
La prognosi infausta emessa da un dottore di un ospedale americano attraverso un video. Il paziente è spirato due giorni dopo. La nipote accusa: «Orribile, è mancata l'umanità». Le scuse: «È vero, ma non c'è regola che imponga di dare le notizie di persona».«È stato orribile per me e per lui, è mancata l'umanità». Merce impossibile da trovare dentro un microchip, uno schermo a cristalli liquidi, un collegamento Skype con dall'altra parte un volto a due dimensioni che, leggermente fuori sincrono, ti sta dicendo: «Non credo che suo nonno tornerà a casa vivo». È mancata l'umanità del medico, quindi il senso stesso dell'affrontare la malattia all'ultimo stadio, in quella stanza dell'ospedale Kaiser Permanente di Fremont, Oakland, California.A fare le spese dell'ultima frontiera della sanità malata di ipertecnologia è stata la nipote di quell'uomo di 79 anni oggetto della diagnosi più definitiva e impersonale. Annalisia Wilharm aveva chiesto di parlare con un dottore per conoscere il destino di suo nonno Ernest, ricoverato d'urgenza per una crisi polmonare, e l'infermiera le aveva detto di attendere qualche minuto. Lei s'aspettava di veder comparire un signore con il camice bianco, invece si è trovata davanti un robot con le rotelle sormontato da un video, che senza fronzoli le ha riferito il verdetto di condanna («Ho i risultati, i suoi polmoni non lavorano più. Va bene?») consigliandola di somministrare della morfina al parente. «Ero scioccata. Il nonno era sdraiato nel letto lì a fianco, e poiché la maschera ad ossigeno faceva rumore, sono stata costretta a ripetergli la sentenza». Allora Ernest Quintana ha chinato il capo sul cuscino, ha sussurrato: «Me ne andrò presto, promettimi di avere cura della nonna». E due giorni dopo è morto.Annalisia, che ha 33 anni e aveva registrato tutto per poter riferire senza sbagliare l'esito degli esami e i termini medici alla mamma, ha provato a rimanere composta, a non farsi travolgere dall'indignazione per quella sensazione da «uno di meno» che sembrava trasparire dalle glaciali modalità del protocollo. «Mi aspettavo che comparisse una persona e che gli parlasse dandogli anche un po' di conforto. È stata una cosa molto penosa perché tutta la faccenda è stata trattata senza alcuna compassione» ha rivelato, aggiungendo: «Non c'era un modo più civile di affrontare quel nostro dramma?».È la domanda che rimbalza su Facebook in queste ore, dopo che la famiglia ha deciso di postare la storia e il video di quell'ultimo surreale consulto, effettuato via computer con l'ausilio di una macchina che la società produttrice Intouch Health ha chiamato non a caso I-Robot. Ciò che è accaduto in California davanti alla spettacolare baia di San Francisco è l'effetto di una disumana corsa al futuro, di una disintermediazione delle macchine che ormai non tiene più conto del fattore umano, con conseguenze psicologiche micidiali. Avanti a tutti i costi, avanti per risparmiare. E se oggi i parenti di Ernest Quintana scrivono: «Ospedale Kaiser, vergognatevi», nessun amministratore sanitario sembra disposto ad ascoltarli, travolto dai benefici che i robot recano all'organizzazione del lavoro e al conto economico.L'ospedale ha capito la portata della gaffe e ha affidato alla vicepresidente Michelle Gaskill-Hames il compito di spiegare. «Porgiamo le nostre più sincere condoglianze, di solito la faccenda viene gestita diversamente. Ma vogliamo anche dire che un piccolo ospedale, senza questa tecnologia, non potrebbe contare su specialisti supplementari in linea 24 ore su 24. Inoltre è inappropriato chiamare robot quel video, perché dall'altra parte del macchinario c'è sempre una persona». È l'effetto dell'ottimizzazione, bellezza. Processo legittimo ma pericoloso se applicato alla sanità, chiave di volta del welfare, quindi della civiltà di un Paese. La sorpresa davanti a tali accelerazioni è un po' infantile perché il mondo va in questa direzione e presto gli eccessi americani potrebbero verificarsi anche a casa nostra.Oltre alla comunicazione della morte imminente con una video-chiamata, la famiglia di Quintana lamenta in assoluto una mancanza di sensibilità. La figlia del paziente, Catherine, che in quel momento si era assentata dal capezzale per prendersi qualche ora di riposo, sottolinea: «Dovevano parlare con me, dovevo esserci io, tutto avrebbe dovuto svolgersi con un maggiore rispetto per mio padre e per tutti noi».Arthur Caplan, direttore della divisione etica della Scuola di Medicina di New York, mette il dito nella piaga e implicitamente conferma la deriva: «Una cosa simile non era mai successa, ma non esiste una regola che imponga ai medici di dare le notizie ai pazienti di persona, quindi questa pratica potrebbe diventare standard nel futuro. Certo, il tema della vita e della morte dovrebbe essere trattato con sensibilità». Dopo aver visto nonno Ernest appoggiare il capo sul cuscino e arrendersi al destino, è la nipote a rispondere a luminari e tecnocrati: «Davanti a noi doveva esserci un medico in carne ed ossa. Non tanto per illuderci, ma per ricordarci anche solo con il tono della voce che esiste la pietà di Dio».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.