2022-08-26
«Samaritan», Sylvester Stallone veste i panni dell'eroe su Prime Video
True
«Samaritan» (Amazon Prime Video)
Samaritan, su Amazon Prime Video da venerdì 26 agosto, è un insieme di condizionali. Potrebbe, sarebbe, avrebbe. Ma, in fin dei conti, non può, non è, non ha.Samaritan non è Batman. Non ha caverne accessoriate, budget infiniti. Non è provvisto dei poteri di Spider-Man, di quei bei costumi avveniristici che fasciano, invece, i corpi prestanti degli Avengers. Samaritan non è un supereroe della Marvel, né uno fra i blasonati giustizieri della Dc Comics. E qui, nella miriade di negazioni, in quel che Samaritan non è, avrebbe potuto esserci un «Per fortuna» rimasto invece incompiuto, impronunciato.Samaritan, protagonista su Amazon Prime Video del film omonimo, è, all’apparenza, l’antitesi di quel che il genere superomistico - ormai declinato in tante versioni e registri da non contarli più - ci ha insegnato. È un netturbino senza fascino, scontroso, solitario: un uomo dimenticato, che ad occhi bassi ha giurato a se stesso di vivere una vita nell’ombra. Lo ha fatto tempo prima degli eventi che Samaritan, su Amazon Prime Video da venerdì 26 agosto, racconta. Lo ha fatto quando la lontananza dal fratello, Nemesis, è diventata siderale. Allora, si è superato un confine che per natura avrebbe dovuto essere netto: la famiglia si è rotta, l’amore ha lasciato spazio all’odio e lo spettro della morte ha allungato le proprie dita su un nido già profanato. Samaritan e Nemesis, figli di genitori che la superstizione cittadina ha mandato al rogo, si sono dichiarati guerra, l’uno deciso a proteggere i deboli, l’altro a cercare la propria vendetta. Si sono combattuti, entrambi potenti, e nello scontro si sono annullati. Granite City ha assistito impotente alla violenza di quell’ultima battaglia. Un’esplosione, poi un mormorio. Samaritan e Nemesis non avrebbero potuto sopravvivere alla propria furia. Dovevano essere morti. E tali sono stati dichiarati. Granite City ha pianto Samaritan, fratello buono, e gioito per la perdita di Nemesis. La vita è tornata a scorrere lineare e Samaritan, scampato invece alla morte, si è condannato ad una vita invisibile. La stessa che un ragazzino, nel film, si riproporrà di rendere diversa, più nobile, trasformando Samaritan in un cliché colpevole di aver annullato ogni nostro, e potenziale «Per fortuna». Samaritan, pur guardabile e scorrevole, con Sylvester Stallone a vestire i panni dell’eroe decaduto, è un insieme di condizionali. Potrebbe, sarebbe, avrebbe. Ma, in fin dei conti, non può, non è, non ha. La pellicola, che Stallone ha detto affondare le proprie radici «lontano, nel mito di Caino e Abele» pur trattando, al contempo, «temi molto moderni», ha negato il proprio potenziale. I dialoghi sono stati scritti come tanti altri, con la retorica spesso riservata ai rapporti paterni. Sam, tredicenne certo, e a ragione, di aver trovato Samaritan nel proprio vicino di casa, è stato costruito sul calco del ragazzino trito, in cerca di un padre putativo. La bocca di Samaritan è stata riempita di proclami: prima, la negazione del ruolo che Sam avrebbe voluto assegnargli, poi, la constatazione di quanto il mondo ancora abbia bisogno dei suoi servigi e l’assunzione, messianica quanto stereotipata, di una missione, quella di sempre, di ogni film con i supereroi. Samaritan libererà le strade dal crimine, sconfiggerà il cattivo che ha ereditato i poteri di Nemesis, fratello defunto, e riporterà l’ordine a Granite City, copia - e pure un po’ sbiadita - di quelle Gotham City che avrebbe dovuto lasciare altrove.