2019-06-10
Schiavi delle Coop. Prendono milioni dai Comuni ma sottopagano i dipendenti
Peggio dei rider: tutele scarse, mini ingaggi, caporalato elettronico e app invasive. A Bologna accordo sindacale: solo metà pranzo. Vietati frutta, pane e contorno.«No pietanza, no pane, no frutta. Ai dipendenti della cooperativa il Quadrifoglio spettano solo primo piatto e contorno». Siamo a Bologna, patria storica del cooperativismo. Il cartello è affisso nei corridoi di molte scuole della città. Serve a ricordare a chi si occupa della mensa che gli educatori, dipendenti della coop, al contrario del resto del personale, non hanno diritto a un pasto completo. Tutti a dieta? Niente affatto. Anzi, il pranzo dimezzato è frutto di una trattativa sindacale che ha convinto (bontà sua) la cooperativa a pagare mezzo pasto, cosa che prima non era prevista. Sono queste, oggi, le cooperative sociali. Nate come forma mutualistica, favorite dai regimi fiscali, garantite dagli enti pubblici, nei confronti dei lavoratori si rivelano matrigne. Forti di un contratto nazionale appena rinnovato (dai confederali tra le proteste dei sindacati di base), offrono agli oltre 350.000 dipendenti ben poche tutele e buste paga al di sotto degli standard salariali minimi che il ministero vorrebbe fissare. I dipendenti sono spesso giovani diplomati o laureati, che si occupano delle fasce più deboli della popolazione: assistono bambini, disabili e anziani, come braccio operativo di quei servizi sociosanitari che i Comuni, da 20 anni a questa parte, esternalizzano. Tutto per sei o sette euro netti all'ora, quando va bene. 1.000 al mese? magari«Sono i rappresentanti del nuovo fenomeno di lavoratori poveri, quelli che pur lavorando non riescono ad arrivare a fine mese perché prendono stipendi ben al di sotto dei 1.000 euro», li definisce Fabio Perretta, del coordinamento nazionale Usb Lavoro privato. Nessuna certezza sul monte ore mensile, nessuna progressione di carriera, inquadramenti al di sotto della professionalità e niente formazione. E ancora: niente buoni pasto, incarichi spezzati e zero tutele negli spostamenti. E part time obbligatorio a 20 ore settimanali con buste paga, nella maggior parte dei casi, non superano gli 800 euro al mese. Insomma, ben peggio dei tanto vituperati rider delle multinazionali del food, che almeno hanno portato all'attenzione della politica la loro condizione. Ma in quel caso, di mezzo non c'erano le cooperative, né i loro stretti legami con la politica. E non si tratta di piccole realtà. La coop il Quadrifoglio, per esempio (quella che a Bologna tiene a dieta i suoi operatori) è un vero colosso. È attiva in diverse Regioni, conta 3.642 dipendenti e 117,3 milioni di fatturato. Due anni fa, nel capoluogo emiliano si è aggiudicata un appalto da più di 27 milioni di euro per seguire i bimbi disabili in tutti gli ordini di scuola per ben 386.259 ore all'anno. Il Comune paga 23,3 euro all'ora per il servizio e la coop ne gira, netti, meno di 6 al dipendente. Le proporzioni sono più o meno le stesse negli appalti di tutta Italia. E quei due terzi trattenuti sul costo orario del servizio? A sentire le cooperative, servono per il rischio d'impresa. Negli ultimi mesi, però, qualcosa sta cambiando. L'illusione ideologica su cui il sistema cooperativo ha basato il suo business comincia a vacillare e, per la prima volta in Italia, lo scorso 3 giugno c'è stata una mobilitazione nazionale del settore. «La sveglia l'ha data, dopo anni di sofferenza per la contrazione della spesa sui servizi, il riordino professionale del settore, previsto dalla legge di bilancio del 2017: all'improvviso educatori che lavorano da 15 anni, con buste paga ridotte al minimo e con condizioni contrattuali quasi inaccettabili, inquadrati come educatori senza titolo si trovano obbligati a dover conseguire un titolo di studio oneroso, sostenendo personalmente i costi che possono arrivare fino a 1.800 euro», spiega ancora Perretta. «Il paradosso è che gli enti pubblici continuano ad esternalizzare da 20 anni illudendosi di risparmiare, ma studi dimostrano che non è così, mentre le cooperative continuano, con la flessibilità che è data loro dal contratto nazionale, a comprimere condizioni di lavoro e salario. Tutto questo, in moltissimi casi, schiaccia il lavoratore in una condizione di semischiavitù». Gli esempi non mancano. Nel Vimercatese, i Comuni appaltatori e la cooperativa Offerta sociale, che gestisce i servizi, hanno aggiunto al danno la beffa. Gli educatori devono certificare la loro presenza presso il bambino assegnato attraverso un sistema (Vitaever) che funge da cartellino virtuale. Utilizzando un'apposita app, l'educatore deve cliccare sul telefono quando arriva a destinazione (dopo essersi spostato a spese e rischi propri per la città) e comincia l'ora di assistenza (pagata una miseria) con una procedura che si ripete anche 10 volte al giorno. A Parma, Capitale italiana della cultura 2020, molti addetti alle biblioteche sono dipendenti di cooperativa. Laureati, certificati per le lingue straniere e capaci nelle relazioni con il pubblico, guadagnano meno di 6 euro l'ora, con un contratto, quello delle coop sociali appunto, che li inquadra come operatori generici. E va anche peggio all'ufficio Cultura, dove a elaborare mostre e progetti ci sono giovani somministrati addirittura da cooperative multiservizi (che dovrebbero occuparsi di pulizie) e inquadrati come operai. E ancora. Nel Lazio anche una larga fetta del settore sanitario è in mano alle cooperative che forniscono personale infermieristico e persino medico. Anomalia napoli«Noi lo definiamo caporalato infermieristico: gli stipendi sono più che variabili, abbiamo colleghi pagati addirittura con rimborsi spesa, mentre, solo nei casi più felici, si arriva a sette o nove euro lordi all'ora», spiega Laura Rita Santoro, responsabile regionale Nrsig Up. «Le tutele mancano per tutti e agli esternalizzati non è stato consentito nemmeno d'iscriversi al sindacato». Ancor peggio funziona a Napoli, dove gli operatori che si occupano di assistenza domiciliare per anziani e disabili devono sperare che i loro assistiti campino a lungo e in buona salute. E non solo per altruismo, ma anche perché il monte orario annuale stabilito dalle cooperative di servizi (sono diverse a seconda della municipalità) è fissato in base al numero degli utenti seguiti. Se il numero di ore lavorate si riduce a causa del decesso o del ricovero di un utente, non viene più riallineato e il lavoratore rischia di trovarsi, per mesi, con la già sottilissima busta paga addirittura dimezzata.
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