2022-05-04
Oggi arrivano altre sanzioni. Ma Ungheria e Slovacchia rifiutano lo stop al petrolio
Il commissario Ue all’Energia, Kadri Simson (Ansa)
Pronto il sesto pacchetto di misure. Vladimir Putin ferma l’export di materie prime ai Paesi ostili. E ora Berlino s’accorge che in base ai contratti pagherebbe il gas anche con l’embargo.Il travagliato sesto pacchetto di sanzioni europee alla Russia, che è sul punto di vedere la luce ormai da settimane, dovrebbe essere annunciato oggi dalla Commissione europea. La faticosa trattativa tra gli Stati membri dell’Unione si è disincagliata due giorni fa, quando il governo tedesco ha acconsentito al blocco delle importazioni di petrolio e derivati dalla Russia a condizione che venisse concesso un congruo periodo di tempo per adattarsi. Allo stesso tempo, due Paesi dell’Europa orientale, Ungheria e Slovacchia, si sono smarcati con fermezza e hanno ottenuto di restare fuori da questo round sul petrolio. Decisione comprensibile, considerato che dipendono dagli idrocarburi russi rispettivamente per il 65% e per il 98%.Il presidente russo, Vladimir Putin, nel frattempo, ha fatto la sua mossa e ha firmato un decreto che applica controsanzioni in risposta ad «azioni ostili di alcuni Stati stranieri e organizzazioni internazionali». Sarà proibito agli organi federali, statali, locali, aziende e persone fisiche russe di concludere affari di qualsiasi natura con controparti considerate ostili elencate in un ulteriore decreto che sarà emanato entro dieci giorni a cura del governo della Federazione. Una risposta alle sanzioni europee che potrebbe mettere in difficoltà l’Occidente, poiché nel decreto sono citate espressamente le materie prime come oggetto di possibile blocco in esportazione. Al di là dei prodotti petroliferi o del gas, la Federazione Russa è uno dei maggiori produttori di minerali e metalli necessari all’industria, come palladio, platino, nickel, alluminio, rame.Sui temi del gas, si registra l’intervento di Mario Draghi al Parlamento europeo, dove il premier ha di nuovo parlato, tra le altre cose, del tetto al prezzo del gas: «Sin dall’inizio della crisi, l’Italia ha chiesto di mettere un tetto europeo ai prezzi del gas importato dalla Russia. Mosca vende all’Ue quasi due terzi delle sue esportazioni, in larga parte tramite gasdotti che non possono essere riorientati verso altri acquirenti. La nostra proposta consentirebbe di utilizzare il nostro potere negoziale per ridurre i costi esorbitanti che oggi gravano sulle nostre economie. Questa misura consentirebbe di diminuire le somme che ogni giorno inviamo a Putin e che inevitabilmente finanziano la sua campagna militare». Il prezzo alto dell’energia, ha concluso Draghi, è un problema sistemico che richiede «soluzioni strutturali, che spezzino il legame tra il prezzo del gas e quello dell’elettricità».Anche il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, nell’informativa alla Camera sui costi dell’energia, ha parlato ieri del price cap europeo proposto dall’Italia, descrivendolo come uno strumento di peak shaving (cioè atto a tagliare i picchi di prezzo più alti) in momenti di turbativa del mercato, «temporaneo, con revisioni regolari, potenzialmente indicizzato». La proposta, in verità alquanto fumosa nella descrizione fornita dal ministro, è in discussione in un gruppo di lavoro a Bruxelles. Sul pagamento in rubli del gas importato, Cingolani alla Camera è tornato sulle sue affermazioni del giorno prima al sito Politico.eu, che hanno sollevato un polverone in tutta Europa e hanno costretto il commissario all’Energia, Kadri Simson, a intervenire con una piccata nota stampa. Il ministro italiano ha di fatto confermato il virgolettato riportato dall’organo di informazione americano, ma ha contestato l’interpretazione data alle sue parole dalla testata. Sugli stoccaggi, ha delineato un quadro secondo cui, per arrivare a riempire le riserve al 90% ai ritmi attuali di iniezione, cioè circa 1,5 miliardi di metri cubi al mese, servirebbero ancora sei mesi. Ciò significherebbe però arrivare a novembre inoltrato, mentre di solito la scadenza per i riempimenti è la metà di ottobre. Un ritardo che, secondo il ministro, sorprendentemente, non esiste: «La macchina del riempimento degli stoccaggi è partita in anticipo», ha affermato.Intanto, in Germania, membri del governo si sono accorti di ciò che scriveva La Verità già il 9 marzo scorso, non appena si iniziò a parlare di embargo. I contratti pluriennali di importazione di gas conclusi in passato con Gazprom riportano infatti la clausola take-or-pay, che impegna l’acquirente a pagare al prezzo di contratto una quantità minima di gas anche se questa non viene ritirata per fatto dell’acquirente.Tale quantitativo minimo varia a seconda dei contratti. Per quanto riguarda Germania e Italia, secondo alcune stime si tratterebbe rispettivamente di 40 e 20 miliardi di metri cubi all’anno, su contratti che terminano tra il 2028 e il 2035. Nel caso in cui venisse dichiarato l’embargo, Gazprom potrebbe dunque pretendere dalle compagnie europee il prezzo sui quantitativi minimi non ritirati. In pratica, mentre compriamo gas da qualcun altro, dovremmo pagare anche il gas non ritirato dalla Russia, cioè pagheremmo due volte. Le compagnie potrebbero opporre la forza maggiore, ma la questione darebbe il via come minimo a un arbitrato internazionale dall’esito assai incerto. Il rischio è maggiore e ben più concreto nel caso in cui non vi sia embargo, ma si diminuiscano gradualmente i quantitativi acquistati dalla Russia. Per ogni anno, i volumi di gas non ritirati andrebbero in quel caso comunque certamente pagati fino a concorrenza della soglia minima. Stiamo parlando di diversi miliardi di euro, ogni anno. Soldi buttati. Money for nothing, come la celebre canzone dei Dire Straits. Sarebbe l’ennesima follia di un’Unione allo sbando.