2018-04-04
Con i rom violenti viva la ruspa di Salvini
Ieri, nella puntata di Tagadà, trasmissione pomeridiana in onda su La 7, Tiziana Panella ha mostrato un tweet di Matteo Salvini. «Questi zingari lavorano anche a Pasqua», ha scritto il leader leghista, aggiungendo poi: «Ho pronta una democratica e pacifica ruspa». Il suo era un commento a caldo dopo quanto accaduto al Prenestino, quartiere della Capitale dove un centinaio di rom ha aggredito e picchiato gli agenti di polizia che volevano arrestare quattro ladri. Non vi sto a riferire le facce degli ospiti in studio durante il talk pomeridiano della tv di Urbano Cairo alla lettura del tweet del segretario del Carroccio. L'impressione che disapprovassero era talmente forte che la conduttrice non ha neppure avuto bisogno di sollecitare una risposta. Siccome si stava parlando del profilo che avrebbe dovuto avere il futuro presidente del Consiglio, ciò che passava nella testa di Fausto Bertinotti e degli altri presenti era evidente: un premier non si abbassa a scrivere certe cose. Ma dove sta scritto che un capo di governo o aspirante tale non debba parlare e scrivere senza peli sulla lingua? Dopo anni di politicamente corretto e di parole viziate dal conformismo dovremmo piegarci a non raccontare i fatti per quello che sono? Dovremmo fingere che i campi rom non siano un problema e non costituiscano delle repubbliche autonome e illegali all'interno del nostro Paese? Un inquilino di Palazzo Chigi o colui che aspira a diventarlo dovrebbe dunque tacere di profughi e immigrazione? Ma è proprio questo il punto. Salvini è diventato Salvini, facendo raggiungere alla Lega livelli che ai tempi d'oro di Umberto Bossi non erano mai stati sfiorati, proprio perché non si è piegato al bon ton dei radical chic e delle anime belle. È dicendo pane al pane senza curarsi delle reazioni che il leader della Lega ha costruito il suo successo. Ricordo quando, nel maggio del 2009, fresco di elezione in Parlamento, dopo una serie di episodi accaduti sui mezzi pubblici, l'allora semisconosciuto leader leghista propose carrozze della metropolitana «per soli milanesi». La stampa progressista lo massacrò, accusandolo di voler importare l'apartheid in Lombardia, ma nel suo quartiere, nelle zone in cui era stato eletto consigliere comunale, la maggioranza dei cittadini lo amò ancora di più. E non erano tutti leghisti. Salvini, mentre altri si accomodavano in poltrona a parlare di grandi temi, girava le periferie, parlando con la gente esasperata per i troppi furti e per l'immondizia accumulata nei campi rom. Quando cominciò a dire che se avesse vinto avrebbe abbattuto le baracche con la ruspa, i centri sociali lo misero nel mirino, impedendogli di entrare nei centri. Tra l'indifferenza generale, un gruppo di teppisti rossi lo assalì a bordo della sua vettura, e invece della solidarietà, dai giornali di sinistra si beccò l'accusa di essere un provocatore. Se ricordo tutto ciò è per dire che mentre intellettuali e politici alzavano il sopracciglio di fronte alle iniziative politiche della Lega, il Carroccio guadagnava consensi. Mentre altri si dichiaravano più colti, più tolleranti e più raffinati, Salvini, ossia il capo di una forza che sembrava destinata a sparire, iniziava la rimonta. E ora che un movimento radicato al Nord ha conquistato anche altre aree del Paese, rasentando il 20 per cento, gli intellò ancora non capiscono. Per loro è difficile sintonizzarsi sulla lunghezza d'onda degli italiani. Ammalati come sono delle loro parole, non riescono a comprendere altro linguaggio che non sia il proprio. Al contrario, Salvini fa bene a continuare a essere Salvini e a non farsi cambiare dal successo improvviso e sorprendente. Ha vinto parlando di immigrati, di rom e di Fornero e se non vuole perdere consensi, ma soprattutto se non ha intenzione di tradire il mandato che gli è stato affidato, non solo deve continuare a parlarne, ma deve agire. Non so se riuscirà a formare un governo e con chi, ma qualora gli riuscisse il colpaccio di conquistare Palazzo Chigi, per sé o per altri del suo partito, tenga fede alle promesse. Cominci dai vitalizi, dalle spese della Casta e da tante altre cose che incidono sulle percezioni dell'opinione pubblica. Ma non dimentichi l'invasione dei migranti e la richiesta di sicurezza in casa propria che sale dall'elettorato. Sono questi i temi con cui ha vinto. E un leader, anzi un presidente del Consiglio, non si misura per come viene accolto in Europa da gente col birignao, ma da come lo accolgono nei quartieri di periferia. A Quarto Oggiaro come al Prenestino.