2021-07-17
«Il mio matrimonio con il grande cinema è durato solo 5 anni»
Sandro Panseri ne "Il posto" di Ermanno Olmi (Wikicommons)
Il ragazzo prodigio de «Il posto»: «Grazie a Olmi potevo sfondare, poi arrivarono i cattivi consigli. La salvezza? Un supermercato».Era l'estate del 1961 quando, alla ventiduesima Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, veniva presentato Il posto, opera seconda di Ermanno Olmi che valse al regista lombardo il Premio della critica, nonché la consacrazione nel panorama internazionale. Una storia di pendolarismo post-rurale, fisico ed esistenziale, quand'ancora i pendolari erano materia pressoché ignota. Fu un'iniziazione per Sandro Panseri, che a 15 anni divenne protagonista quasi per caso, leggendo un annuncio sul quotidiano La Notte. «“Tu che sei tanto innamorato del cinema, guarda che bella occasione che hai!", disse mia madre. Il giorno del casting saltai la scuola e da Treviglio mi recai da solo a Milano, al teatro Litta, con la mia borsa e tante remore: “Ci saranno attori studiati, io sono uno sprovveduto", pensavo. Ma era proprio quella verginità che Ermanno cercava». Tre film al cinema, da Olmi a Nanni Loy, il teatro di commedia: tutto nell'arco di un lustro. Poi, dopo avere annusato la polvere di stelle, il brusco ritorno alla realtà. Meteora, sarebbe l'etichetta dei critici. Settantasei anni, in pensione da 20, oggi Panseri gestisce quattro supermercati in franchising assieme ai suoi tre figli. Lo raggiungo alla vecchia maniera, compulsando l'elenco telefonico (niente Facebook, Instagram o Twitter), alla ricerca di quel numero fisso che oggi non va più di moda, non è smart. «Sì, sono io il ragazzo de Il posto. Come mai a distanza di tanti anni?».È il sessantesimo anniversario dall'uscita del film.«Sono già 60 anni...».Lo rivede ogni tanto?«L'ultima volta è stata la scorsa estate allo Spazio Oberdan, qui a Milano. C'era una retrospettiva dedicata a Olmi. Ho perso il conto».Di cosa?«Delle volte che l'ho visto. Mi ero fermato a 27, il numero delle prime alle quali partecipai durante la promozione. Loredana e io seguimmo Olmi nelle varie città d'Italia, ognuno accompagnato da un famigliare».I dialoghi avevano una connotazione fortemente territoriale, alcune battute erano recitate in dialetto milanese. Fu capito anche al Sud?«C'erano delle copie speciali in cui quelle scene erano doppiate per risultare comprensibili a tutti. Allora non si usavano i sottotitoli. Il film andò molto bene. Anche all'estero. Evidentemente rappresentava un vissuto comune a tanta gente, al di là del territorio».C'è chi dice che dagli anni Sessanta il mondo sia cambiato completamente, chi invece sostiene che sia sempre lo stesso. Lei dove si posiziona?«Se guardiamo la società, vedo le stesse dinamiche che si ripetono. Ci rifletto osservando i miei figli, o i miei nipoti. È sempre la stessa scoperta del mondo, la stessa ricerca di una realizzazione».In effetti certi temi del film, il lavoro ma non solo (l'incomunicabilità genitori-figli, la tristezza dei Capodanni in comitiva), non sembrano poi così lontani.«Tornano sempre. Certe frasi in famiglia… Penso a quando arrivavo a casa e papà mi diceva: “Togliti la giacca, se no mi sembri in prestito" (sorride)».Che ricordo ha della prima a Milano?«Splendido. La Titanus aveva alloggiato me e la mia famiglia all'hotel Et de Milan, in via Manzoni. Ricordo la passeggiata attraverso via Montenapoleone fino al cinema Mignon, dove Ermanno ci attendeva. Fu come una passerella, un momento di gloria indimenticabile».Chissà mamma e papà…«Erano felici, tranquilli. La prima volta che conobbero Olmi, lui disse: “Sandro verrà a Milano e lo seguirò io, non preoccupatevi. Vivrà a casa con me". E così fu per tutto il tempo delle riprese. Eravamo sempre insieme. Sentiva molto la responsabilità di quella promessa».Cosa la colpì di più di Olmi?«Il fascino. Era un uomo colto, prodigo di consigli. Diverso da come l'ho rivisto nel corso degli anni nelle interviste, dove usciva fuori più paternalistico, con quest'aura da santone. Un po' paterno con me lo era. Quando si usciva a cena e magari bevevo un bicchiere di vino, mi diceva sempre di non esagerare. Fu così anche dopo il film».In che senso?