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2021-10-07
«Provai a scaricare Di Donna: Arcuri e i suoi mi esclusero»
Giuseppe Conte e Domenico Arcuri (Ansa)
Al momento è la vera vittima dell'inchiesta sull'avvocato Luca Di Donna, amico ed ex collega del premier Giuseppe Conte. Per la Procura di Roma il procedimento sarebbe «scaturito» dalla sua «presentazione spontanea» a piazzale Clodio. «In realtà sono stato convocato. Io non ho fatto nessuna denuncia, nemmeno un esposto. Sono stato chiamato per rendere talune informazioni che ho prontamente fornito: immagino che quella questione fosse già nota agli inquirenti. Magari ero stato intercettato». Inizia così il colloquio con l'imprenditore Giovanni Buini, trentacinquenne originario di Assisi, profondamente provato dalle disavventure che lo hanno travolto nell'ultimo anno. «Mi creda, però, che l'importanza di questa cosa l'ho capita al punto di andare a raccontare tutto, senza trattenermi niente. Sono rimasto schifato e ho fatto tutto quanto il possibile per la collettività».
Prima di continuare, però, ricordiamo i fatti. Davvero clamorosi. Dopo che nell'aprile del 2020, con la sua Ares Safety Srl, Buini aveva fornito un milione di mascherine alla struttura commissariale al prezzo di 0,42 euro al pezzo (totale 420.000 euro), mentre è in trattativa per ulteriori forniture, entra in contatto con gli avvocati Esposito e Di Donna, indicatigli dall'amico Mattia Fella quali facilitatori con la struttura commissariale. I legali, come abbiamo raccontato ieri, prima gli fanno firmare un accordo per il riconoscimento di somme di denaro e poi lo convocano nello studio Alpa (dove aveva lavorato anche Conte), non senza aver rimarcato «la vicinanza di Di Donna con ambienti istituzionali governativi». All'appuntamento Di Donna avrebbe fatto trovare a Buini anche un generale della Guardia di finanza (che sarebbe transitato nei servizi segreti) che avrebbe evidenziato la necessità di mascherine per la struttura.
A questo punto «le modalità opache» della proposta di mediazione convincono Buini a recedere dall'accordo già sottoscritto. Risultato? «In singolare concomitanza con l'interruzione dei rapporti» con i due avvocati, si legge nel decreto di perquisizione, Buini avrebbe «ricevuto una mail da parte di Antonio Fabbrocini (responsabile unico del procedimento, ndr) con la quale la struttura commissariale gli comunicava il mancato perfezionamento del contratto di fornitura di ulteriori quantitativi di mascherine e addirittura la restituzione per sopravvenute mutate esigenze della struttura commissariale delle 500.000 mascherine precedentemente già consegnate».
Buini, imprenditore nel settore dell'abbigliamento e dei dispositivi di protezione, nonché importatore dalla Cina, aveva iniziato il business inviando a Invitalia una mail, in cui informava la struttura di avere un milione di mascherine a disposizione. «Ci ricontattarono per chiederci se davvero avessimo disponibilità immediata e gliele abbiamo messe a disposizione a un prezzo ben più basso di quello che ci avrebbe riconosciuto il mercato. Che in quel momento pagava anche 0,6, 0,7 centesimi». Di Donna ed Esposito quando intervengono? «Quando stava per essere formalizzato il secondo contratto». Un accordo da due milioni di mascherine. La settimana successiva Buini ne avrebbe dovuto fornire altri 5 e ulteriori 10 milioni ogni sette giorni per tre mesi. Quasi 170 milioni di dispositivi in tutto che avrebbero dovuto portare nelle tasche di Buini circa 70 milioni di euro. «Se avessi accettato le condizioni di Di Donna ed Esposito sarei ricco, ma sono orgoglioso di quel che ho fatto. Gli imprenditori come me non dovrebbero sottostare a certe logiche, questi poteri andrebbero disinnescati».
Ovviamente Buini non immaginava che annullando il contratto con i due avvocati avrebbe perso milioni: «Il contratto più grande, quello da 160 milioni non lo avevo ancora firmato, lo avevo solo concordato. Lo avrei siglato da lì a qualche giorno. Ma poi la struttura commissariale non ha più risposto alle mie telefonate, né alle mail, né su Whatsapp. Da quando ho mandato quella Pec sono stato completamente ignorato». Qualcuno le avrà detto qualcosa? «Quando hanno disdetto la fornitura ho chiesto spiegazioni via mail e il responsabile dei contratti, Antonio Fabbrocini, mi ha risposto che “per mutate sopravvenute esigenze della struttura commissariale" non sarebbe stato possibile procedere a nessun tipo di contratto. Questa mail i pm ce l'hanno. Credo che sia uno dei documenti caldi dell'inchiesta. Anche perché dopo hanno comprato milioni di chirurgiche a un prezzo maggiore del mio». Il riferimento neppure troppo velato è alla fornitura da 800 milioni di pezzi da parte di Mario Benotti & c..
