
Giovanni Tria cerca la pace con l'Ue. I due vicepremier garantiscono: «I mercati capiranno».Il governo non arretra di un millimetro sul deficit al 2,4% e il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, fa chiarezza sull'ipotesi di sue dimissioni. «Sono ministro di un governo», dice Tria al Sole 24 Ore, «e come tale sono un politico. Non ho mai minacciato le dimissioni. Il deficit al 2,4% è frutto di una negoziazione politica, e assicuro che c'è stata una mediazione e non da poco». Tria entra nel merito delle scelte economiche del governo, e fornisce una chiave di lettura molto importante rispetto al 2,4% della discordia. Si punta su una crescita consistente, alimentata dall'aumento dei consumi che verrà prodotto dalle misure adottate: «La nota di aggiornamento al Def», sottolinea Tria, «punta a una crescita dell'1,6% nel 2019 e dell'1,7% nel 2020 in modo da consentire una discesa del debito pubblico di un punto all'anno per i prossimi tre anni. Non è una discesa forte, ma maggiore di quella realizzata negli ultimi anni». Parole molto importanti, quelle di Tria, destinate a tranquillizzare i mercati e l'Unione europea. Le voci di un addio del ministro, fatte circolare dai soliti giornali di ex regime, contribuivano di certo ad alimentare dubbi e preoccupazioni sui conti pubblici italiani. Tria lancia messaggi di pace all'Europa: «Mi rendo perfettamente conto», sottolinea il ministro, «delle preoccupazioni della commissione ma non si tratta assolutamente di una sfida alla Ue. Il punto in discussione è come operare in modo anticiclico in una fase di frenata dell'economia. Il mio auspicio è che l'allarme rientri ora che spiegheremo la manovra che stiamo preparando, e gli strumenti che mette in campo per l'obiettivo centrale della crescita. L'equilibrio e il pareggio di bilancio rimane un nostro obiettivo fondamentale, anche se il percorso per raggiungerlo», precisa Tria, «viene allungato nel tempo per dare spazio all'esigenza fondamentale di rilanciare la crescita».Anche il premier, Giuseppe Conte, interviene sulla questione: «La mia opinione», dice Conte al Corriere della Sera, «è che i principi di equilibrio del bilancio e di sostenibilità del debito pubblico siano linee guida che qualunque governo responsabile deve tenere da conto ma che non impongono, tuttavia, di rinunciare a esprimere una politica economica e di finanza pubblica interpretando i bisogni dei cittadini in base ai differenti cicli economici». Sulla stessa lunghezza d'onda, il vicepremier Luigi Di Maio: «La nostra manovra», scrive Di Maio sul blog del M5s, «è per la crescita della ricchezza dell'Italia. Economisti del calibro di Giovanni Dosi hanno detto che con la «manovra del popolo» e il deficit al 2,4% l'economia reale crescerà. Lo spread non è schizzato perché gli investitori tutto questo lo sanno». Anche l'altro vicepremier, Matteo Salvini, è certo che non ci sarà alcuna tempesta finanziaria sull'Italia: «I mercati sono preoccupati e lo spread sale? Noi», sottolinea Salvini, «abbiamo fatto una manovra per crescita e sviluppo. È una reazione iniziale, poi anche i signori dello spread si tranquillizzeranno».
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






