Sul palco del festival di Sanremo la cantautrice siciliana, vero nome Claudia Lagona, affronta una tematica tutta al femminile, legata alla maternità e alla sensazione di buio che a volte l'accompagna. La sua canzone si chiama Vivo ed è il primo singolo inedito del nuovo album Opera futura, fuori dal 17 febbraio.
Sul palco del festival di Sanremo la cantautrice siciliana, vero nome Claudia Lagona, affronta una tematica tutta al femminile, legata alla maternità e alla sensazione di buio che a volte l'accompagna. La sua canzone si chiama Vivo ed è il primo singolo inedito del nuovo album Opera futura, fuori dal 17 febbraio.Ha accolto i giornalisti a Villa Gioiello, la dimora sanremese che ha scelto per la settimana del festival. “Ho preferito avervi in questa casa perché volevo ricreare un ambiente familiare”. La famiglia e soprattutto la maternità sono i temi intorno ai quali si sviluppano Vivo, la canzone che Levante porta in gara a Sanremo 2023, ma anche gli altri nove brani che insieme a Vivo compongono Opera futura, il suo nuovo album. La depressione post parto è un tema troppo impegnativo per Sanremo?“Mi rendo conto di aver raccontato la depressione e la tristezza in maniera troppo pesante ma ciò che è passata è stata anche una grande forza. Ricordo bene quando ho scritto il brano: era il 4 marzo dell'anno scorso, a tre settimane dal parto (sua figlia Alma è nata il 13 febbraio). Avevo poco tempo per la musica e Vivo era un elenco di desideri perché in quel momento volevo solo uscire fuori dal mio buio. Oggi a un anno di distanza mi sento forte perché finalmente ne sono fuori”.Provi a spiegarci la depressione post parto?“Nella depressione c'è la gioia di avere tra le braccia la cosa più importante della tua vita ma dal punto di vista ormonale il corpo non risponde. Io poi sono una persona frettolosa, voglio riprendermi subito quando sto male. Volevo lavorare, tornare alle mie cose. Ma quando diventi genitore qualcosa di te lo perdi inevitabilmente. Allo stesso tempo c'è una parte nuova che cresce, sconosciuta e molto potente”.Qual è il messaggio della canzone?“Sono istintiva nella scrittura, e sin dal primo disco che ho fatto parlo solo di cose che ho vissuto. In questo caso mi sono resa conto di avere la responsabilità di condividere. Sarei potuta tornare sulle scene senza dire niente, è difficile ammettere che c’è stato un momento buio, ma tante donne mi stanno ringraziando per averlo fatto”.La depressione è ancora un tabù?“Sì, c’è ancora un sorta di tabù che non si è dissolto e io a costo di risultare un po' pesante avevo bisogno e voglia di affrontare questo argomento”.Certo che quest’anno il grande tema di Sanremo è proprio la depressione. “Il momento non ci ha aiutati, siamo quasi fuori da una pandemia che ha stroncato gli entusiasmi di molti e ha ribaltato la vita di parecchie persone. Qualcosa dal 2020 è cambiato in tutti noi. L'artista canta la vita anche quando è triste. Quindi è normale che a Sanremo sia così presente un tema del genere. Per quanto riguarda me, il mio tipo di buio è specifico di un momento, ma ha in sé la voglia di riprendersi il proprio corpo e la propria mente. Quando canto “vivo un sogno erotico” sicuramente c'è la sessualità però l'erotismo è anche un modo di vivere, uno slancio potente e animalesco”. In molto l’hanno preso come un inno femminista.“Non voglio mettere la bandierina su niente. Ovviamente ho parlato di me, ma la canzone riguarda milioni e milioni di donne. È un brano che ha una forza muscolare, è un grido di speranza, non è un pugnale nel petto”. Qual è l’Opera futura?“L’opera futura è Alma, non c’è dubbio. Sono molto emozionata per l’uscita del mio quinto disco: ho iniziato a scriverlo e a concepirlo a marzo 2020, subito dopo il mio primo Sanremo e quando di colpo ci siamo trovati tutti a casa. In quel periodo mi era rimasta solo la speranza e poiché mi muovo attraverso i colori, sapevo da subito che questo avrebbe avuto come guida il verde (come la cover, ndr). L’album contiene dieci canzoni scritte tra il 2020 e il 2022 e in mezzo sono successe tante cose. C’è un saluto nostalgico a Magmamemoria (album del 2019, ndr) ma c'è anche tanta speranza perché la maternità mi ha inevitabilmente segnata. È stato il mio modo di diventare adulta”.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.
2025-11-20
Mondiali 2026, il cammino dell'Italia: Irlanda del Nord in semifinale e Galles o Bosnia in finale
True
Getty Images
Gli azzurri affronteranno in casa l’Irlanda del Nord nella semifinale playoff del 26 marzo, con eventuale finale in trasferta contro Galles o Bosnia. A Zurigo definiti percorso e accoppiamenti per gli spareggi che assegnano gli ultimi posti al Mondiale 2026.






