2020-11-03
Saviano vuol tornare guru della sinistra e detta la nuova linea: «È l’ora di odiare»
Roberto Saviano (Archivio Mondadori via Getty Images)
I suoi adepti di un tempo lo hanno abbandonato. Lui si ricicla smentendo sé stesso: «La strada da seguire non è la gentilezza».Roberto Saviano ha avuto un attacco di feroce nostalgia. Non si può certo dire che negli ultimi anni la sorte gli sia stata avversa: grazie alla serie tv Gomorra i suoi libri hanno riguadagnato la vetta delle classifiche, la sua carriera di autore ha ripreso ossigeno. Eppure Roberto non è soddisfatto: gli mancano i bei giorni lontani in cui non faceva lo scrittore bensì il guru.Ricordate? Nelle trasmissioni di Michele Santoro veniva interpellato come un oracolo; le luci degli studi Rai si riflettevano sulla sua testa pelata illuminandolo come un santo; insieme con Fabio Fazio portava alle masse la buona novella progressista. Quanto tempo è passato... Una volta Saviano, con un articolo, era in grado di influenzare i destini del Pd, c'era chi l'avrebbe voluto alla guida del partito come «papa straniero». Poi, d'un colpo, tutto è finito. Le sue prediche in prima serata hanno iniziato a stufare, i suoi adepti di un tempo, non appena gli ascolti sono calati, lo hanno abbandonato. I suoi libri intrisi di moralina hanno smesso di vendere copie a tonnellate. Così il guru è stato costretto a reinventarsi: meno esposizione in video, meno tirate da santone, meno impegno diretto. Saviano è tornato a scrivere di camorra, e gli è andata bene. Ma adesso non gli basta più: rivuole il trono che era suo, e se il Pd glielo nega, chissà che non si apra altrove (cioè più a sinistra) qualche altro spiraglio. L'emblema del ritorno di Robertino sul pulpito è il volume in uscita nei prossimi giorni per Bompiani intitolato Gridalo, che si presenta come una collezione di scritti impegnati e militanti. L'arrivo del tomo in libreria è stato anticipato da una lunga intervista che Saviano ha rilasciato a Marco Damilano sull'Espresso. Una conversazione in cui lo scrittore campano esplicita la sua nuova linea politica, riassumibile in una sola parola: odio. «Gridare significa prendere parte», spiega orgoglioso il nostro. Egli rivendica di avere mandato «a cagare» il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, perché «non basta più rintanarci dentro i buoni modi, la buona educazione». Capito? Secondo Roberto la sinistra, per rinnovarsi, deve diventare più cattiva. Sentite: «Basta con le prediche contro l'odio. Io, per esempio, sento di odiare tantissimo. Devo disciplinarmi per non far emergere in pubblico un odio che provo in modo assoluto. Io odio chi mi ha fatto del male. Odio quelli che stanno dalla mia parte ma poi mi pugnalano alle spalle perché mi detestano». Odio, dunque. E se ancora non bastasse, Saviano chiarisce ulteriormente il concetto: «Non credo che la strada da seguire sia la gentilezza. È ora di dire basta: basta con il mondo mediatico che ospita il peggio, con giornali che hanno fatto cose ignobili, dossieraggio e istigazione al razzismo, che hanno perso qualsiasi autorevolezza, ma vengono tenuti al tavolo perché deve esserci tutto, anche la quota della merda». Il messaggio è cristallino: finiamola con i sermoni contro l'odio, è il momento per i progressisti di odiare. Il punto è che il primo ad aver fatto dei «discorsi anti odio» una bandiera è lo stesso Saviano. Era lui a dichiarare, nel giugno 2018: «Smontiamo l'odio di Salvini con il silenzio». Era sempre lui - un anno fa quasi esatto - a scrivere su Twitter: «L'odio verso Liliana Segre è responsabilità di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. [...] A lei vogliamo somigliare e non a chi avvelena l'Italia con parole di intolleranza e odio». E invece, guarda un po', dodici mesi dopo Roberto ha deciso - per riprendersi pateticamente la scena - di sconfessare sé stesso. La sua ipocrisia, in ogni caso, è almeno doppia. Perché, a ben vedere, la sinistra (a cominciare proprio da Saviano) all'odio non ha mai rinunciato, anzi. Certo, a parole lo ha sempre condannato, presentandolo come caratteristica principale delle destre. Ma il tratto distintivo dei progressisti italici è da parecchio tempo il disprezzo rabbioso per chiunque non la pensi come loro. Saviano è quello che chiamava Salvini «il ministro dell'inferno», sostenendo di fatto che chiunque si opponga all'immigrazione di massa sia un crudele servo del demonio. Più in generale, i giornali per cui Robertino scrive si dedicano ogni giorno all'insulto, hanno fatto del razzismo intellettuale una prerogativa. Chi non condivide le loro posizioni è di volta in volta «fascista», «nazista», «negazionista», «omofobo», «odiatore», «analfabeta funzionale»... Viene da chiedersi se sia davvero possibile odiare più di così, ma confidiamo che Saviano sappia fare di peggio. La sensazione, però, è che, ancora più dei sovranisti, il caro Roberto odi i suoi compagni (o ex compagni). Cioè quelli che hanno smesso di abbeverarsi alla sua fonte, che prima lo hanno trattato come il messia e poi lo hanno lestamente degradato a solito stronzo moralista. È a loro che Saviano rivolge il suo grido: un po' come i bimbi che frignano perché vogliono essere al centro dell'attenzione.