2025-03-08
Lo scontro nello Studio ovale ricorda Hermes
Volodymir Zelensky, Donald Trump, J. D. Vance (Ansa)
Il dialogo conflittuale tra Trump, Vance e Zelensky fa tornare alla mente la mitologia greca, con il tycoon nel ruolo di Giove e il suo vice in quello di Marte. Forse il leader ucraino riuscirà a farsi perdonare, ma negoziare con Mosca sembra impossibile.Premetto che non ho interesse alcuno verso l’attuale politica politicante, tutta ideologica e partitica, in Italia centrata sul periferico duo Meloni-Schlein. Sono invece molto interessato agli scenari geopolitici mondiali del XXI° secolo, il siparietto di fine febbraio nel mitico Studio ovale della Casa Bianca fra Volodymir Zelensky, Donald Trump, J. D. Vance mi ha piacevolmente colpito, avendolo trovato un innovativo modo di fare «comunicazione diretta presidente-cittadini», saltando gli imbarazzanti mediatori politico culturali intermedi, a valore aggiunto zero o negativo. Silenzioso il solito controcanto delle solite cornamuse. L’amico XY, il banchiere svizzero noto ai lettori di Zafferano, mi ha fatto una curiosa proposta: invertire i nostri ruoli attuali. Questa volta sarà lui a intervistarmi, e ha deciso di farlo su J. D. Vance, quello che lui pensa essere il futuro presidente degli Stati Uniti. Detto e fatto. Eccola, l’intervista:XY Vorrei un tuo giudizio sul vice presidente degli Stati Uniti, visto che ha un profilo che ricorda il tuo, anche lui è stato prima plebe poi patriziato.RR L’hai notato, Vance indossa ancora calzini plebei a mezza gamba? Lo farà per compiacere i suoi elettori o perché vuole ancora passare per deplorables?Al di là della battuta, di lui non so nulla, se non quello che ho letto sul suo (in verità splendido) romanzo-autobiografia «Elegia americana» (pessima traduzione del corretto Hillbilly Elegy). Scrive: «Voglio che la gente sappia cosa vuol dire arrivare quasi a perdersi … Voglio che sappia come vivono i poveri e qual è l’impatto che produce la povertà spirituale e materiale sui loro figli. Voglio che capisca cos’ha rappresentato il sogno americano per me e la mia famiglia. Voglio che capisca in cosa consiste realmente il cosiddetto ascensore sociale. E voglio che capisca una cosa che ho scoperto solo di recente. Chi, come me, ha avuto la fortuna di realizzare il sogno americano, si porta dietro per sempre i fantasmi della vita che si è lasciato alle spalle».XY Quindi per te Vance è politicamente uno della plebe agricola-operaia, figlio della grande crisi che colpì il Midwest per via della globalizzazione?RR Certamente. Concetti, parole, luoghi, culture che ben ho conosciuto, vissuto, assimilato. Negli anni Ottanta-Novanta, prima con Ivi-Ppg, poi con New Holland operai in quel contesto. In fondo era il mondo della mia famiglia contadina-migrante-operaia della Lunigiana montana (mio papà era nato ad Apt in Francia, in una catapecchia vicino alla fonderia dove mio nonno, immigrato, lavorava: nel mio viaggio di nozze la prima tappa fu proprio Apt).Nel libro c’è un passaggio, imperdibile, quando Vance racconta del razzismo della società americana, dove oltre al colore della pelle, c’è la posizione sociale che occupi. Scrive: … mi identificavano come uno dei milioni di proletari bianchi che non sono andati all’università. Per costoro la povertà era una tradizione di famiglia, i loro antenati, spesso irlandesi, erano braccianti nell’economia schiavista del Sud, poi divennero mezzadri, minatori, quindi operai. Le élite li chiamano hillbilly (montanari buzzurri) ovvero redneck (colli rossi) ovvero white trash (spazzatura bianca). Io li chiamo vicini di casa, amici, familiari.Da anni, come studioso di modelli organizzativi (Idea) intravedo l’avvio di un processo in cui la plebe (non so come, né quando) andrà al potere, sostituendo il patriziato, immagino con modalità diverse rispetto alla staffetta «aristocrazia-alta borghesia» della Rivoluzione Francese, ma semplicemente togliendo dal tavolo la posateria guerresca. Se al patriziato euro-americano attuale (bolso e arrogante) togli la «modalità guerra» si sgonfia come neve al sole. E proprio Ià sarà il mezzo.XY