- Il leader del Carroccio promette battaglia legale sulla scelta del duo Speranza-Lamorgese di imbavagliare gli elettori che si recheranno alle urne. Incredibile Lorenzo Pregliasco: «Mettiamola, è assembramento istituzionale»
- Il direttore Gennaro Sangiuliano ha organizzato in extremis un dibattito sul voto sulla Giustizia con il segretario dei radicali. Viale Mazzini ha fatto finora poco: brevi spazi in orari con scarso pubblico. Continua la campagna di informazione sui social. E Mattarella tace.
Il leader del Carroccio promette battaglia legale sulla scelta del duo Speranza-Lamorgese di imbavagliare gli elettori che si recheranno alle urne. Incredibile Lorenzo Pregliasco: «Mettiamola, è assembramento istituzionale»Il direttore Gennaro Sangiuliano ha organizzato in extremis un dibattito sul voto sulla Giustizia con il segretario dei radicali. Viale Mazzini ha fatto finora poco: brevi spazi in orari con scarso pubblico. Continua la campagna di informazione sui social. E Mattarella tace.Lo speciale contiene due articoliIl governo non informa gli italiani sui referendum di domenica, però fa sapere che bisogna presentarsi ai seggi mascherati. Come dire, andate al mare così respirate meglio. La circolare firmata a quattro mani dai ministri Roberto Speranza e Luciana Lamorgese, rispettivamente con deleghe alla Salute e all’Interno, e che nessuna obiezione ha suscitato all’interno dell’esecutivo, rappresenta il boicottaggio definitivo del voto per abrogare alcune importanti norme in materia di giustizia. Già i cinque quesiti, proposti da Lega e radicali e ammessi dalla Consulta, sono ignoti alla maggior parte dei cittadini e quasi nessuno si preoccupa di spiegarli in tv o sui giornali. Se poi aggiungiamo che l’associazione urne per le amministrative e per il referendum nello stesso giorno, «sfugge» ai più, sarà decisamente dura superare il quorum di partecipazione. L’operazione al voto con la maschera è, dunque, l’ultima spallata al diritto di esprimersi su separazione delle carriere dei magistrati, o sull’opportunità di eliminare la custodia cautelare durante le indagini, per delitti puniti fino a cinque anni di carcere o quattro di domiciliari. La circolare che detta le regole sul bavaglio ai seggi è la numero 48 dell’11 maggio scorso, indirizzata a prefetti e Regioni. Ancora una volta ci tocca leggere che il protocollo sanitario e di sicurezza, per lo svolgimento delle consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2022, si avvale delle indicazioni del Comitato tecnico scientifico. Quel Cts sciolto, cancellato con la fine dello stato di emergenza lo scorso 31 marzo ma che ritorna buono per dettare misure che «si basano sui principi cardine che hanno caratterizzato le scelte e gli indirizzi tecnici delle strategie di prevenzione dell’infezione da Sars-Cov-2». I due ministri hanno così deciso che per poter votare bisognerà indossare la chirurgica, ma non la Ffp2 (bontà loro), e che i componenti dei seggi dovranno vigilare perché nessuno entri privo di bavaglio. Altrimenti che cosa succede? L’elettore non riceve le schede e se ne torna a casa, senza votare? O assieme ai dispenser di gel idroalcolico da passare su mani e matita a più riprese, saranno a disposizione dpi per coloro che non hanno letto la geniale circolare? Mascherine inutili, per non dire dannose, circolano in abbondanza e pagate con i nostri soldi, magari non sarebbe una cattiva idea offrirle ai distratti. Anche perché, nell’election day, non si vota solo sui quesiti referendari, a molti indigesti, ma pure per il rinnovo delle amministrazioni locali in 974 Comuni. Il parlamentare della Lega, Claudio Borghi ha presentato un’interrogazione: «Poiché è possibile che una larga parte della popolazione rischi di essere respinta al seggio in quanto sprovvista della mascherina, da tempo non più richiesta per le comuni attività quotidiane», chiede «che cosa si intende fare per garantire urgentemente il diritto di voto a tutti». La mascherina è sparita quasi ovunque, nessuno è tenuto a conservarla in tasca per ogni evenienza, come era necessario fino al mese scorso. «Noi facciamo ricorso come Lega al Tar, quantomeno per la maturità e anche per le elezioni di domenica prossima, perché se dimentichi la mascherina al seggio ti rimandano a casa», ha annunciato Matteo Salvini. Per poi aggiungere: «Da milanista ho festeggiato con centinaia di migliaia di persone in giro per Milano, ai concerti di Vasco ci sono 