2019-09-26
Scagionate le sigarette elettroniche. Il killer è il liquido alla cannabis
True
Falso allarme: le indagini dimostrano che le morti non dipendono dai dispositivi, ma dallo «svapo» di prodotti contraffatti con l'aggiunta di composti a base di Thc. In Europa e nel nostro Paese vigono norme molto severe.Più che un grosso allarme, una gran confusione. Si può riassumere così l'epidemia di paura scoppiata negli Stati Uniti, e di riflesso nel resto del mondo, alla notizia degli almeno otto morti e 530 malati colpiti da patologie polmonari per aver utilizzato sigarette elettroniche. Il presidente Trump ha proposto di ritirarne buona parte dal mercato, nonostante negli Usa siano usate da quasi 11 milioni di persone (il dato lo riporta la Reuters) salvo poi correggere il tiro promettendo approfondimenti e provvedimenti sul tema, in particolare per proteggere i minori; altri sono già passati ai fatti: la catena di negozi Walmart smetterà di venderle, lo stato di New York ha deciso di vietare la maggior parte di quelle aromatizzate. Eppure, come hanno chiarito vari approfondimenti e analisi riportate dalle principali testate internazionali, da The Guardian a Bloomberg, l'imputato numero uno di quei decessi e di quelle patologie non è stato l'uso del prodotto in sé, ma dei liquidi che lo fanno funzionare. Ovvero sostanze che nulla c'entrano con gli impieghi ortodossi del sostituto della sigaretta tradizionale. Tra queste, il THC, uno dei composti psicoattivi della cannabis, mescolato con la vitamina E: «Si tratta di un olio» lo riferisce The Economist «che non dovrebbe entrare nei polmoni» in quanto può causare malattie se inalato. E poi sono state rinvenute tracce di mercurio, frammenti di arsenico e altre schifezze assortite.Le ragioni di tale sovrapposizione logica, dell'equivoco che ha portato a un'improvvisa criminalizzazione della sigaretta elettronica, finanche al suo ritiro dagli scaffali in India e dai siti di e-commerce in Cina, vanno ricercate in una pessima moda esplosa negli Stati Uniti e raccontata pochi giorni fa da una lunga inchiesta del quotidiano Usa Today: detto in modo brutale ma efficace, gli americani, specie giovani e giovanissimi, usano la sigaretta elettronica per sballarsi. Non tanto come sostituto delle sigarette, quanto delle canne. Comprano da spacciatori per strada o su negozi web improvvisati, cartucce fatte in casa (cioè le ricariche dell'e-cig), le quali contengono THC contaminato e mescolato con composti nocivi e alla lunga fatali. «I ragazzini non vogliono più rollare le canne» dice efficacemente un intervistato citato dal giornale. L'abitudine è diffusissima (per esempio, permette di nascondere ai genitori cosa si sta consumando davvero), le conseguenze si stanno facendo sentire tutte insieme con morti e malati. Ma l'FDA, la Food and drug administration, l'organismo che Oltreoceano regolamenta i prodotti farmaceutici, «giustamente si rifiuta di andare nel panico. Dice di non comprare prodotti che contengono estratti di cannabis» (di nuovo The Economist), non certo di abbandonare la sigaretta elettronica.Perché il nodo è tutto qui: sebbene l'unica sigaretta che non nuoce alla salute rimanga quella spenta, questo suo sostituto tecnologico «è molto meno nocivo del consumo del tabacco». Lo è fino al 95 per cento in meno. È una soluzione sensata per chi non riesce o, semplicemente non vuole smettere di fumare. A sostenerlo non è una lobby, né una multinazionale del settore, ma l'agenzia della salute pubblica inglese, che con un tweet dello scorso 12 settembre ha voluto ribadire la sua posizione netta sul tema. Come peraltro ha fatto con un comunicato ufficiale il nostro Istituto Superiore di Sanità, sottolineando che «non esiste alcun piano ISS in cui è prevista una stretta in arrivo sulla e-cig». Ciò per mettere a tacere le notizie di stampa che sventolavano divieti anche nel Bel Paese sull'onda emotiva di quanto avvenuto negli Stati Uniti. Perché in Inghilterra, in Italia (dove sono usate da circa 900 mila persone), come nella maggior parte del Vecchio Continente, non esistono situazioni paragonabili a quelle degli Usa. Non ci sono spacciatori agli angoli delle strade che vendono cartucce contraffate, caricate alla meno peggio di sostanze stupefacenti dopo aver imparato come fare su YouTube: nemmeno questa è una supposizione, bensì è uno dei punti shock svelati dalle inchieste giornalistiche statunitensi. Vigono regole ferree scolpite principalmente in una direttiva europea, la 40 del 2014, che contiene misure plurime per tutelare i consumatori dall'immissione sul mercato di sostanze non autorizzate. Ogni nuovo prodotto va notificato all'Ue sei mesi prima della messa in vendita e deve corrispondere a un lungo elenco di prerequisiti, oltre a specificare i suoi ingredienti e i dati tossicologici legati al suo uso, le emissioni e l'impatto sulla salute dei consumatori. Insomma, tutto passa sotto una grande lente d'ingrandimento. E non fa eccezione l'Italia, che ha