2022-07-01
Se c’è Augias, la sinistra rifiuta le schedature
Corrado Augias (Imagoeconomica)
Gaffe del Pd, che sponsorizza un altro documento sui fantomatici network putiniani in cui si tira in ballo l’anziano giornalista. Repubblica si indigna, ma quando a finire nelle liste di proscrizione erano gli altri nessuno aveva nulla da obiettare. Ah, questa poi! Proprio non s’aveva da fare! Accusare Corrado Augias di essere un putiniano? Ma come osano? No, davvero, stavolta gli amici del Partito democratico l’hanno fatta fuori dal vaso, come si dice volgarmente. Breve ma indispensabile riepilogo: martedì, presso la sala stampa della Camera dei deputati, è stato presentato un report intitolato Disinformazione sul conflitto russo-ucraino. Della gestione dell’evento si è occupato l’ufficio stampa del Pd, mentre la realizzazione del documento è stata curata da due curiosi organismi chiamati Federazione italiana diritti umani e Open dialogue foundation. Tra i relatori invitati c’erano anche i dem Andrea Romano e Lia Quartapelle, poi Riccardo Magi di +Europa. Il «report sulla disinformazione», manco a dirlo, altro non era che l’ennesima lista di proscrizione raffazzonata contenente i nomi di alcuni presunti putiniani. Compreso - e qui il gravissimo errore - quello del malcapitato Augias.Il quale Augias si è notevolmente risentito e ieri, dalla prima pagina di Repubblica, ha fatto trasparire tutto il suo disappunto. «Dunque, putiniano. Questa l’accusa nei miei confronti contenuta in un documento presentato in sede parlamentare», ha scritto. «Cadono le braccia. Non per l’accusa insensata ma per i suoi estensori. Mi chiedo dove prendano le loro informazioni, con quale criterio, quale preparazione, le valutino». Beh, scoprire dove gli estensori del report prendano informazioni non è troppo difficile: dalle stesse centrali di propaganda che in questi mesi hanno lavorato a livello europeo per sostenere la causa ucraina.Tra i partecipanti alla conferenza stampa, per dire, c’era pure Oles Horodetskyy, di cui il nostro giornale ha raccontato nel dettaglio le frequentazioni. Benché egli si presenti come rappresentante della Associazione cristiana degli ucraini in Italia e sia membro del comitato nazionale del partito dei Radicali Italiani, non ha nascosto i legami con i movimenti nazionalisti ucraini come Pravy Sektor. Gente che, lo sappiamo, legge Kant ma non disdegna il Mein Kampf. Fu lo stesso Oles a spiegarci che nel Pd sapevano tutto: «Me lo hanno chiesto diverse persone, gliel’ho spiegato e abbiamo riso insieme», ci disse.Insomma, l’ennesimo elenco farlocco di putiniani è un frutto della propaganda ultranazionalista ucraina. Dunque Corrado Augias - che dal pulpito di Repubblica pretende «parole di rammarico» da parte degli estensori del report - sa a chi rivolgersi per recriminare. Il dramma, però, sta proprio qui, nella personalizzazione. Poiché in quest’ultima pagliacciata filo ucraina è stato tirato in mezzo un componente del circolino buono (Augias), ecco che scattano i titoli indignati in prima pagina e gli articoli puntuti sulle fake news usate come maglio contro le opinioni sgradite, ecco che arrivano i comunicati roventi di Fnsi e Usigrai. Ma dov’erano, nei mesi passati, i colleghi di Repubblica e gli altri giornalisti sinceramente democratici? Dov’erano quando nel tritacarne finivano cronisti e intellettuali estranei al cerchio magico progressista? Manco a dirlo, in quel caso se ne fregavano bellamente della disinformazione e dei suoi pericoli. Anzi, erano ben contenti di alimentare gli attacchi contro i dissenzienti.Intendiamoci: la faccenda non riguarda soltanto il giornale diretto da Maurizio Molinari, ma tutto l’universo culturale di sinistra. Da un lato, questo mondo approva e fomenta la peggiore mordacchia ideologica di tutti i tempi. Quando però la mannaia cala su qualcuno dei presunti «buoni», subito parte la costernazione pelosa.Giusto qualche settimana fa, il Corriere della Sera ha pubblicato un elenco di putiniani di dubbia provenienza e ancor più dubbi contenuti. Ne ha attribuito la responsabilità al Copasir, che a sua volta l’ha scaricata sui servizi di intelligence, e poi il caso - così come era esploso - si è sgonfiato senza che nessuno pagasse per l’incredibile scivolone. Incidentalmente, un gruppetto di stimati professionisti è stato diffamato e insultato su uno dei più venduti quotidiani italiani, però non risulta che in area dem siano stati in tanti a stracciarsi le vesti. Non risulta nemmeno che qualcuno abbia storto il naso quando l’Acchiappabufale foraggiato dall’Ue, Gianni Riotta, si dilettava a inveire contro i Putinversteher. Peggio: la caccia ai putiniani immaginari continua, e se ne fanno addirittura promotori esponenti di un partito di maggioranza con numerosi esponenti al governo.Significa appunto che il problema non è personale (cioè non riguarda il solo Augias) ma è sistemico. In questa nazione, e non da oggi, la libertà di pensiero e di espressione viene messa in pericolo nel silenzio pressoché totale della sedicente grande stampa e dei politici (i quali spesso sono complici). Ancora in queste ore, su Telegram esistono chat come Runicstorm2022 (le cui posizioni sono simili a quelle degli amici kantiani di Horodetskyy) che pubblicano serenamente nomi e cognomi di «nazibolscevichi pro Putin» italiani. Nei messaggi che abbiamo visto, questa chat indica come bersagli i giornalisti Daniele Dell’Orco, Emanuele Mastrangelo, Francesca Totolo; i vignettisti Alfio Krancic e Pubble; l’editore Maurizio Murelli e altri. Ci sono espliciti inviti a «bruciare» questi nemici dell’Ucraina. Nessuno indaga? Nessuno lancia allarmi? È tutto normale? Evidentemente sì. Del resto da queste parti la delazione è la moda del momento. E infatti pure il Foglio, buono ultimo, si è affrettato a stilare la sua listarella di sabotatori, tra cui i soliti Giorgio Bianchi e Thomas Fazi, poi il sottoscritto e addirittura il professor Luciano Canfora, un uomo la cui tempra morale e statura intellettuale dovrebbero annichilire le nullità giornalistiche che lo attaccano.La restrizione degli spazi di libertà non riguarda soltanto il caso ucraino. Un paio di giorni fa, tanto per citare un minuscolo esempio, otto piccoli Comuni italiani hanno approvato una norma proposta dal Partito Gay per sanzionare con multe da 500 euro chi faccia «dichiarazioni discriminatorie» contro la comunità Lgbt. Una bella formuletta in cui avvolgere l’ennesimo tentativo di colpire non tanto i maleducati e i violenti, quanto i critici dell’ideologia arcobaleno.Di iniziative simili - con vari livelli di intensità e brutalità - se ne vedono sempre di più, e sono sempre più invasive. Sull’immigrazione, sul gender, sul clima, sulla guerra, sul Covid: su tutto quanto non rientri nella retorica dominante. Però non risulta che siano in molti a preoccuparsi. A meno che non si tiri in mezzo il caro Augias, a cui va tutta la nostra sincera solidarietà.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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