100.000 persone, ovunque sei tornato a vivere e a respirare normalmente, in classe o al seggio elettorale no. Mi sembra veramente una perversione ideologica senza alcuna ragione scientifica». Feroce il post dell’infettivologo Matteo Bassetti, che ieri sui social commentava: «In Italia non si contagia e non ci si contagia con il Covid ballando la macarena in discoteca, scegliendo i pomodori al supermercato e comprando le Zigulì in farmacia, ma votando per amministrative e referendum sì». Per poi affondare sull’inutilità della misura prevista: «Questa è l’ultima, altissima evidenza medico scientifica partorita dalla burocrazia italiana. A sto’ punto potevano obbligare all’uso della Ffp2 per votare i referendum, mentre per le amministrative forse poteva bastare la chirurgica», ironizza il direttore della clinica di malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, dove ieri è stato dimesso l’ultimo paziente ricoverato per Covid. Implacabile anche il giudizio di Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica dell’ospedale Sacco di Milano: «Alle urne in mascherina? È una misura che non ha alcun nessun senso. Se stiamo senza mascherina al ristorante, non si capisce perché per andare a votare dovremo mettercela». Per il professore di igiene, Fabrizio Pregliasco, invece «le mascherine alle urne hanno un senso e hanno un’utilità. Sono una giusta misura di attenzione in un momento di assembramento istituzionale». Non ha spiegato la differenza tra l’andare in un supermercato affollato senza obbligo di bavaglio e il momento del voto, con tanto di numero limitato di accesso ai seggi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-presenta-ricorso-al-tar-no-al-voto-con-la-mascherina-2657472085.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-rai-si-sveglia-il-tg2-ma-solo-per-unora" data-post-id="2657472085" data-published-at="1654638777" data-use-pagination="False"> In Rai si sveglia il «Tg2». Ma solo per un’ora Ma domenica c’è un referendum sulla giustizia? Parrebbe di sì, anche se finora un silenzio peloso è sceso a coprirne i forti significati riformisti, sollecitato dai due partiti delle procure (Pd e Movimento 5 stelle), dai magistrati medesimi e dal mondo dell’informazione, soprattutto televisivo, in massima parte appiattito sui desiderata del Nazareno. La speranza dei custodi dello status quo si concentra sull’eventuale mancato raggiungimento del quorum (50% degli elettori più uno) da parte del fronte del Sì in un weekend destinato alla prima tintarella. Almeno così spera il ministero dell’Interno di Luciana Lamorgese che ha piazzato la consultazione in mezzo a giugno. Eppure. Eppure il delitto perfetto potrebbe fallire perché, dopo l’indignazione pubblica dei promotori (radicali e Lega) e lo sciopero della fame del vicepresidente del Senato Roberto Calderoli, della tesoriera del partito radicale Irene Testa e di 200 fra dirigenti e militanti, qualcosa di sostanziale si muove per evitare, come ha denunciato Matteo Salvini, «un furto di democrazia». Il leader leghista ha aggiunto: «È un’occasione storica per milioni di italiani di fare riforme che la politica non ha saputo fare negli ultimi 30 anni». Contro il silenzio dell’establishment ha cominciato a funzionare una campagna di informazione alternativa, via social, per sensibilizzare i distratti e gli scettici, con una frase di Enzo Tortora come stella polare. «Solo tre categorie di persone non rispondono dei loro crimini: i bambini, i pazzi e i magistrati». Ieri, dopo una deplorazione dell’Agicom, si è svegliata anche la Rai. O meglio il Tg2 di Gennaro Sangiuliano, il meno lottizzato a sinistra, che ha invitato il segretario radicale a un dibattito sui referendum della durata di un’ora. «Meglio tardi che mai», il commento di Maurizio Turco. «Questa è una timida e insufficiente riparazione alla violazione del diritto dei cittadini a essere informati che abbiamo denunciato a fine maggio. Difficilmente riusciremo a recuperare il silenzio che ha accompagnato questa campagna referendaria, siamo comunque riusciti a iscrivere la questione giustizia nell’agenda politica di questo Paese e, grazie a Salvini e alla Lega, a votare i referendum per una giustizia giusta a 25 dal tradimento del referendum Tortora per la responsabilità civile dei pm. Il recupero di questi spazi dimostra che, se la Rai vuole, può fare servizio pubblico. Cosa che non ha fatto dalla metà di febbraio a oggi, mandando in onda brevi