Buini ripensa a quanto gli sia successo: «Mi avevano coinvolto in una video conferenza con tutte le organizzazioni dei farmacisti. Il generale Rinaldo Ventriglia, l'uomo che si occupava della logistica nella struttura commissariale, mi pregò di fare partire il carico delle 500.000 mascherine alla sera alle sei anziché la mattina dopo perché sarebbe stato troppo tardi. Poi quelle stesse mascherine, pochi giorni dopo, me le ha rispedite indietro. Sono rimasto esterrefatto. All'epoca eravamo in pienissima pandemia e quei signori con quelle facce scure la sera venivano a darci il numero dei morti…». Gli chiediamo se ricordi il nome del generale della Guardia di finanza che avrebbe incontrato nello studio Alpa. Risposta: «Non me lo ricordo e poi ho paura di dire cose coperte da segreto». Era in divisa? «No. I militari, che erano due, avevano la faccia pulita e perbene. Ho avuto l'impressione che fossero lì per avvalorare la figura di quella persona e che, magari, Di Donna mi avesse fatto capitare appositamente nell'orario in cui attendeva quei signori». L'incontro è avvenuto nello studio Alpa o in quello Di Donna? «No era lo studio Alpa, anche se non ho incontrato il professore. Mi sembra di ricordare che ci fosse anche una foto dell'avvocato Alpa con il Papa». Chiediamo a Buini se qualcuno gli abbia fatto riferimenti a Conte. «Di lui mi ha parlato l'avvocato Esposito. Mi ha anche fatto vedere un articolo su Internet in cui Di Donna era indicato come uno dei fedelissimi di Conte, di cui era il braccio destro». Di Donna le ha fatto gli stessi discorsi? «No».
Buini ha incontrato la coppia di legali due volte, una nello studio Esposito, l'altra nello studio Alpa. Poi li ha cercati inutilmente per un paio di settimane per disdire l'accordo. Ma non essendoci riuscito ha deciso di inviare una pec. Dopo la quale sono iniziati tutti i suoi guai.
Visto che insistiamo con le domande, Buini ci stoppa: «Quando sono andato a deporre ho detto tutto. Non mi sono tenuto nulla. Ma ho anche avuto tristi conseguenze dopo questa vicenda».
Non sappiamo se il riferimento sia ad alcune inchieste di cui i giornali hanno dato notizia e in cui Buini risulta indagato per diversi reati. Le notizie di stampa sono uscite nel 2021, dopo la sua deposizione a Roma: «Non voglio fare collegamenti, potrebbero essere suggestioni, ma per me è stato un anno molto pesante. Le confermo che quando il mio nome è finito sui media avevo già parlato con la Procura di Roma». Un ultimo interrogativo: Buini ha mai incontrato l'ex commissario Domenico Arcuri? «No. E non gli ho mai nemmeno parlato».
L’avvocato promosso dalla Raggi nel giorno della perquisizione
Se esistesse un Premio Nobel per l'intempestività, la sindaca uscente di Roma, Virginia Raggi, a quest'ora starebbe a Stoccolma a ringraziare il comitato per l'onorificenza assegnatale. Ci vuole, infatti, del talento per firmare, come lei ha fatto martedì scorso, 5 ottobre, la nomina a consigliere di amministrazione dell'Ipa (l'Istituto di previdenza e assistenza per i dipendenti di Roma Capitale) di un avvocato che, proprio quello stesso giorno, è stato perquisito e indagato. Stiamo parlando di Gianluca Maria Carmelo Esposito, rampante legale cinquantenne di Lagonegro rimasto impigliato, insieme a Luca Di Donna, ex socio di studio di Giuseppe Conte, e a un gruppetto di imprenditori e professionisti, in una inchiesta che tocca i nervi scoperti della stagione malata del coronavirus e degli affari (di Stato e non) che ne sono derivati.
