
Dopo l’approvazione a settembre del taglio dei parlamentari partirà la richiesta di referendum. Tra i tempi di convocazione e quelli di celebrazione, si arriverebbe almeno a marzo. Col rischio di forche caudine estive...L’ennesima giornata di passione che si è chiusa ieri sera a Sabaudia si spiega con un dettaglio apparentemente tecnico che riguarda il calendario istituzionale, ma che è gravido di conseguenze sulla politica italiana e sul governo gialloblù. Questi tempi spiegano un retroscena che rivela come la fantomatica «finestra» elettorale del voto anticipato esista davvero, e come quella di questi giorni sia l’ultima possibilità di affacciarsi per chiunque fosse tentato (vedi Matteo Salvini) dallo sfruttarla. Il percorso che porta a questa eventualità è complesso come un percorso ad ostacoli e vediamo perché. Tutto accade perché c’è un effetto collaterale imprevisto della riforma costituzionale che prevede il taglio dei parlamentari. Riforma che, come ben sappiamo, rappresenta uno storico cavallo di battaglia del Movimento 5 stelle, che arriva nei prossimi giorni (il 9 settembre) alla sua quarta lettura parlamentare. La riforma dunque è in dirittura d’arrivo, manca solo un ultimo voto d’Aula, e sulla carta gode in questo Parlamento di una maggioranza blindata. Ma il giorno dopo la probabile approvazione, cosa accadrebbe? Qui viene il bello: se una riforma costituzionale viene approvata, modificando l’ordinamento dello Stato, si realizzerebbero immediatamente due effetti collaterali. Il primo: che qualsiasi Parlamento eletto con il vecchio sistema, sarebbe di fatto delegittimato. E questo accade per qualcosa di più di una pratica di fatto. Quando la Corte costituzionale demolí la legge elettorale dell’Italicum, spiegò che il vecchio Parlamento poteva restare in carica, ma che non poteva essere rinnovato. Proprio per questo motivo si spinse fino a riscrivere una legge elettorale provvisoria, chiedendo al Parlamento di provvedere a una correzione che rispondesse alle sue obiezioni (cosa che poi accadde). A maggior ragione, dal momento in cui la riforma che dimezza gli eletti fosse approvata, sarebbe impensabile che il Quirinale consentisse di andare al voto con il vecchio ordinamento e i 1.000 parlamentari attualmente previsti dalla Costituzione. Ma attenzione, un’altra questione si pone. Una volta varata una riforma costituzionale senza una maggioranza dei due terzi (che qui non ci sarebbe perché il Pd ha sempre votato contro questo testo) basterebbero 5 consigli regionali, 1/5 dei parlamentari o 500.000 cittadini per chiedere un referendum confermativo sul testo modificato. Questo vorrebbe dire che per tre mesi fino al referendum si determinerebbe una sorta di «mini» semestre bianco in cui - per i motivi che ho appena spiegato - difficilmente il presidente della Repubblica potrebbe sciogliere le Camere, sapendo che sarebbero (come abbiamo visto) elette con il vecchio sistema. In caso di conferma del testo, con il dimezzamento degli eletti, il vecchio Parlamento morirebbe nella culla appena nato. È probabile un referendum confermativo? La domanda in questo caso ha una doppia risposta affermativa, perché non solo lo desiderano gli oppositori della riforma (che sono tanti) ma persino i suoi sostenitori. Per il Movimento 5 stelle, infatti, l’occasione di chiamare a raccolta gli italiani e farli buttare sul suo provvedimento bandiera sarebbe enorme: da un lato otterrebbe un avallo popolare alla sua battaglia. Dall’altro, riprodurrebbe il modello «mozione Tav», schiacciando la Lega e il Pd l’una contro l’altro. Il referendum, e i riti della sua celebrazione, allungherebbero ancora i tempi di vita della legislatura. E dopo, l’eventuale, scioglimento della legislatura (a questo punto alla vigilia della primavera del 2020), scatterebbero i canonici 45 giorni di tempo prima del voto. Il che porterebbe le lancette fino a luglio del 2020 rendendo impossibile un voto nel pieno dell’estate. Il che riproporrebbe - come un un serpente che si morde la coda - il tema della finestra esattamente nei termini in cui si pone ora: con un problema serio per un voto in autunno, mai verificatosi nella storia della Repubblica, e reso ancora più difficile dal rischio dell’esercizio provvisorio e dalla necessità di una manovra. Sciogliendo le Camere ora, invece, l’approvazione del taglio dei parlamentari salterebbe, e almeno un ostacolo verrebbe rimorso dal percorso del voto anticipato. Anche perché, come è noto, la Lega non è mai stata entusiasta di questo provvedimento. Sarebbero i classici due piccioni con una fava. Nel regno delle alchimie istituzionali di queste settimane anche questo dettaglio ha il suo peso nelle scelte di Salvini.
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