2018-07-11
Saviano (non) risponde a Veronesi e riempie di sé anche l’arca del bene
Il collega lo invita a montare con un nugolo di Vip su una nave Ong. Lui scrive una lenzuolata su «Repubblica» Se monta a bordo non lo dice, ma ora sappiamo che fa «il tuttologo». E che pensa di essere un nuovo Giacomo Matteotti.Chissà se Sandro Veronesi sarà rimasto soddisfatto nel leggere la risposta (la non risposta) di Roberto Saviano, che gli è giunta ieri mattina su Repubblica. Riassunto delle puntate precedenti: l'altro giorno, sul Corriere, lo scrittore Veronesi, con prosa estenuata e dolente, aveva convocato Saviano e altri «vip della bontà» per una missione ad alto impatto simbolico: portare i loro corpi e i loro spiriti, onusti di gloria e di impegno civile, sui barconi delle Ong, per testimoniare anche fisicamente la dura lotta degli intellettuali contro la barbarie populista e l'inciviltà del governo.A un simile richiamo - direte voi - si risponde con un chiaro sì o un chiaro no. E invece vi sbagliate. Saviano infatti ha impiegato una mezza lenzuolata di parole, sospiri, lacrime, autocelebrazioni, invettive, per non dare un riscontro univoco. In compenso, ci ha comunicato due notizie: la prima è che di mestiere fa il «tuttologo» (lo avevamo intuito, ma ora giunge la conferma ufficiale), la seconda è che lui è una specie di nuovo Giacomo Matteotti. «Il mio lavoro è questo»Ma procediamo con ordine e mettiamoci negli scomodi panni di un trepidante Veronesi, già all'alba di ieri nervosamente davanti all'edicola in attesa della risposta dell'Oracolo campano.L'inizio sembra incoraggiante per Veronesi. Scrive Saviano: «Condivido: dobbiamo chiamarci, guardarci negli occhi e tornare a superare la paura». E quindi si parte? Un momento, perché prima Saviano si dedica all'argomento su cui è più preparato: se stesso. «Quando prendi una parte - lamenta - subito ricevi l'accusa di essere tuttologo. Io ci sono abituato, ma il mio lavoro è questo». Segue una lunga filippica sul fatto che non possa occuparsi solo di mafia: ci deve rieducare su tutto, non su una sola materia.Nel frattempo se n'è andata la prima colonna fitta fitta dell'articolo, e ancora non s'è capito se Saviano parte o no. Macché, ha appena iniziato a parlare del suo martirio: «L'attacco agli intellettuali è il primo passo totalitario che può fare una democrazia». Quindi, prendete nota: se non siete d'accordo con lui, siete per lo meno fascisti. Ma Saviano non si spaventa: «Questi attacchi avvelenano la vita. Non devo tacere io, ma dovete parlare voi, smentendo le bufale. La paura ha fatto avanzare queste ombre funeste che, da invidia e rabbia verso chi viene considerato privilegiato, sono diventate odio cieco verso chiunque». Immaginiamo la muta disperazione di Veronesi: «Allora Roberto, fammi capire: parti o non parti con me?». Niente. Saviano ha iniziato il comizio e non lo ferma più nessuno. A un certo punto, sembrerebbe esserci un filo di speranza per Veronesi, quando Saviano si lascia sfuggire: «Mi piace il tuo invito a portare corpi resi riconoscibili dalla fama sulle imbarcazioni che salvano vite umane. Ma…». Come «ma»? «Ma mi tradiscono le mie origini, sono nato a Napoli e cresciuto in una terra che un tempo era chiamata Terra di lavoro». Quindi chi è di Napoli non si può forse imbarcare subito? «Diffondiamo Empatia»Saviano riparte, e ci offre un'antologia del suo repertorio più classico: «La vera rivoluzione oggi è essere moltiplicatori di empatia», «le scorciatoie esistono per tutto», «che talento ha Salvini se non quelli di creare il panico?». E poi il passaggio che avrà fatto gelare il sangue a Veronesi: «Sandro, prima ancora che a salire sulle imbarcazioni delle Ong, invito le persone che hai citato a far sentire la propria voce senza paura, e sarà il coraggio di tutti noi a ricacciare questo rigurgito nella fogna da cui è uscito». Traduzione dal savianese all'italiano: prima scriviamo, ci facciamo intervistare, rimediamo qualche ospitata televisiva, si guadagna tempo, poi - eventualmente - si vedrà se e quando partire. Palla lunga, insomma.Meglio «noi» di «loro»Ma Saviano è incontenibile: «È un vecchio gioco: Giacomo Matteotti venne calunniato sistematicamente dalla canaglia fascista che poi arrivò ad ammazzarlo, non essendo riuscita a ucciderlo con le calunnie». Ricorriamo ancora al traduttore automatico: chi critica Saviano è un fascista, e Saviano svolge oggi una funzione civile paragonabile a quella di Matteotti. «I fascisti ricattavano: se hai, zitto e non parlare. Ma non bisogna cedere al ricatto, le nostre opinioni devono essere libere senza temere di doversi giustificare perché l'autocensura quando si ledono i diritti è un lusso che nessuno di noi può permettersi».Finalmente - e siamo ormai alla fine della lenzuolata - Saviano si ricorda di Veronesi, che immaginiamo ormai accasciato sulla paginata di Repubblica: «La tua, Sandro, era una lettera alta». E già l'«era» fa capire un po' di cose. «Voleva parlare allo spirito, io mi calo invece sempre nella materialità, nella fisicità della battaglia che deve contemplare i corpi a difesa dello Stato di Diritto» (con Saviano c'è sempre un trionfo di maiuscole). «Caro Sandro, io ci sto, questa battaglia la combatto da anni e non ho alcuna paura di perdere perché sono certo di una cosa: saremo più grandi noi nella nostra sconfitta, che loro in questo barbaro trionfo». Traduzione automatica: caro Sandro, scriviamoci, soffriamo insieme, ma non so se ci vediamo al molo, ti farò sapere, eventualmente vai avanti tu.
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