Esposito è stato promosso con l'ordinanza n. 167 del «Gabinetto della sindaca» di Roma come componente del nuovo board dell'ente, e resterà in carica cinque anni insieme al presidente Fabio Serini, già commissario dell'Ipa, e all'altro consigliere, Carmela Cucca. Percependo «i compensi e gli eventuali rimborsi» previsti dal nuovo statuto, ha specificato la Raggi che, giusto ventiquattr'ore prima della nomina, era stata sconfitta alle elezioni.
Ma chi è l'avvocato Esposito? Per i pm di Roma, insieme a Di Donna e a un terzo legale, Valerio De Luca, avrebbe «promosso e costituito una associazione, utilizzando come schermo anche la Universal Trust e la Task Force Italia (due società riconducibili ad altri indagati, ndr)» per «commettere più delitti contro la pubblica amministrazione». Nella prospettazione accusatoria, Esposito, Di Donna e De Luca avrebbero messo a disposizione di chiunque fosse interessato le loro buone relazioni nei palazzi del potere, dividendo «talora anche in proporzione all'intervento» i proventi ricevuti, e coprendosi l'un l'altro con «mandati di collaborazione professionale» che mascheravano origine e finalità dei trasferimenti di denaro.
Nel decreto di perquisizione c'è scritto che i professionisti intrattenevano rapporti con «pubblici ufficiali incardinati presso la struttura commissariale per l'emergenza Covid (tra i quali il commissario Arcuri e il dott. Ventriglia)» e ne garantivano la «messa a disposizione» in favore di società e imprese che volessero entrare in affari con il commissariato. Tant'è che, nelle carte dell'indagine, si fa esplicito riferimento a ricche commissioni, incassate e triangolate dal terzetto, ottenute per la fornitura di test molecolari del valore di oltre due milioni di euro. Ma non è tutto. Esposito avrebbe anche offerto a imprenditori e capitani d'industria in cerca di fondi pubblici veri e propri servizi di «mediazione illecita». Gli inquirenti la qualificano in questo modo perché sarebbe «occulta e fondata su relazioni personali con pubblici ufficiali» di Invitalia, la struttura dove ancora oggi comanda Arcuri, «al fine di favorire il finanziamento di progetti» in corso di valutazione. Tra cui uno – è citato nei documenti – di circa 40 milioni al Gruppo Barletta.
La carriera di Esposito – che, come tutti gli altri, avrà modo di difendersi e di contestare le ricostruzioni della Procura capitolina – comincia nel 2000, quando a soli 29 anni è già docente della Scuola superiore Pubblica amministrazione. Due anni dopo arriva la prima docenza, in diritto amministrativo, all'Università di Tor Vergata. Nel 2005 il suo cursus honorum accademico fa un passo in avanti con la nomina a professore associato all'Università di Salerno (diritto dell'Ambiente). Nel 2015 diventa titolare delle cattedre di diritto amministrativo e di diritto tributario e sempre nell'ateneo con sede a Fisciano nell'anno accademico 2017-2018 dirige il «Corso post lauream di perfezionamento in Anticorruzione e Appalti nella Pubblica amministrazione». Oltre all'attività professionale, dal 2020 è professore di prima fascia di diritto amministrativo all'Università La Sapienza di Roma. Ma più che quella accademica è la sua carriera da alto dirigente ministeriale a creare le basi del rapporto con Invitalia su cui si stanno concentrando le verifiche degli investigatori. Tra il 2009 e il 2011 infatti, ricopre il ruolo di direttore generale per l'incentivazione delle attività imprenditoriali del ministero dello Sviluppo economico, dove era arrivato nel 2008 come presidente delle commissioni di esperti sulla mobilità sostenibile e sul made in Italy. Al Mise, di cui Invitalia (controllata al 100% dal Mef) è il braccio operativo, Esposito resta fino al 2013, con un cambio di incarico nel 2011, quando diventa direttore generale delle piccole e medie imprese. Proprio nel 2013 Esposito trasloca al ministero delle Politiche agricole come capo dipartimento delle politiche competitive. L'anno dopo fonda lo studio di Lungotevere Flaminio perquisito l'altro ieri dagli uomini del Nucleo investigativo dei carabinieri. Nel 2017 un breve ritorno nei giardini della politica come consulente del dipartimento Pari opportunità di Palazzo Chigi, all'epoca retto da Maria Elena Boschi. L'anno prima, da gennaio a dicembre del 2016, anche l'amico Di Donna aveva bazzicato Palazzo Chigi, come consigliere giuridico a titolo gratuito di Sandro Gozi.