Ci tengo molto ad approfondire, lo faremo in privato, questa tua interessante analisi. Torniamo a noi, devi però riconoscere che è stato un grande momento di comunicazione politica!RR Certo, mi ha fatto tornare alla mente un libro di Honoré de Balzac Massime e pensieri di Napoleone (Sellerio editore). Te ne cito una: «Una grande reputazione è un grande rumore, più se ne fa più lo si sente: le leggi, le nazioni, i monumenti, tutto cade, ma il rumore resta». Quanto durerà il «grande rumore» dello studio ovale che Zelensky ha prodotto? Mi sono chiesto: perché Zelensky ha usato il suo solito format comunicazionale che per tre anni aveva sì avuto successo, però solo con gli azzimati leader europei, ma che già faceva irritare il diplomatico Joe Biden, ed era chiaramente inidoneo con hillbilly della stazza di Trump e di Vance? Sei nello studio ovale, la stampa è presente e tu ti rivolgi polemicamente al vice presidente chiamandolo J.D.? Mi è parso un suicidio comunicazionale in purezza. Se ci aggiungi l’irrituale abbigliamento paramilitare, inidoneo per iniziare un processo di pace, è palese che la tua postura comunichi al presidente e al vice presidente che l’accordo si farà solo alle tue condizioni, senza avere in mano neppure uno straccio di jolly. La successiva cacciata è stata una conseguenza automatica della sua scelta comunicazionale. Gli erano rimaste tre sole carte: dimettersi, indire le elezioni, delegare a Trump la trattativa con Vladimir Putin. Dopo 48 ore, sondati gli svagati leader europei, mi pare abbia scelto la terza, salvando per ora la cadrega.XY L’ho letto anch’io quel libro e ti consegno questa battuta (non so se napoleonica o balzacchiana): «I grandi uomini sono sempre degli imbroglioni». Proprio in questo senso torno sul tema della comunicazione politica in diretta tv. Qual è la tua idea?RR Come studioso di modelli organizzativi e di comunicazione sostengo che essendo tutti noi, che ci piaccia o meno, immersi ormai strutturalmente nel mondo della rete e di Ià, per i leader sarebbe controproducente continuare a comunicare secondo le regole attuali, stante un mondo che sta cambiando a grande velocità. Per i leader che se lo possono permettere immagino sarà preferibile comunicare, tutto, ma proprio tutto, direttamente ai propri cittadini-elettori se politici, ai propri clienti e ai propri dipendenti se ceo di aziende, saltando tutti i livelli intermedi fattisi burocratici.Come è avvenuto nella stanza ovale.Per usare il linguaggio di Idea, in primis bisogna accecare i «Tabernacoli», ovunque siano. È chiaro che in questo modo molti «mediatori» (politici, diplomatici, media, accademici, autorità religiose) o scompariranno o dovranno ridefinire il loro ruolo, stante che dall’abbattimento dei livelli gerarchici (filosofia base di Idea) il processo decisionale e la comunicazione comunque se ne avvantaggeranno.XY Mi chiedo: i tre attori nello studio ovale conoscevano il mito greco di Hermes? Se sì, come finirà Zelensky?RR. Per i lettori che non dovessero conoscerlo, provo a sintetizzare il mito a modo mio. Hermes (Zelensky) cerca di farsi perdonare da Giove (Trump) un comportamento grave nei riguardi di Marte (Vance). Giove, dopo molte suppliche, lo perdona a condizione che non dica più bugie, di più, se si comporta bene lo farà dio dei diplomatici, dei commercianti, dei ladri (per i greci d’allora i tre mestieri erano la stessa cosa, oggi possiamo aggiungere il giornalismo di regime).Non essendo Giove e neppure Venere (i leader europei che per ottant’anni si sono beati della loro pace grazie all’ombrello americano) mi chiedo:1 Come possiamo negoziare con uno che la Corte Penale Internazionale dell’Aia (da noi sponsorizzata e sfruculiata) ha giudicato «criminale di guerra»?2 Lui accetterà di negoziare con noi, stante le pesanti sanzioni in corso?3 Senza l’ombrello militare americano (nucleare e convenzionale) come pensiamo di campare e di svilupparci?Solo vivendo sapremo come andrà a finire. Prosit, caro amico.Zafferano.news
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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