2021-05-03
Scudetto a un’Inter senza portafoglio con Conte stile Mou
Un sergente di ferro allenatore di teste prima che di gambe Cavalcata trionfale del titolo n. 19. Svanite le ombre sul futuro?«Loading». Ormai britannico nei messaggi su Twitter, fin dalla mattina Antonio Conte stava scaricando il programma scudetto. Lo ha vinto sul divano dopo avere fatto il proprio dovere. Lo ha riportato all'Inter approfittando del pareggio dell'Atalanta, 19º titolo della storia arrivato dopo una cavalcata napoleonica e 11 anni di sofferenza, pane nero dal Triplete, cure dimagranti per arrivare qui dove il pallone rotola leggero dal Monte Stella verso San Siro. Un trionfo meritato, che arriva con quattro partite di anticipo a segnare un dominio statistico e pure sportivo, quello che per nove anni aveva caratterizzato l'impero sabaudo della Juventus. E per ritrovare il filo rosso del successo l'Inter ha avuto bisogno di due formidabili acquisti juventini. Beppe Marotta e Antonio Conte, additati al loro arrivo come «quinte colonne per distruggere quel che rimane» del vascello, in due stagioni gli hanno dato l'aspetto di una corazzata. Hanno portato legge e ordine, hanno spazzato via il pregiudizio autolesionistico di un club capace di farsi male da solo. Lo scudetto dell'Inter si concretizza non a caso nel weekend del Primo Maggio: è quello della fatica e del lavoro perché Conte non ammette altro. Per questo ha salutato con silente felicità l'allontanamento di Maurito Icardi e della moglie Wanda, troppo da circo Medrano per i suoi gusti. Per questo ha plasmato la squadra attorno a faticatori di talento come Nicolò Barella, Marcelo Brozovic, Milan Skriniar, Lautaro Martinez. Per questo ha voluto un centravanti carroarmato come Romelu Lukaku, da radiocomandare per sfondare le difese. Ma non basta. Oltre le gastriti e i fantasmi di una tifoseria tafazziana, questo scudetto porta con sé la voglia di rivalsa e quel «rumore dei nemici» che unisce Conte a Josè Mourinho. Un collante strano e formidabile, capace di cementare lo spogliatoio, di creare una bolla con la squadra dentro e il mondo fuori, di far dimenticare a professionisti viziati che lo stipendio non arriva da mesi. Un capolavoro. Da sempre l'Inter ha bisogno di sergenti di ferro. Nel laboratorio della Pinetina, Conte ha messo tutti in quarantena e nelle ultime 15 partite ha perso quattro punti (due pareggi, a Napoli e La Spezia). Per il resto solo vittorie.Questo è lo scudetto di Lukaku, che arrivò dal Manchester United accompagnato dal soprannome di «panterone moscione» (praticamente tacciato di broccaggine) e ha saputo diventare letale davanti a chiunque, anche al naso spigoloso di Zlatan Ibrahimovic. È lo scudetto di Lautaro (22 anni), talento argentino sbocciato in fretta, con quel nome che evoca sonate settecentesche da Solisti Veneti. È lo scudetto multicult della locomotiva Ashraf Hakimi, arrivato via Madrid. Una beffa e una rivincita; Florentino Perez ha restituito con 25 anni di ritardo il favore fatto da Massimo Moratti e Roy Hodgson quando regalarono Roberto Carlos al Real. È lo scudetto del sardo Barella, oggi miglior centrocampista italiano, e di un gruppo di atleti comandati a bacchetta dal micidiale allenatore di teste prima che di gambe. È lo scudetto metalmeccanico di Matteo Darmian (tre gol tutti decisivi nei momenti chiave, quando la benzina stava finendo) e di una difesa d'acciaio costruita dal tecnico dopo l'eliminazione dalla Champions. A novembre, al culmine della grande depressione, Conte disse: «Ho capito che dare spettacolo solo per aiutare gli avversari a segnare non era divertente». Safety first, regola numero uno; lì ha preso in mano il campionato. Poi c'è Christian Eriksen, paradigma del lavoro e del destino. Campione danese avvezzo ai ricami e ai colpi di genio, ha dovuto imparare a correre e a rincorrere, è finito sotto il torchio e poi nel cono d'ombra. Ma quando stava per essere ceduto, Conte ha voluto dargli l'ultima chance. La sliding door con quel gol in Coppa Italia nel derby all'ultimo secondo. Il danese (ancora lontano dai suoi livelli top) è diventato un fattore fino a segnare la rete scudetto a Crotone.Poiché l'arte di farsi male è sempre in agguato, sul tricolore aleggiano due ombre. L'impossibilità di festeggiarlo come si deve per comprovata pandemia e l'incertezza del futuro per il deficit economico dei proprietari cinesi. Suning è l'esempio principe del capitalismo gestito dal partito: i soldi sono tuoi ma se Pechino decide che «gli investimenti non strategici vanno evitati», ecco che gli euri o i dollari diventano carta straccia. Ha impiegato meno tempo a tornare Marco Polo a piedi che Steven Zhang in aereo, ma da stamane è difficile che lo scudetto non sia un investimento strategico. L'Inter è la continuazione di Lucio Battisti con altri mezzi, non sai mai se siano più vicine le discese ardite o le risalite. Questo domani. Oggi per la Milano nerazzurra la felicità si snoda fra i Navigli e piazza del Duomo, fra Cordusio e Montenapo, senza dimenticare le periferie popolari in fondo al Lorenteggio. Con la Gazzetta dello Sport nei bar, appoggiata aperta al frigo della Sammontana. La Superlega è qui, Peppino Prisco approverebbe.