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L'industriale Giovanni Buini: «In piena pandemia mi hanno chiesto di accelerare la consegna di mascherine, poi me le hanno rimandate indietro».Virginia Raggi, dopo la sconfitta elettorale, ha nominato Gianluca Maria Carmelo Esposito nel cda dell'Istituto di previdenza di Roma. Per i pm il professionista offriva «mediazioni illecite» agli imprenditori.Lo speciale contiene due articoli.Al momento è la vera vittima dell'inchiesta sull'avvocato Luca Di Donna, amico ed ex collega del premier Giuseppe Conte. Per la Procura di Roma il procedimento sarebbe «scaturito» dalla sua «presentazione spontanea» a piazzale Clodio. «In realtà sono stato convocato. Io non ho fatto nessuna denuncia, nemmeno un esposto. Sono stato chiamato per rendere talune informazioni che ho prontamente fornito: immagino che quella questione fosse già nota agli inquirenti. Magari ero stato intercettato». Inizia così il colloquio con l'imprenditore Giovanni Buini, trentacinquenne originario di Assisi, profondamente provato dalle disavventure che lo hanno travolto nell'ultimo anno. «Mi creda, però, che l'importanza di questa cosa l'ho capita al punto di andare a raccontare tutto, senza trattenermi niente. Sono rimasto schifato e ho fatto tutto quanto il possibile per la collettività». Prima di continuare, però, ricordiamo i fatti. Davvero clamorosi. Dopo che nell'aprile del 2020, con la sua Ares Safety Srl, Buini aveva fornito un milione di mascherine alla struttura commissariale al prezzo di 0,42 euro al pezzo (totale 420.000 euro), mentre è in trattativa per ulteriori forniture, entra in contatto con gli avvocati Esposito e Di Donna, indicatigli dall'amico Mattia Fella quali facilitatori con la struttura commissariale. I legali, come abbiamo raccontato ieri, prima gli fanno firmare un accordo per il riconoscimento di somme di denaro e poi lo convocano nello studio Alpa (dove aveva lavorato anche Conte), non senza aver rimarcato «la vicinanza di Di Donna con ambienti istituzionali governativi». All'appuntamento Di Donna avrebbe fatto trovare a Buini anche un generale della Guardia di finanza (che sarebbe transitato nei servizi segreti) che avrebbe evidenziato la necessità di mascherine per la struttura.A questo punto «le modalità opache» della proposta di mediazione convincono Buini a recedere dall'accordo già sottoscritto. Risultato? «In singolare concomitanza con l'interruzione dei rapporti» con i due avvocati, si legge nel decreto di perquisizione, Buini avrebbe «ricevuto una mail da parte di Antonio Fabbrocini (responsabile unico del procedimento, ndr) con la quale la struttura commissariale gli comunicava il mancato perfezionamento del contratto di fornitura di ulteriori quantitativi di mascherine e addirittura la restituzione per sopravvenute mutate esigenze della struttura commissariale delle 500.000 mascherine precedentemente già consegnate».Buini, imprenditore nel settore dell'abbigliamento e dei dispositivi di protezione, nonché importatore dalla Cina, aveva iniziato il business inviando a Invitalia una mail, in cui informava la struttura di avere un milione di mascherine a disposizione. «Ci ricontattarono per chiederci se davvero avessimo disponibilità immediata e gliele abbiamo messe a disposizione a un prezzo ben più basso di quello che ci avrebbe riconosciuto il mercato. Che in quel momento pagava anche 0,6, 0,7 centesimi». Di Donna ed Esposito quando intervengono? «Quando stava per essere formalizzato il secondo contratto». Un accordo da due milioni di mascherine. La settimana successiva Buini ne avrebbe dovuto fornire altri 5 e ulteriori 10 milioni ogni sette giorni per tre mesi. Quasi 170 milioni di dispositivi in tutto che avrebbero dovuto portare nelle tasche di Buini circa 70 milioni di euro. «Se avessi accettato le condizioni di Di Donna ed Esposito sarei ricco, ma sono orgoglioso di quel che ho fatto. Gli imprenditori come me non dovrebbero sottostare a certe logiche, questi poteri andrebbero disinnescati».Ovviamente Buini non immaginava che annullando il contratto con i due avvocati avrebbe perso milioni: «Il contratto più grande, quello da 160 milioni non lo avevo ancora firmato, lo avevo solo concordato. Lo avrei siglato da lì a qualche giorno. Ma poi la struttura commissariale non ha più risposto alle mie telefonate, né alle mail, né su Whatsapp. Da quando ho mandato quella Pec sono