2019-06-24
Se le calciatrici sono del Vaticano la retorica femminista non vale più
La nazionale della Santa Sede insultata in Austria da avversarie e tifosi pro aborto.Saranno contenti i numerosi commentatori che, nelle settimane passate, si sono oltremodo entusiasmati per la partecipazione al mondiale delle azzurre. Ora si può dire che il calcio femminile sia pari a quello maschile, almeno per quanto riguarda gli insulti e l'uso politico dello sport. Lo dimostra quanto accaduto a Vienna in occasione della partita amichevole fra la nazionale femminile del Vaticano e il Football Club Mariahilf. L'evento era stato organizzato per celebrare il ventennale della squadra austriaca, ma le cose sono andate diversamente dal previsto. Le calciatrici della Santa Sede - selezionate non molto tempo fa fra le centinaia di dipendenti dello Stato del Papa e guidate dall'attaccante camerunense Eugene Tcheugoue - non hanno toccato palla. E non perché non sapessero giocare, ma perché è stato loro impedito di farlo. Alcune giocatrici del Marihailf, infatti, ancora prima del fischio d'inizio, si sono sollevate la maglietta, mostrando le pance coperte di scritte pro aborto (tipo la consueta «my body, my rule»). Altre atlete si erano disegnate sul ventre delle ovaie. Pure il pubblico era coinvolto: mentre suonava l'inno vaticano, dagli spalti giungevano urla, fischi, insulti e venivano srotolati striscioni con la scritta «no all'omofobia». Preso atto di tutto ciò, le atlete della Santa Sede si sono rimesse la tuta e sono tornate negli spogliatoi. Era tutto organizzato, ovviamente. Una bella iniziativa messa in piedi da attivisti pro aborto e militanti Lgbt. Proprio poche ore prima della gara, per altro, papa Francesco aveva incontrato la Federazione internazionale delle associazioni mediche cattoliche, e aveva ribadito che «curare vuol dire rispettare il dono della vita dall'inizio alla fine». Poiché il Pontefice ha diffuso un messaggio pro vita, le baldanzose ragazzotte austriache si sono sentite in diritto di attaccare le loro avversarie della Santa Sede. Le hanno insultate, hanno fatto sì che il loro inno venisse vilipeso e che la loro dignità fosse calpestata. Le calciatrici vaticane sono state trattate da razziste, da bigotte retrograde e pericolose reazionarie. Qualche giorno fa, nel pieno dell'euforia per i mondiali femminili, il commissario tecnico della nazionale italiana, Milena Bertolini, ha dichiarato a Sky che «il calcio giocato dalle ragazze manda messaggi diversi, di serenità e di gioia». Valori che, secondo l'allenatrice azzurra, «a livello maschile si sono persi».Beh, quanto accaduto a Vienna mostra che anche fra le donne la serenità e la gioia non la fanno sempre da padrone, anzi. Le atlete del Mariahilf hanno esibito una dose di intolleranza che, finora, soltanto alcuni calciatori e alcune tifoserie musulmane avevano mostrato. Insultare e fischiare le giocatrici vaticane è esattamente come rifiutarsi di stringere la mano a un giocatore perché è ebreo o come gridare «Allah akbar» durante il minuto di silenzio per le vittime di terrorismo. Solo che per le offese alle atlete della Santa Sede sono davvero in pochi a indignarsi. Anzi, ieri molti siti Lgbt gioivano per l'accaduto. Pensate che succederebbe se, durante i mondiali femminili in Francia, un gruppo di calciatrici si mettesse a gridare contro la colleghe olandesi perché nel loro Paese è concessa l'eutanasia sui bambini. Si scatenerebbe il finimondo. Invece la squadra vaticana - poiché cattolica e quindi retrograda, medievale e liberticida - può essere tranquillamente vilipesa senza che le anime belle si turbino. Per l'ennesima volta, la violenza ideologica arcobaleno ha mostrato il suo volto totalitario. Le uniche a uscire bene da tutta questa vicenda sono le atlete del Vaticano. Si sono ritirate in silenzio, con grande eleganza e dignità. Di fronte all'intolleranza e al disprezzo non hanno scelto il lamento e il piagnisteo (come invece fanno tanti colleghi maschi che amano atteggiarsi a vittime di razzismo). E sarebbe bello se i cantori del calcio femminile spendessero una parola per queste donne coraggiose. Ma probabilmente hanno già consumato tutto il fiato soffiando nel trombone della retorica sulla «parità di genere».