«Dopo gli applausi alle prime e le critiche entusiastiche sui giornali, io ero al settimo cielo. I signori della Titanus cercavano di ridimensionarmi. “Vedi, Sandrino, tu sei come Pinocchio. Hai fatto una bella cosa, ma alla fine del libro Pinocchio muore e tu ritorni un bambino normale". Intanto Olmi mi fece assumere alla Edison, ero l'omino in divisa che portava gli impiegati al piano. Solo che la gente mi riconosceva e si creavano capannelli attorno a me, fermavo le attività. Così fui spostato in biblioteca. Io però volevo provare altre esperienze, i critici parlavano bene di me. Le racconto un aneddoto».Prego.«Una cena a Roma con Olmi, subito dopo l'uscita de Il posto. C'era anche Valerio Zurlini, che si complimentò con me. Mentre parlava in disparte con Ermanno, vidi che mi indicava e con un orecchio captai: “Sto pensando di fare questo film… Cosa ne dici?". Dopo un attimo, gli uomini della Titanus mi portarono via in un altro ristorante dove, ironia della sorte, erano seduti a un tavolo Modugno e Mastroianni. Il film era Cronaca familiare, e la parte del fratello minore di Mastroianni andò a Jacques Perrin, che aveva un viso molto pulito, infantile. Come il mio».Sta dicendo che…?«E chi lo sa… Restai con l'amaro in bocca».Poi, però, arrivarono altri lavori.«Quando Olmi partì per girare il film successivo, la segretaria mi chiamò per informarmi che un regista di Milano continuava a chiedere di me. Era Guido Guerrasio. Mi diede il suo numero raccomandandosi di non dire nulla a Ermanno. Così ottenni la parte in Dal sabato al lunedì. Di lì a poco, la Cineriz mi offrì un contratto in esclusiva per alcuni anni. Stavo per firmare quando Guerrasio mi dissuase: “Lascia stare, farai dei brutti film. Ancora un paio con me e poi partiamo per gli Stati Uniti, un caratterista come te là farà fortuna". Ma andò tutto in fumo».Compreso il contratto con la Cineriz.«Già. In quel periodo conobbi Mario Missiroli e cominciai a fare teatro. Poi girai con Nanni Loy un episodio del film Made in Italy. Quando andai a Roma per il doppiaggio, entrai in contatto con la scena degli attori romani. Lì capii tante cose. C'erano i grandi nomi e sotto un esercito di attori, alcuni ormai adulti, che tiravano a campare sognando il momento dell'exploit. “Io devo arrivare a quell'età così?", pensai. Tornai a Milano e mi misi a cercare lavoro. Fu un trauma».Immagino.«Avere fatto il cinema era un ostacolo, nessuno mi prendeva sul serio. Finché conobbi un giornalista, Giulio Nascimbeni, che pubblicò un articolo in cui raccontava la mia storia. Il titolo era: “Sandro Panseri, dal Posto cerca il posto"».Carino. Le fu di aiuto?«Sì. Arrivò l'occasione dei supermercati, il lavoro del futuro. Mia moglie era incinta, dovevo darmi una mossa. Accettai. Un giorno, il mio superiore mi chiese di consegnare la spesa a casa di alcuni clienti. Quando uno di loro mi diede una monetina di mancia crollai. Capii che il mio sogno si era infranto, e mi scese una lacrima».Sia sincero… qualche accidente a Guerrasio glielo tirò?«Beh, sì. Ma alla fine sono stato pieno di incompiuti, sempre a un passo dal cogliere un frutto che mi sfuggiva di mano. Poco prima che morisse, una sera lo rividi. “Come sei cambiato. Non hai più gli occhi del ragazzino, hai lo sguardo duro dell'uomo che lavora" (ride)».Quand'è stata l'ultima volta che vide Olmi?«Qualche anno fa, venne a Milano per parlare di giovani. Non ci sentivamo da tantissimo, di questo mi dispiaccio molto. Io volevo fare i film, cercavo emozioni nel cinema. Ermanno non voleva, era molto protettivo nei miei confronti. Fin troppo, forse. Io non la vissi tanto bene e ci lasciammo un po' arrabbiati. Quando gli scrissi che avrei fatto il film con Guerrasio mi fece gli auguri e da allora non ci vedemmo, né sentimmo. In tempi recenti, poi, venne la tv a farmi un'intervista su Olmi. Era già malato. Un giornalista mi fece capire che stavano preparando il coccodrillo. Ci rimasi malissimo».Com'era recitare con lui?«Sembrava un gioco. Per alcune scene mi lasciava libero di esprimermi, per altre diceva “Sandrino, fai così", e io lo scimmiottavo. “Però non farla come la faccio io, devi farla come la senti tu". A volte mi lasciavo andare, facevo delle smorfie alla De Niro. Guai! “L'importante non è fare le facce, ma immedesimarsi esattamente nel personaggio. Quando lo senti dentro di te, automaticamente il tuo viso lo trasmette"».
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?