stato completamente ignorato». Qualcuno le avrà detto qualcosa? «Quando hanno disdetto la fornitura ho chiesto spiegazioni via mail e il responsabile dei contratti, Antonio Fabbrocini, mi ha risposto che “per mutate sopravvenute esigenze della struttura commissariale" non sarebbe stato possibile procedere a nessun tipo di contratto. Questa mail i pm ce l'hanno. Credo che sia uno dei documenti caldi dell'inchiesta. Anche perché dopo hanno comprato milioni di chirurgiche a un prezzo maggiore del mio». Il riferimento neppure troppo velato è alla fornitura da 800 milioni di pezzi da parte di Mario Benotti & c.. Buini ripensa a quanto gli sia successo: «Mi avevano coinvolto in una video conferenza con tutte le organizzazioni dei farmacisti. Il generale Rinaldo Ventriglia, l'uomo che si occupava della logistica nella struttura commissariale, mi pregò di fare partire il carico delle 500.000 mascherine alla sera alle sei anziché la mattina dopo perché sarebbe stato troppo tardi. Poi quelle stesse mascherine, pochi giorni dopo, me le ha rispedite indietro. Sono rimasto esterrefatto. All'epoca eravamo in pienissima pandemia e quei signori con quelle facce scure la sera venivano a darci il numero dei morti…». Gli chiediamo se ricordi il nome del generale della Guardia di finanza che avrebbe incontrato nello studio Alpa. Risposta: «Non me lo ricordo e poi ho paura di dire cose coperte da segreto». Era in divisa? «No. I militari, che erano due, avevano la faccia pulita e perbene. Ho avuto l'impressione che fossero lì per avvalorare la figura di quella persona e che, magari, Di Donna mi avesse fatto capitare appositamente nell'orario in cui attendeva quei signori». L'incontro è avvenuto nello studio Alpa o in quello Di Donna? «No era lo studio Alpa, anche se non ho incontrato il professore. Mi sembra di ricordare che ci fosse anche una foto dell'avvocato Alpa con il Papa». Chiediamo a Buini se qualcuno gli abbia fatto riferimenti a Conte. «Di lui mi ha parlato l'avvocato Esposito. Mi ha anche fatto vedere un articolo su Internet in cui Di Donna era indicato come uno dei fedelissimi di Conte, di cui era il braccio destro». Di Donna le ha fatto gli stessi discorsi? «No». Buini ha incontrato la coppia di legali due volte, una nello studio Esposito, l'altra nello studio Alpa. Poi li ha cercati inutilmente per un paio di settimane per disdire l'accordo. Ma non essendoci riuscito ha deciso di inviare una pec. Dopo la quale sono iniziati tutti i suoi guai.Visto che insistiamo con le domande, Buini ci stoppa: «Quando sono andato a deporre ho detto tutto. Non mi sono tenuto nulla. Ma ho anche avuto tristi conseguenze dopo questa vicenda».Non sappiamo se il riferimento sia ad alcune inchieste di cui i giornali hanno dato notizia e in cui Buini risulta indagato per diversi reati. Le notizie di stampa sono uscite nel 2021, dopo la sua deposizione a Roma: «Non voglio fare collegamenti, potrebbero essere suggestioni, ma per me è stato un anno molto pesante. Le confermo che quando il mio nome è finito sui media avevo già parlato con la Procura di Roma». Un ultimo interrogativo: Buini ha mai incontrato l'ex commissario Domenico Arcuri? «No. E non gli ho mai nemmeno parlato».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scaricare-di-donna-arcuri-esclusero-2655240186.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lavvocato-promosso-dalla-raggi-nel-giorno-della-perquisizione" data-post-id="2655240186" data-published-at="1633549728" data-use-pagination="False"> L’avvocato promosso dalla Raggi nel giorno della perquisizione Se esistesse un Premio Nobel per l'intempestività, la sindaca uscente di Roma, Virginia Raggi, a quest'ora starebbe a Stoccolma a ringraziare il comitato per l'onorificenza assegnatale. Ci vuole, infatti, del talento per firmare, come lei ha fatto martedì scorso, 5 ottobre, la nomina a consigliere di amministrazione dell'Ipa (l'Istituto di previdenza e assistenza per i dipendenti di Roma Capitale) di un avvocato che, proprio quello stesso giorno, è stato perquisito e indagato. Stiamo parlando di Gianluca Maria Carmelo Esposito, rampante legale cinquantenne di Lagonegro rimasto impigliato, insieme a Luca Di Donna, ex socio di studio di Giuseppe Conte, e a un gruppetto di imprenditori e professionisti, in una inchiesta che tocca i nervi scoperti della stagione malata del coronavirus e degli affari (di Stato e non) che ne sono