Schlein nella morsa Bettini-Franceschini. Difendendo Ricci ha preso solo spine

Una domanda corre nel Pd: Matteo Ricci val bene una leadership? L’unica che non se l’è posta è la vittima designata di questo affare di piccola bottega, visti i protagonisti, ma di immenso valore: Elly Schlein. Non s’ è accorta d’essere stata avvolta nelle spire dell’eminenza grigia che alberga nel Pd, Goffredo Bettini, e di essere al tempo stesso l’alibi che consente a coloro i quali ha definito cacicchi di muoverle un attacco tanto silente quanto politicamente letale. Dario Franceschini, che fu sponsor di Matteo Ricci e per il quale aveva ipotizzato la corsa alla segreteria del Pd sì da far fuori l’eterno rivale, anche per ragioni territoriali, Stefano Bonaccini ed evitare la deriva movimentista di Elly Schlein, userà ancora una volta contro di lei proprio l’ex sindaco di Pesaro.
Aver ceduto all’idea che Giuseppe Conte fosse giudice e arbitro della candidatura per la Regione Marche consegna la Schlein nelle mani delle due opposte fazioni che la dilanieranno. Goffredo Bettini da sempre è sostenitore dell’incontro con il Movimento 5 stelle e ha avuto una pulsione ancestrale - lui è d’origine aristocratica marchigiana - e un imperativo dottrinale - è rimasto comunista e per i comunisti l’afflato populista è inebriante - nella gestione del «caso» Ricci in cui ha intravvisto due opportunità: rinsaldare l’alleanza con i pentastellati - ma Bettini non si è accorto che non sono più i grillini di una volta: anticapitalisti, anticasta, quasi veteromarxisti - e condizionare la segreteria pd orientandola verso la concretezza della gestione del potere.
Sa, Bettini, che solo così può ricostruire l’egemonia della sinistra lasciando l’appalto del movimentismo alla coppia di fatto Bonelli-Fratoianni e riportando il Pd alla pratica almeno del sottogoverno. Bettini ha una concezione antagonistica della politica, non crede al Pd a vocazione maggioritaria e si è intestato un’idea strumentale del campo largo: primum vincere, deinde governare. A veder bene. è la stantia idea dell’Ulivo: cartello elettorale che, messo alla prova del potere, si sfalda in cento egoismi.
Per contro, Dario Franceschini, che invece continua a coltivare l’idea del Pd a vocazione maggioritaria, contenitore politico dove diverse anime si compenetrano, ha ben compreso che, continuando con Elly Schlein, il Pd si alienerà gran parte dell’elettorato che fu della Margherita. V’è anche una questione di curia. Giuseppe Conte, già allievo di villa Nazareth, sta cercando, con un pacifismo di facciata, di conquistare spazio nel cuore della Cei, ma il doppiogiochismo sulla questione dei migranti lo marginalizza. La gerarchia ecclesiale cattolica ha deciso di tornare ai santi vecchi e, complice il gruppo dei bolognesi - l’accoppiata Zuppi-Prodi -, rilancia la componente fu democristiana del Pd invocando il protagonismo dei riformisti. Non è un caso che Franceschini abbia riunito attorno a sé ernesto Maria Ruffini, Paolo Gentiloni e anche il senatore singolo di Rignano Matteo Renzi. A dimostrazione che il caso Marche diventa casus belli di questo pezzo, cospicuo, del Pd per muovere contro Elly Schlein, sta il silenzio proprio di Dario Franceschini su Matteo Ricci che è stato una sua creatura (Pesaro capitale della cultura fu l’invenzione per dare all’allora sindaco una maggiore visibilità nazionale).
In mezzo al guado resta Elly Schlein, incapace di esercitare un vero comando, convinta che, se vince le elezioni regionali, resta in sella. Non ha capito che a Giuseppe Conte delle regionali importa il giusto e che l’avvocato di Volturara Appula mira alle elezioni politiche usando il Pd come un taxi e, al contempo, infiacchendo la segreteria del Pd, condizionando le scelte del Nazareno con l’abilità di tenere in piedi l’idea di un campo largo senza impegnarsi troppo perché lo vuole trasformare nell’accampamento delle sue truppe. L’errore esiziale di Elly Schlein è stato quello di non abbandonare Matteo Ricci. Sapeva il Pd dell’inchiesta di Pesaro. Un errore è stato scegliere Matteo Ricci all’inizio. E poi un secondo errore, una volta raggiunto dall’avviso di garanzia (inevitabile e ampiamente annunciato), è stato quello di non scaricarlo. Poteva avere una candidata forte, ma non totalmente di apparato: Valeria Mancinelli l’ex sindaca di Ancona. Che aveva un limite: la chiarezza. La Mancinelli avrebbe posto ai 5 stelle un problema non da poco: stare nel campo largo non per condizionare, ma per costruire un’alleanza duratura collocandosi stabilmente nel centrosinistra.
Oggi Conte può tenersi le mani libere. Lo ha detto a chiare lettere: appoggiamo Ricci (del resto, i 5 stelle hanno accettato un assessorato con lui sindaco e lo mantengono tutt’ora) ma non parliamo di alleanza organica col Pd. E può, attraverso Ricci, esercitare una pressione (chiamarlo ricatto pare brutto?) sul Pd che si fa subalterno nelle Marche come in Campania. La Schlein ha avuto timore di perdere le regionali convinta che un successo amministrativo rinsaldi la sua segreteria. Non ha compreso che il bersaglio grosso di Conte sono le politiche. Peraltro Elly, nel momento del bisogno, non potrà contare né su Bettini né su Franceschini. E prima ancora che nelle Marche si voti è già possibile dire che Elly Schlein ha perso. L’urna che conta per lei si apre tra una ventina di giorni non distante da Pesaro. A Rimini dal 22 agosto c’è il Meeting dell’amicizia. S’accorgerà Elly quante spine possano avere per lei i Ricci.






