
Plauso al consigliere socialista contrario, da medico e da cristiano, alla legge regionale.La decisione della Giunta di Regione Sardegna di legiferare a favore del suicidio assistito, con la giustificazione di dare seguito alla sentenza 242/19 della Corte costituzionale, è in realtà un altro inaccettabile strappo alla Costituzione stessa, che all’articolo 117 definisce chiaramente le competenze fra Stato e Regioni. L’assurdo di voler indicare procedure che garantiscano la morte assistita, quando non esiste una legge nazionale, è la prova provata della volontà ideologica che sostiene il suicidio assistito, mascherata con la nobile causa di dare «morte dignitosa» a chi ne fa richiesta perché affetto da «dolori incoercibili».È fin troppo facile smentire tanta ipocrisia: primo, oggi la medicina palliativa garantisce che nessuno è costretto a morire fra dolori incontrollabili. Prova ne sia che laddove il malato è accudito e trattato con tutti i presidi necessari di cure palliative, le richieste di morte assistita sono praticamente nulle.Secondo, se realmente sta a cuore alleviare le sofferenze dei malati - evitando la ignobile strada di eliminare la sofferenza, eliminando il sofferente - proprio Regione Sardegna avrebbe tanto da lavorare perché si metta in atto un concreto piano di medicina palliativa, tragicamente insufficiente sul suo territorio. Medicina palliativa, questa sì voluta per legge fin dal 2010, evitando dannose fughe in avanti!Durante il dibattito prima del voto in Consiglio Regionale, onore al merito al consigliere dottor Lorenzo Cozzolino (Partito socialista), che pur facendo parte della maggioranza, ha votato contro l’approvazione della legge, adducendo ragioni di coscienza personale, in quanto credente, ma anche ragioni di coscienza professionale, in quanto medico. Una lezione, con umiltà, senza nessuna spocchia o arroganza, che deve rimettere in gioco in tutti noi quella virtù tanto dimenticata, negletta e addirittura tradita che si chiama coerenza. Coerenza con il Giuramento di Ippocrate, con il Codice di deontologia medica, che all’articolo 17 prevede il divieto di effettuare o favorire atti che provochino la morte del paziente, neppure se da lui richiesto. Coerenza con la propria appartenenza di fede religiosa cristiana, ove non esiste neppure una virgola, dal Decalogo alla Samaritanus Bonus, che dichiari lecito dare la morte a un essere umano. Neppure se richiesto. Con l’aggiunta che non è mai lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, perché ciò che è intrinsecamente malvagio non può mai trasformarsi in un bene da riconoscere e tutelare. La retta coscienza, in tutte le sue declinazioni - religiosa, morale, deontologica, politica - avverte nel profondo di sé stessa che non è mai lecito non solo fare il male, ma anche cooperare formalmente al male, e mette quindi impone di mettere in atto tutto ciò che è concretamente possibile per fermare scelte, proposte, condotte volte al male. «Ad impossibilia nemo tenetur», ci hanno insegnato i nostri padri latini: delle cose che non è in grado di impedire, non si è moralmente responsabili, ma solo nella misura in cui si è fatto tutto ciò che era possibile per evitare quel male, perché si renda chiaro che nessuna approvazione e nessuna responsabilità si ha su ciò è accaduto, che altri hanno deciso e voluto, e che non si è stati in grado di evitare. Si tratta, quindi, di un forte, fortissimo appello alla coscienza morale e civile di ciascuno, come ci ha ricordato il consigliere Cozzolino.Diciamolo con dolorosa chiarezza: può un medico uccidere un malato? Può un cristiano aprire la strada al suicidio? È il nodo della responsabilità morale… E non è poca cosa, per chiunque, credenti e non credenti.
2025-09-19
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