derivati. Esposito è stato promosso con l'ordinanza n. 167 del «Gabinetto della sindaca» di Roma come componente del nuovo board dell'ente, e resterà in carica cinque anni insieme al presidente Fabio Serini, già commissario dell'Ipa, e all'altro consigliere, Carmela Cucca. Percependo «i compensi e gli eventuali rimborsi» previsti dal nuovo statuto, ha specificato la Raggi che, giusto ventiquattr'ore prima della nomina, era stata sconfitta alle elezioni. Ma chi è l'avvocato Esposito? Per i pm di Roma, insieme a Di Donna e a un terzo legale, Valerio De Luca, avrebbe «promosso e costituito una associazione, utilizzando come schermo anche la Universal Trust e la Task Force Italia (due società riconducibili ad altri indagati, ndr)» per «commettere più delitti contro la pubblica amministrazione». Nella prospettazione accusatoria, Esposito, Di Donna e De Luca avrebbero messo a disposizione di chiunque fosse interessato le loro buone relazioni nei palazzi del potere, dividendo «talora anche in proporzione all'intervento» i proventi ricevuti, e coprendosi l'un l'altro con «mandati di collaborazione professionale» che mascheravano origine e finalità dei trasferimenti di denaro. Nel decreto di perquisizione c'è scritto che i professionisti intrattenevano rapporti con «pubblici ufficiali incardinati presso la struttura commissariale per l'emergenza Covid (tra i quali il commissario Arcuri e il dott. Ventriglia)» e ne garantivano la «messa a disposizione» in favore di società e imprese che volessero entrare in affari con il commissariato. Tant'è che, nelle carte dell'indagine, si fa esplicito riferimento a ricche commissioni, incassate e triangolate dal terzetto, ottenute per la fornitura di test molecolari del valore di oltre due milioni di euro. Ma non è tutto. Esposito avrebbe anche offerto a imprenditori e capitani d'industria in cerca di fondi pubblici veri e propri servizi di «mediazione illecita». Gli inquirenti la qualificano in questo modo perché sarebbe «occulta e fondata su relazioni personali con pubblici ufficiali» di Invitalia, la struttura dove ancora oggi comanda Arcuri, «al fine di favorire il finanziamento di progetti» in corso di valutazione. Tra cui uno – è citato nei documenti – di circa 40 milioni al Gruppo Barletta. La carriera di Esposito – che, come tutti gli altri, avrà modo di difendersi e di contestare le ricostruzioni della Procura capitolina – comincia nel 2000, quando a soli 29 anni è già docente della Scuola superiore Pubblica amministrazione. Due anni dopo arriva la prima docenza, in diritto amministrativo, all'Università di Tor Vergata. Nel 2005 il suo cursus honorum accademico fa un passo in avanti con la nomina a professore associato all'Università di Salerno (diritto dell'Ambiente). Nel 2015 diventa titolare delle cattedre di diritto amministrativo e di diritto tributario e sempre nell'ateneo con sede a Fisciano nell'anno accademico 2017-2018 dirige il «Corso post lauream di perfezionamento in Anticorruzione e Appalti nella Pubblica amministrazione». Oltre all'attività professionale, dal 2020 è professore di prima fascia di diritto amministrativo all'Università La Sapienza di Roma. Ma più che quella accademica è la sua carriera da alto dirigente ministeriale a creare le basi del rapporto con Invitalia su cui si stanno concentrando le verifiche degli investigatori. Tra il 2009 e il 2011 infatti, ricopre il ruolo di direttore generale per l'incentivazione delle attività imprenditoriali del ministero dello Sviluppo economico, dove era arrivato nel 2008 come presidente delle commissioni di esperti sulla mobilità sostenibile e sul made in Italy. Al Mise, di cui Invitalia (controllata al 100% dal Mef) è il braccio operativo, Esposito resta fino al 2013, con un cambio di incarico nel 2011, quando diventa direttore generale delle piccole e medie imprese. Proprio nel 2013 Esposito trasloca al ministero delle Politiche agricole come capo dipartimento delle politiche competitive. L'anno dopo fonda lo studio di Lungotevere Flaminio perquisito l'altro ieri dagli uomini del Nucleo investigativo dei carabinieri. Nel 2017 un breve ritorno nei giardini della politica come consulente del dipartimento Pari opportunità di Palazzo Chigi, all'epoca retto da Maria Elena Boschi. L'anno prima, da gennaio a dicembre del 2016, anche l'amico Di Donna aveva bazzicato Palazzo Chigi, come consigliere giuridico a titolo gratuito di Sandro Gozi.