spazi referendari per un pubblico inesistente visto l’orario». Un ruolo decisivo ha avuto Calderoli, che ha scritto al premier Mario Draghi «perché tra i tanti messaggi mandi anche quello di invitare la gente al voto». Poi ha aggiunto: «Inneggiavo a Mani pulite, oggi lotto con i radicali per i referendum. Ho sentito storie di innocenti arrestati all’alba che mi hanno sconvolto. La giustizia va riformata, il parlamento non sa farlo, ci pensi il popolo». I cinque quesiti riguardano la modifica della legge Severino; l’abrogazione della custodia cautelare alla sudamericana, retaggio di Tangentopoli; la decisiva separazione delle carriere fra giudici e pm; le valutazioni sull’operato dei magistrati (oggi il Csm di fatto non sanziona nessuno) e le candidature al Csm per tarpare le ali alle correnti politicizzate. Tre dei cinque punti entrano ed escono anche dall’aula del parlamento poiché sono alla base della discussa riforma della Guardasigilli Marta Cartabia (il 15 va in Senato), definita troppo leggera dal centrodestra e troppo vessatoria nei confronti delle procure dal centrosinistra. L’opera di sbarramento di piddini e grillini, orfani dell’ex ministro disc jockey Alfonso Bonafede, rischia di annacquare una riforma che neppure a sinistra viene vista come risolutiva e modernizzatrice del sistema giudiziario. Così il referendum assume un ruolo decisivo. Mentre Enrico Letta ha battezzato il No per compiacere Giuseppe Conte, i suoi alleati si stanno smarcando. Emma Bonino, leader di +Europa, ne è l’esempio: «Il segretario del Pd ha indicato il No, che di fatto è un invito all’astensione, il modo più efficace per far fallire i referendum. Questo nonostante molti dirigenti e semplici iscritti voteranno Sì. Ha fatto prevalere le ragioni dell’alleanza con il M5s, contrario ai referendum perché mette alle spalle la stagione giustizialista di Bonafede». Pure Matteo Renzi si è espresso per cinque Sì («Sarà difficile ma andiamo avanti anche perché la riforma Cartabia è inutile. Chi sbaglia paga»), come Claudio Martelli e Giuliano Pisapia. Luciano Violante, ex icona delle procure, voterà contro la legge Severino. Si spiega il senso del silenzio, un bavaglio che non scalfisce la serenità del capo dello Stato. Sollecitato a intervenire per invitare a un esercizio di democrazia popolare, Sergio Mattarella per ora tace.
Christine Lagarde (Ansa)
Nel consueto bollettino, gli economisti della Bce (a guida francese) parlano di una Ue a due velocità trainata dalla crescita del Pil di Macron & C. Non citano la crisi politica più grave degli ultimi 70 anni, deficit fuori controllo, tagli al rating e spread zero con l’Italia.
Qualche settimana fa (inizio ottobre), era balzato agli onori delle cronache un report degli analisti di Berenberg che per la prima volta parlavano di un vero e proprio scambio di ruoli all’interno dell’Ue: «La Francia sembra la nuova Italia». Dietro a quel giudizio tranchant ci passa un’epoca di almeno tre lustri che parte da un altro mese di ottobre, quello del 2011, e dalla risatina tra gli allora leader di Parigi e Berlino, Sarkozy e Merkel. Il sorrisetto beffardo nascondeva un giudizio di inaffidabilità politica ed economica rispetto alla traballante situazione del governo Berlusconi e ai conti pubblici che a detta dei sostenitori dell’austerity dell’epoca, nel Belpaese non rispettavano gli impegni presi.
Jeffrey Epstein (Getty Images)
Pubblicati i primi file. Il trafficante morto misteriosamente in carcere disse: «Sono l’unico in grado di abbattere Trump».
La torbida vicenda che ruota attorno alla controversa figura di Jeffrey Epstein è tornata di prepotenza al centro del dibattito politico americano: nuovi documenti, nuovi retroscena e nuove accuse. Tutte da verificare, ovviamente. Anche perché dal 2019, anno della morte in carcere del miliardario pedofilo, ci sono ancora troppi coni d’ombra in questa orribile storia fatta di abusi, ricatti, prostituzione minorile, silenzi, depistaggi e misteri. A partire proprio dalle oscure circostanze in cui è morto Epstein: per suicidio, secondo la ricostruzione ufficiale, ma con i secondini addormentati e l’assenza delle riprese delle telecamere di sicurezza.
Nel riquadro, Giancarlo Tulliani in una foto d'archivio
Requisiti una villa, conti correnti accesi in Italia e all’estero e due automobili, di cui una di lusso. I proventi di attività illecite sono stati impiegati nuovamente per acquisizioni di beni immobili e mobili.
