2020-05-27
Salzano prende le distanze da Di Maio, nel napoletano c'è l'azienda di famiglia
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L'attuale amministratore delegato di Simest ha pubblicato un post su twitter per dissociarsi dalla rete di contatti e dalla città natale del ministro degli Esteri. «Sono nato (fiero) a Pomigliano d'Arco per un evento del tutto occasionale e dal giorno successivo ho vissuto altrove». Fino al 2017 però era azionista di Comasa, azienda che si occupa di biomasse a Casalnuovo di Napoli. C'è un «servitore dello Stato» (come ama definirsi) più che mai infastidito dall'essere stato associato ai fedelissimi del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. E' Pasquale Salzano, attuale presidente di Simest, la controllata di Cassa depositi e prestiti per gli investimenti all'estero. All'indomani delle nomine nelle aziende partecipate, infatti, diversi quotidiani e politici hanno raccontato di come vecchi compagni di scuola di Di Maio o ex suoi collaboratori al ministero dello Sviluppo Economico abbiano trovato posto in diversi consigli di amministrazione. E' il caso di Carmine America nel board di Leonardo o di Pasquale Noto nel collegio sindacale di Fincantieri o ancora di Emanuele Piccino nel cda di Eni, già capo segreteria al Mise ai tempi di Di Maio. Alla fine dello scorso anno Salzano è stato nominato in Simest. L'amicizia con il ministro degli Esteri è nota da tempo. Anche perché l'ex ambasciatore in Qatar è nato a Pomigliano D'Arco, ma soprattutto è stato tra i pontieri dell'attuale governo giallorosso. Anche perché grazie alle sue doti diplomatiche vanta una rete di conoscenze che spaziano da destra a sinistra. Per diversi anni all'Eni come responsabile dei rapporti istituzionali internazionali, è cresciuto come manager negli d'oro di Matteo Renzi e del giglio magico. Partecipò anche al matrimonio di Marco Carrai a Firenze, quando fu celebrata la presa del potere dei toscani in Italia, nell'ormai lontano settembre del 2014. In questi anni Salzano ha lavorato soprattutto in Qatar, a Doha, come ambasciatore. Qui oltre ad aver stretto un rapporto di ferro con la famiglia Al Thani, ha ricevuto anche qualche critica da parte di imprenditori italiani rimasti impigliati nelle maglie della burocrazia qatariota. E' il caso di Ferruccio Cerruti, come raccontato dalla Verità. Il diplomatico napoletano è stato spesso accostato al cerchio magico di Di Maio. Ma nelle ultime settimane ha sentito il dovere di intervenire su twitter per smentire associazioni alla corte di Luigino, rilanciate sui media. «Comunicazione di un fatto. Sono nato (fiero) a Pomigliano d'Arco per un evento del tutto occasionale e dal giorno successivo ho vissuto altrove, Italia ed estero, per i successivi 47 anni. Scuole dai Barnabiti, Università a Napoli, Dottorato a Siena. Lo dico così, per un amico...». Il tweet si è fatto sentire. Non solo nell'ambiente dei 5 Stelle, ma anche nel triangolo d'oro campano che unisce Afragola, Pomigliano D'Arco e Casalnuovo di Napoli. Nella prima città è nato Vincenzo Spadafora, attuale ministro per le politiche giovanili. Della seconda si sa che è la roccaforte di Di Maio. Mentre meno conosciuta è Casalnuovo, dove vive appunto la famiglia Salzano. Sono molto conosciuti e stimati in questo comune di quasi 50.000 abitanti. Il padre Giuseppe ha un passato nel partito Repubblicano e insieme con l'altro figlio Giovanbattista, ingegnere, gestisce la società Comasa che si occupa di biomasse. Anche Pasquale ha avuto azioni nella società per poi cederle nel 2017 quando è subentrata Irina Chiaburu. La Comasa finì al centro di alcune polemiche nel 2015 quando Salzano senior decise di querelare per diffamazione un ragazzino di 15 anni figlio di un abitante della zona morto di tumore. L'azienda contestava le accuse di aver inquinato il terreno da parte del ragazzo e dell'unione di studenti. «I militari – raccontava lo studende – mi hanno detto che il querelante si è ritenuto offeso da alcune mie dichiarazioni a margine di un corteo dello scorso 13 febbraio, al quale parteciparono circa 3000 persone. In una intervista video chiedevo che Comasa e Ramoil (Raffineria Meridionale Oli Lubrificanti) andassero via da Casalnuovo. Sottolineavo che in questa zona si muore, siamo in Terra dei Fuochi, e che quegli impianti inquinano e rovinano la vita di chi abita nei paraggi». La difesa della famiglia Salzano era corretta anche perché su quei terreni ci fu un tentativo di speculazione edilizia.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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