Il governatore della banca centrale indiana Sanjay Malhotra (Getty Images)
La decisione arriva dopo i dati ufficiali diffusi la scorsa settimana, che certificano un’espansione dell’8,2% nel trimestre chiuso a settembre. Numeri che mostrano come l’economia indiana abbia finora assorbito senza scosse l’impatto dei dazi al 50% imposti dagli Stati Uniti sulle esportazioni di Nuova Delhi.
Un sostegno decisivo è arrivato dal crollo dell’inflazione: dal sopra il 6% registrato nel 2024 a livelli prossimi allo zero. Un calo che, secondo gli analisti, offre ulteriore margine per nuovi tagli nei prossimi mesi. «Nonostante un contesto esterno sfavorevole, l’economia indiana ha mostrato una resilienza notevole», ha dichiarato Malhotra, pur avvertendo che la crescita potrebbe «attenuarsi leggermente». Ma la combinazione di espansione superiore alle attese e inflazione «benigna» nel primo semestre fiscale rappresenta, ha aggiunto, «un raro periodo Goldilocks».
Sulla scia dell’ottimismo, l’RBI ha rivisto al rialzo la stima di crescita per l’anno fiscale che si chiuderà a marzo: +7,3%, mezzo punto in più rispetto alle previsioni precedenti.
La reazione dei mercati è stata immediata: la Borsa di Mumbai ha chiuso in rialzo (Sensex +0,2%, Nifty 50 +0,3%), mentre la rupia si è indebolita dello 0,4% superando quota 90 sul dollaro, molto vicino ai minimi storici toccati due giorni prima. La valuta indiana è la peggiore d’Asia dall’inizio dell’anno. Malhotra ha ribadito che la banca centrale non persegue un tasso di cambio specifico: «Il nostro obiettivo è solo ridurre volatilità anomala o eccessiva».
Il Paese, fortemente trainato dalla domanda interna, risente meno di altri dell’offensiva tariffaria voluta da Donald Trump, che ad agosto ha raddoppiato i dazi sui prodotti indiani come ritorsione per gli acquisti di petrolio russo scontato. Una rupia debole, inoltre, aiuta alcuni esportatori a restare competitivi. Tuttavia, gli analisti prevedono che gli effetti più pesanti della guerra commerciale si vedranno nell’attuale trimestre e invitano a prudenza anche sulla recente lettura del Pil.
Tra gli obiettivi politici di lungo periodo rimane quello fissato dal premier Narendra Modi: diventare un Paese «sviluppato» entro il 2047, centenario dell’indipendenza. Per riuscirci, servirebbe una crescita media dell’8% l’anno. Il governo ha avviato negli ultimi mesi una serie di riforme strutturali - dalla semplificazione dell’imposta su beni e servizi alla revisione del codice del lavoro - per proteggere l’economia dagli shock esterni.
Malhotra aveva assunto la guida dell’RBI in una fase di rallentamento economico e inflazione oltre il tetto del 6%. Da allora ha accelerato sul fronte monetario: tre tagli consecutivi nei primi mesi del 2025 per un punto percentuale complessivo. L’inflazione retail di ottobre si è fermata allo 0,25% annuo.
Il governatore ha annunciato anche un intervento di liquidità: operazioni di mercato aperto per 1.000 miliardi di rupie e swap dollaro-rupia per 5 miliardi di dollari, per sostenere il sistema finanziario.
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Palazzo Berlaymont a Bruxelles, sede della Commissione europea (Getty Images)
Una di queste si chiama S-info, che sta per Sustainable information. Come si legge sul sito ufficiale, «si tratta di un progetto finanziato dall’Ue, incentrato sui media e ispirato dall’esigenza di rafforzare la democrazia. Ha una durata di due anni, da dicembre 2023 a novembre 2025. Coinvolge organizzazioni di quattro Paesi dell’Unione europea: Italia, Belgio, Romania e Malta. Il progetto esplorerà i modi in cui gli attivisti della società civile e i giornalisti indipendenti possono collaborare per svolgere giornalismo investigativo, combattere la disinformazione, combattere la corruzione, promuovere i diritti sociali e difendere l’ambiente. L’obiettivo finale è quello di creare un modello operativo di attivismo mediatico sostenibile che possa essere trasferito ad altri Paesi e contesti».