recepito la direttiva condendola con stringenti barriere di vendita ai minori. Negli Stati Uniti, al confronto, siamo al Far West: ci sono vuoti normativi simili a voragini. Il che, oltre alla proliferazione di un mercato nero basato sulla cannabis e non sulla nicotina, ha consentito ad alcune aziende - lo ha raccontato il New York Times - di fare leva sui giovanissimi con contenuti di marketing e aromi accattivanti per indurli a iniziare a svapare. Mentre la sigaretta elettronica è un prodotto destinato ai fumatori adulti che cercano un'alternativa con minore impatto sull'organismo. Perché pare esserlo davvero: «Non è risk free, ovvio, ma non ci sono dubbi che i suoi livelli di pericolosità siano inferiori rispetto alla sigaretta tradizionale» ci dice Riccardo Polosa, direttore del CoEHAR, il Centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo dell'Università degli Studi di Catania. Polosa fa parte di una commissione di esperti nata in seno al Comitato Europeo di Normazione (CEN) che ha il compito di sviluppare standard tecnici di qualità e sicurezza per la produzione e la vendita di sigarette elettroniche in Europa. «Stiamo lavorando per definire standard ancora più completi» chiarisce Polosa «in nome di un approccio meno emotivo, razionale». Scendendo nel dettaglio: «Stiamo lavorando alla verifica delle metodologie analitiche per la corretta valutazione dei contaminanti negli aerosol e al monitoraggio dei sistemi di sicurezza per i bambini che possono accidentalmente entrare in contatto con questi prodotti». In pratica, bisogna fare meglio e più approfonditamente quanto già è in atto.L'industria si muove sulla stessa linea delle autorità scientifiche, tra ossequio totale alle norme vigenti e disponibilità ad accogliere modifiche che siano portate avanti con giudizio. Valerio Forconi, Head of EU Affairs di Imperial Brands, per prima cosa ricorda che «le autorità europee e nazionali sanno cosa c'è dentro i prodotti del vaping venduti legalmente nell'UE». Poi sposta il discorso in prospettiva: «Si dovrebbe creare una normativa a sé stante separando il vaping dal tabacco, considerando anche il fatto che tali prodotti non contengono tabacco e, solo in alcuni casi, contengono nicotina». Non ha senso fare di tutta l'erba un fascio: «Questa nuova normativa dovrebbe prevedere standard qualitativi e di sicurezza elevati e rigorosi affinché i consumatori adulti possano utilizzare solo prodotti realizzati con ingredienti e componenti altamente sicuri e controllati. Questo sia per i liquidi che per le batterie ed accessori. Inoltre, dovrebbe essere consentita una comunicazione responsabile in modo da consentire ai produttori di informare i consumatori sulle caratteristiche e sulla minore potenziale nocività di questi prodotti affinché i consumatori adulti possano effettuare una scelta informata e consapevole». Qualcosa già bolle in pentola: «A tal riguardo» ricorda Forconi «è in corso una campagna europea di advocacy chiamata "Vaping is Not Tobacco" che ha esattamente l'obiettivo di addivenire ad una regolamentazione del vaping separata da quella del tabacco e che contempli standard qualitativi elevati».Nel frattempo, affidandosi a canali legittimi e produttori consolidati, da noi non dovrebbero ripetersi gli episodi tragici registrati negli Usa. «A patto di portare avanti una sorveglianza costante a livello locale, attenta, che rimane imprescindibile» conferma Polosa, prima di insistere nel ribadire il fulcro della vicenda: «I comuni prodotti da svapo utilizzati dai fumatori per smettere di fumare non hanno nulla a che vedere con quelli presenti sul mercato nero statunitense e che stanno causando un serio problema di salute pubblica. È necessario ora più che mai un controllo attento sui prodotti da vaporizzazione a base di cannabis, non di certo su quello delle sigarette elettroniche che, per legge, in Europa è già monitorato». In caso contrario, procedendo sbarramenti imposti al mercato legittimo, si torna indietro anziché andare avanti. Lo testimonia la vicenda dell'India: «Dove» sottolinea Forconi «l'OMS ha accolto con tono celebrativo l'introduzione del divieto di vendita di prodotti del vaping da parte del governo. Parliamo di un Paese dove ci sono circa 120 milioni di fumatori che si vedranno preclusa la possibilità di passare a prodotti potenzialmente meno rischiosi come il vaping». Lo stesso spettro è stato agitato Oltreoceano, in alcuni casi il fantasma si è palesato con un divieto. Avverando quel timore che David Abrams, professore della New York University, ha sottolineato con forza: perdere «la prima opportunità in 120 anni di sbarazzarsi delle sigarette con una nuova tecnologia che fornisce nicotina in maniera molto soddisfacente senza i principali danni causati dalla combustione del tabacco».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 17 settembre 2025. Il nostro Giorgio Gandola commenta le trattative nel centrodestra per la candidatura a presidente in Veneto, Campania e Puglia.