2025-08-03
Schlein nella morsa Bettini-Franceschini. Difendendo Ricci ha preso solo spine
Dario Franceschini (Ansa)
I due dioscuri dem perseguono idee diverse sul futuro del partito Il segretario s’attacca all’esito delle urne. Ma ha sbagliato alfiere.Una domanda corre nel Pd: Matteo Ricci val bene una leadership? L’unica che non se l’è posta è la vittima designata di questo affare di piccola bottega, visti i protagonisti, ma di immenso valore: Elly Schlein. Non s’ è accorta d’essere stata avvolta nelle spire dell’eminenza grigia che alberga nel Pd, Goffredo Bettini, e di essere al tempo stesso l’alibi che consente a coloro i quali ha definito cacicchi di muoverle un attacco tanto silente quanto politicamente letale. Dario Franceschini, che fu sponsor di Matteo Ricci e per il quale aveva ipotizzato la corsa alla segreteria del Pd sì da far fuori l’eterno rivale, anche per ragioni territoriali, Stefano Bonaccini ed evitare la deriva movimentista di Elly Schlein, userà ancora una volta contro di lei proprio l’ex sindaco di Pesaro. Aver ceduto all’idea che Giuseppe Conte fosse giudice e arbitro della candidatura per la Regione Marche consegna la Schlein nelle mani delle due opposte fazioni che la dilanieranno. Goffredo Bettini da sempre è sostenitore dell’incontro con il Movimento 5 stelle e ha avuto una pulsione ancestrale - lui è d’origine aristocratica marchigiana - e un imperativo dottrinale - è rimasto comunista e per i comunisti l’afflato populista è inebriante - nella gestione del «caso» Ricci in cui ha intravvisto due opportunità: rinsaldare l’alleanza con i pentastellati - ma Bettini non si è accorto che non sono più i grillini di una volta: anticapitalisti, anticasta, quasi veteromarxisti - e condizionare la segreteria pd orientandola verso la concretezza della gestione del potere. Sa, Bettini, che solo così può ricostruire l’egemonia della sinistra lasciando l’appalto del movimentismo alla coppia di fatto Bonelli-Fratoianni e riportando il Pd alla pratica almeno del sottogoverno. Bettini ha una concezione antagonistica della politica, non crede al Pd a vocazione maggioritaria e si è intestato un’idea strumentale del campo largo: primum vincere, deinde governare. A veder bene. è la stantia idea dell’Ulivo: cartello elettorale che, messo alla prova del potere, si sfalda in cento egoismi. Per contro, Dario Franceschini, che invece continua a coltivare l’idea del Pd a vocazione maggioritaria, contenitore politico dove diverse anime si compenetrano, ha ben compreso che, continuando con Elly Schlein, il Pd si alienerà gran parte dell’elettorato che fu della Margherita. V’è anche una questione di curia. Giuseppe Conte, già allievo di villa Nazareth, sta cercando, con un pacifismo di facciata, di conquistare spazio nel cuore della Cei, ma il doppiogiochismo sulla questione dei migranti lo marginalizza. La gerarchia ecclesiale cattolica ha deciso di tornare ai santi vecchi e, complice il gruppo dei bolognesi - l’accoppiata Zuppi-Prodi -, rilancia la componente fu democristiana del Pd invocando il protagonismo dei riformisti. Non è un caso che Franceschini abbia riunito attorno a sé ernesto Maria Ruffini, Paolo Gentiloni e anche il senatore singolo di Rignano Matteo Renzi. A dimostrazione che il caso Marche diventa casus belli di questo pezzo, cospicuo, del Pd per muovere contro Elly Schlein, sta il silenzio proprio di Dario Franceschini su Matteo Ricci che è stato una sua creatura (Pesaro capitale della cultura fu l’invenzione per dare all’allora sindaco una maggiore visibilità nazionale). In mezzo al guado resta Elly Schlein, incapace di esercitare un vero comando, convinta che, se vince le elezioni regionali, resta in sella. Non ha capito che a Giuseppe Conte delle regionali importa il giusto e che l’avvocato di Volturara Appula mira alle elezioni politiche usando il Pd come un taxi e, al contempo, infiacchendo la segreteria del Pd, condizionando le scelte del Nazareno con l’abilità di tenere in piedi l’idea di un campo largo senza impegnarsi troppo perché lo vuole trasformare nell’accampamento delle sue truppe. L’errore esiziale di Elly Schlein è stato quello di non abbandonare Matteo Ricci. Sapeva il Pd dell’inchiesta di Pesaro. Un errore è stato scegliere Matteo Ricci all’inizio. E poi un secondo errore, una volta raggiunto dall’avviso di garanzia (inevitabile e ampiamente annunciato), è stato quello di non scaricarlo. Poteva avere una candidata forte, ma non totalmente di apparato: Valeria Mancinelli l’ex sindaca di Ancona. Che aveva un limite: la chiarezza. La Mancinelli avrebbe posto ai 5 stelle un problema non da poco: stare nel campo largo non per condizionare, ma per costruire un’alleanza duratura collocandosi stabilmente nel centrosinistra. Oggi Conte può tenersi le mani libere. Lo ha detto a chiare lettere: appoggiamo Ricci (del resto, i 5 stelle hanno accettato un assessorato con lui sindaco e lo mantengono tutt’ora) ma non parliamo di alleanza organica col Pd. E può, attraverso Ricci, esercitare una pressione (chiamarlo ricatto pare brutto?) sul Pd che si fa subalterno nelle Marche come in Campania. La Schlein ha avuto timore di perdere le regionali convinta che un successo amministrativo rinsaldi la sua segreteria. Non ha compreso che il bersaglio grosso di Conte sono le politiche. Peraltro Elly, nel momento del bisogno, non potrà contare né su Bettini né su Franceschini. E prima ancora che nelle Marche si voti è già possibile dire che Elly Schlein ha perso. L’urna che conta per lei si apre tra una ventina di giorni non distante da Pesaro. A Rimini dal 22 agosto c’è il Meeting dell’amicizia. S’accorgerà Elly quante spine possano avere per lei i Ricci.
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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