La tiritera è la solita: lotta alla disinformazione, promozione dei diritti... S-info è finanziato da Eacea, ovvero l’agenzia esecutiva della Commissione europea che gestisce il programma Europa creativa, il quale a sua volta finanzia il progetto giornalistico in questione con la bellezza di 492.989 euro. E che cosa fa con questi soldi il progetto europeo? Beh, tra le altre cose finanzia inchieste che sono presentate come giornalismo investigativo. Una di queste è stata realizzata da Alice Dominese, la cui biografia online descrive come «laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali tra Italia e Francia, con un master in giornalismo. Collabora con L’Espresso e Domani, e ha scritto per La Stampa, Il Manifesto e The Post Internazionale, tra gli altri. Si occupa principalmente di diritti, migrazione e tematiche di genere».
La sua indagine, facilmente rintracciabile online, è intitolata Sottotraccia ed è dedicata ai temibili movimenti pro vita. «Questo articolo», si legge nella presentazione, «è il frutto di una delle due inchieste finanziate in Italia dal grant del progetto europeo S-info, cofinanziato dalla Commissione europea. La pubblicazione originale si trova sul sito ufficiale del progetto. In questa inchiesta, interviste e analisi di documenti ottenuti tramite una richiesta di accesso agli atti esplorano il rapporto tra movimento antiabortista, sanità e servizi pubblici in Piemonte. Le informazioni raccolte fanno luce sull’uso che le associazioni pro vita fanno dei finanziamenti regionali e sul ruolo della Stanza dell’ascolto, il presidio che ha permesso a queste associazioni di inserirsi nel primo ospedale per numero di interruzioni volontarie di gravidanza in Italia».
Niente in contrario ai finanziamenti pubblici, per carità. Ma guarda caso questi soldi finiscono a giornalisti decisamente sinistrorsi che, pronti via, se la prendono con i movimenti per la vita. Non stupisce, dopo tutto i partner italiani del progetto S-info sono Globalproject.info, Melting pot Europa e Sherwood.it, tutti punti di riferimento mediatici della sinistra antagonista.
Proprio Radio Sherwood, lo scorso giugno, ha organizzato a Padova il S-info day, durante il quale è stato presentato il manifesto per il giornalismo sostenibile. Evento clou della giornata un dibattito intitolato «Sovvertire le narrazioni di genere». Partecipanti: «L’attivista transfemminista Elena Cecchettin e la giornalista Giulia Siviero, moderato da Anna Irma Battino di Global project». La discussione si è concentrata «su come le narrazioni di genere, troppo spesso costruite attorno a stereotipi o plasmate da dinamiche di potere, possano essere decostruite e trasformate attraverso un giornalismo più consapevole, posizionato e inclusivo». Tutto meraviglioso: la Commissione europea combatte la disinformazione finanziando incontri sulla decostruzione del genere e inchieste contro i pro vita. Alla faccia della libera informazione.
«Da Bruxelles», ha dichiarato Maurizio Marrone, assessore piemontese alle Politiche sociali, «arriva una palese ingerenza estera per screditare azioni deliberate dal governo regionale eletto dai piemontesi, peraltro con allarmismi propagandistici smentiti dalla realtà. Il nostro fondo Vita nascente finanzia sì anzitutto i progetti dei centri di aiuto alla vita a sostegno delle madri in difficoltà, ma eroga contributi anche ai servizi di assistenza pubblica per le medesime finalità, partendo dall’accompagnamento nei parti in anonimato. Ci troviamo di fronte a un grave precedente, irrispettoso delle autonomie locali italiane e della loro sovranità».
Carlo Fidanza, capodelegazione europeo di Fdi, annuncia invece che presenterà «un’interrogazione parlamentare alla Commissione europea per far luce sui finanziamenti dell’agenzia Eacea a questi attacchi mediatici creati a tavolino per alimentare odio ideologico contro il volontariato pro vita. L’Unione europea dovrebbe sostenere le politiche delle Regioni italiane, non alimentare con soldi pubblici la macchina del fango contro le loro iniziative non omologate al pensiero unico woke».
Insomma, a Bruxelles piace il giornalismo libero. A patto che sia pagato dai contribuenti per prendersela con i nemici ideologici.
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