Lo Scico della Guardia di finanza ha eseguito ieri un decreto di sequestro per circa 2,2 milioni di euro emesso dal Tribunale di Roma su proposta dei pm della Direzione distrettuale Antimafia, nei confronti di Giancarlo Tulliani, attualmente latitante a Dubai e fratello di Elisabetta Tulliani, compagna dell’ex leader di Alleanza nazionale Gianfranco Fini. La sezione Misure di prevenzione del Tribunale della Capitale ha disposto nei confronti di Tulliani il sequestro di una villa a Roma, di conti correnti accesi in Italia e all’estero e due autovetture di cui una di lusso, per un valore complessivo, come detto, di circa 2,2 milioni di euro. «Il profitto illecito dell’associazione, oggetto di riciclaggio, veniva impiegato, oltre che in attività economiche e finanziarie, anche nell’acquisizione di immobili da parte della famiglia Tulliani, in particolare Giancarlo», spiega una nota. «Quest’ultimo, dopo aver ricevuto, direttamente o per il tramite delle loro società offshore, ingenti trasferimenti di denaro di provenienza illecita, privi di qualsiasi causale o giustificati con documenti contrattuali fittizi, ha trasferito le somme all’estero, utilizzando i propri rapporti bancari.
2025-11-14
Casalasco apre l’Innovation Center: così nasce il nuovo hub del Made in Italy agroalimentare
A Fontanellato il gruppo Casalasco inaugura l’Innovation Center, polo dedicato a ricerca e sostenibilità nella filiera del pomodoro. Presenti il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini e il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta. L’hub sarà alimentato da un futuro parco agri-voltaico sviluppato con l’Università Cattolica.
Casalasco, gruppo leader nella filiera integrata del pomodoro, ha inaugurato oggi a Fontanellato il nuovo Innovation Center, un polo dedicato alla ricerca e allo sviluppo nel settore agroalimentare. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la competitività del Made in Italy e promuovere un modello di crescita basato su innovazione, sostenibilità e radicamento nel territorio.
All'evento hanno partecipato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini, il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta e il management del gruppo. Una presenza istituzionale che sottolinea il valore strategico del progetto.
Urso ha definito il nuovo centro «un passaggio fondamentale» e un esempio di collaborazione tra imprese, ricerca e istituzioni. Per Marco Sartori, presidente di Casalasco Spa e del Consorzio Casalasco del Pomodoro, l’hub «non è un punto d’arrivo ma un nuovo inizio», pensato per ospitare idee, sperimentazioni e collaborazioni capaci di rafforzare la filiera.
L’amministratore delegato Costantino Vaia parla di «motore strategico» per il gruppo: uno spazio dove tradizione e ricerca interagiscono per sviluppare nuovi prodotti, migliorare i processi e ridurre l’impatto ambientale. Tamagnini, alla guida di FSI – investitore del gruppo – ricorda che il progetto si inserisce in un percorso di raddoppio dimensionale e punta su prodotti italiani «di qualità valorizzabili all’estero» e su una filiera sostenibile del pomodoro e del basilico.
Progettato dallo studio Gazza Massera Architetti, il nuovo edificio richiama le cascine padane e combina materiali tradizionali e tecnologie moderne. I mille metri quadrati interni ospitano un laboratorio con cucina sperimentale, sala degustazione, auditorium e spazi di lavoro concepiti per favorire collaborazione e benessere. L’architetto Daniela Gazza lo definisce «un’architettura generativa» in linea con i criteri di riuso e Near Zero Energy Building.
Tra gli elementi distintivi anche l’Archivio Sensoriale, uno spazio immersivo dedicato alla storia e ai valori dell’azienda, curato da Studio Vesperini Della Noce Designers e da Moma Comunicazione. L’arte entra nel progetto con il grande murale di Marianna Tomaselli, che racconta visivamente l’identità del gruppo ed è accompagnato da un’esperienza multimediale.
All’esterno, il centro è inserito in un parco ispirato all’hortus conclusus, con orti di piante autoctone, una serra e aree pensate per la socialità e il benessere, a simboleggiare la strategia di sostenibilità del gruppo.
Casalasco guarda già ai prossimi sviluppi: accanto all’edificio sorgerà un parco agri-voltaico realizzato con l’Università Cattolica di Piacenza, che unirà coltivazioni e produzione di energia rinnovabile. L’impianto alimenterà lo stesso Innovation Center, chiudendo un ciclo virtuoso tra agricoltura e innovazione tecnologica.
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