ultime settimane. Ma l'elenco delle umiliazioni e dei soprusi subiti dalle donne e dalle giovani straniere, in nome di un radicalismo culturale e religioso, quasi sempre di matrice islamica, è sterminato.Le donne straniere presenti in Italia sono circa 2,6 milioni e rappresentano l'8,6% della popolazione femminile. Di queste però soltanto il 42% è di origine extracomunitaria, mentre le altre provengono da Paesi europei. Quelle che hanno subito violenza fisica o sessuale sono il 31,3% e nella stragrande maggioranza si tratta di violenze consumate in famiglia. Il fenomeno è poco monitorato: i dati ufficiali si fermano al 2014 e con ogni probabilità non sono che la punta dell'iceberg. Solo il 17% infatti denuncia gli abusi. A perpetrare mesi e a volte anni di maltrattamenti, costrizioni e abusi sono quasi sempre mariti, padri e fratelli che agiscono in nome dei principi dell'islam, che vieta la «promiscuità» con la «corruzione» dei costumi occidentali. Le mogli, come le figlie, sono considerate proprietà privata e la galleria degli orrori è ricca di drammi. Si va dalle segregate in casa, come la moglie di un marocchino di Udine, condannato pochi giorni fa a 3 anni e 8 mesi per aver tenuto per due decenni la donna sotto chiave, alle ragazzine come Fatima, che, a Bologna, è stata punita dai genitori che le hanno rasato a zero i capelli, perché rifiutava di portare il velo. E ancora, dalle giovani rapite e riportate in patria perché disobbedienti, come la giovane pachistana di Brescia portata nel Paese mediorientale con la forza per farla abortire, fino alle vittime della furia dei padri padroni, come Sana Chema e Hina Saleem, massacrate da chi le aveva messe al mondo. «Le donne immigrate che vivono in Italia non ricevono adeguate informazioni sugli strumenti predisposti dalla legge in caso di violenza o, in generale, in merito alla tutela dei diritti fondamentali assicurata loro sul territorio italiano», spiega nelle sue relazioni l'associazione Differenza donna. «Questo distorce la percezione che esse stesse hanno dei propri diritti e delle proprie possibilità». Inoltre, essendo arrivate in Italia quasi sempre con ricongiungimento familiare, le immigrate sono ricattabili. «Hanno un titolo di soggiorno dipendente da quello del familiare a cui si sono ricongiunte», ma di frequente «il permesso di soggiorno e il passaporto vengono sottratti dall'uomo maltrattante», oppure alla scadenza «non vengono rinnovati dal marito». Le disposizioni in materia di permesso di soggiorno per motivi familiari stabiliscono che se viene meno la convivenza il familiare ricongiunto perde il permesso di soggiornare. Anche per questo le donne vengono spesso ricattate dai loro persecutori. In realtà il modo per uscire dall'incubo esiste. La legge 119 del 2013 prevede un permesso di soggiorno speciale anche per soggetti che ne sono privi o sono arrivati con ricongiungimento familiare, quando siano accertate «situazioni di violenza o abuso commesse sul territorio nazionale nell'ambito di violenza domestica». Per ottenerlo è però necessario che la donna maltrattata denunci. E questo avviene di rado. La recente commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio ha segnalato che dal 2013 sono stati solo 111 i titoli di soggiorno richiesti con questa formula. Evidentemente si tratta di un «istituto pressoché sconosciuto, non di rado agli stessi operatori del diritto non specializzati».E poi c'è la scuola. Un altro misuratore indiscutibile dell'azione discriminatoria che le famiglie immigrate applicano sulle donne, in questo caso sulle giovani di seconda generazione. Tra le giovani straniere, tra i 15 e i 29 anni, la percentuale delle ragazze che lasciano la scuola è del 44,3%, con un picco del 52,3% nel Mezzogiorno. Le giovani che abbandonano il percorso scolastico, inoltre, non vengono reintegrate in altri ambiti e la maggior parte di loro non lavora, né cerca lavoro. In particolare, il fenomeno dell'inattività giovanile riguarda le giovani originarie di Pakistan, Egitto e Bangladesh ma, secondo i dati, il fenomeno tocca pesantemente anche la comunità più numerosa in Italia, quella marocchina, con il 67,8 % delle ragazze inattive nella stessa fascia di età. «Ci sono famiglie che tolgono le ragazzine da scuola appena dopo i 10 anni», ricorda Souad Sbai, deputata e giornalista di origine marocchina. «Ed è un pericolo grande per l'Italia, perché l'integrazione passa soprattutto dalla scuola». Fino ad ora abbiamo «evitato il problema delle seconde generazioni radicalizzate solo perché, nel nostro Paese, l'immigrazione è più recente e i figli di immigrati, oggi, sono ancora piccoli». La questione. a chi dovrebbe tutelare l'infanzia. è ben nota. Nella recente relazione dell'Autorità garante per l'infanzia, il focus sulla condizione delle giovani immigrate parla chiaro: «La matrice tradizionalista delle famiglie emerge in maniera più forte in relazione alle figlie femmine. Le ragazze hanno spesso come dovere prevalente la cura della casa e l'accudimento di eventuali fratelli minori e questa funzione, anche se non imposta, è percepita dalla ragazza come atto dovuto». Esse inoltre «ricevono un trattamento diverso dai maschi, sono considerate le più esposte al rischio di trasgredire le norme dell'educazione e sono le principali destinatarie di atteggiamenti ritorsivi e violenti, come la violenza fisica e verbale e i maltrattamenti». Questa condizione non incide solo gravemente sulla loro quotidianità, sul loro futuro e sul livello di integrazione, ma anche sulla salute. «Le ragazze rappresentano un potenziale di criticità sul versante sociosanitario, in quanto non depositarie di cultura di prevenzione e contraccezione», si legge ancora nella relazione. «Ben l'80% delle adolescenti d'origine straniera non è mai andato dal ginecologo, contro il 30% delle loro coetanee» e «le interruzioni volontarie di gravidanza risultano molto più elevate nelle ragazze minorenni di origine straniera a cui si associa basso livello di istruzione, in quanto la conoscenza dei più comuni strumenti di contraccezione è bassa o inesistente». A infierire sulle giovani immigrate però, non sono solo gli uomini di casa. Spesso anche da parte delle madri l'atteggiamento è complice, quando non addirittura colpevole. Lo scorso marzo un'immigrata di 51 anni è stata arrestata a Milano con le accuse di maltrattamenti aggravati in famiglia e favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Aveva trasformato le figlie in due schiave: una veniva regolarmente frustata, l'altra costretta a prostituirsi nei night della città. I soldi che portava a casa servivano alla donna, già nota alle forze dell'ordine, per giocare alle slot machine.
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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