2024-08-26
Salvatore Natoli: «L’Occidente ha smarrito i suoi fini»
Salvatore Natoli e Papa Francesco (Ansa)
Il filosofo: «Nell’abbondanza c’è il malessere da noia, poi quando i consumi arretrano subentra la frustrazione. Si fatica a rimanere fedeli a qualcuno: siamo una società di grandi solitudini. Ma la felicità resta raggiungibile».Tra i libri più letti dell’estate, in classifica tra romanzi e biografie c’è Quando inizia la felicità, bestseller di Gianluca Gotto per Mondadori. Le casse dell’Inps sono alle prese con il bonus psicologo. Le parole disagio e malessere sono claim da stampare su una maglietta o inserire in vignette sui social.A Salvatore Natoli abbiamo chiesto un’intervista sulla felicità, sul desiderio e sul dolore. Conosciuto come il filosofo dello «stare al mondo», classe 1942, ha insegnato in molte prestigiose università italiane, ed è stato docente di Filosofia teoretica all’Università di Milano-Bicocca.Professore, siamo tutti più infelici?«Più che una diffusa infelicità, mi sembra sia giusto parlare di generica e crescente insoddisfazione. Più o meno tutte le società hanno conosciuto nella storia forme di malessere, ed è importante capire che cosa intendiamo con questa parola. L’equivalente semantico è “non sentirsi bene”».Perché cresce?«La spirale della società dei consumi ha aperto continui orizzonti. Abbiamo superato la saturazione. Negli anni Cinquanta, conquistare un certo bene, ad esempio un nuovo elettrodomestico, era vissuto come una festa. Una televisione era una conquista. Una lavatrice, significava la riduzione della fatica in senso stretto». Poi però ci siamo abituati?«E si è sviluppato il sentimento del piacere di consumare. Spesso devitalizzato, oppure finalizzato a obiettivi piccoli e superabili in continuazione. La nostra società ha iniziato a comprare e accantonare, senza mai valorizzare. E questo vale anche per i rapporti con le persone: occasionali e strumentali, per il piacere e l’interesse momentaneo».Incapaci di vere amicizie?«L’amicizia è il reciproco starsi a cuore, un rapporto che si coltiva e che non si vive - consumandolo - come la passione. In una società come la nostra caratterizzata dalla moltiplicazione infinita di incontri, le fedeltà vengono facilmente incrinate. Non solo si rompono i matrimoni, ma non ci si sposa più». Le crisi attraversate dall’Occidente hanno avuto un peso?«Di conseguenza, certo. Quando i consumi arretrano, si scatena il malessere da frustrazione. Mentre nel malessere dell’abbondanza, la figura è la nausea, se invece non posso permettermi di raggiungere un obiettivo, non mi interrogo se sia ciò di cui ho realmente bisogno, ma resta una scontentezza. Cadono i fini, mi spiego?».Cioè il senso di fare le cose?«Si instaura una ripetizione automatica, una routine che produce alla lunga indolenza. Si può essere quindi segnati dal malessere perché si svalutano le cose che abbiamo alla nostra portata, oppure perché non essendo abituati alla mancanza, ci sentiamo sconfitti».Eppure continuiamo a desiderare?«Il tema del desiderio è centrale. Cosa è un bisogno autentico? Come si governa il desiderio? E in definitiva, come si dà senso alla vita?»Per scoprirlo, si va dallo psicologo?«Lo sta chiedendo a un uomo che ha deciso - molto giovane, nell’incontro con un professore del liceo per cui avevo grande stima, che era ateo - di dedicare la propria vita a cercare le ragioni della sua fede in Dio».Le trovò?«Venivo dal mondo cattolico come larga parte degli italiani degli anni Cinquanta: oratori, gioco, comunità. Incontrai quel professore e si aprì per me un problema, e non di poco conto. Perché in adolescenza non è proprio la stessa cosa, che Dio esista o non esista. La domanda, quindi, si fece ben presto per me condizione esistenziale, e l’atteggiamento filosofico del cercare le ragioni delle cose diventò nel corso degli anni la mia professione».Di questi tempi il terapeuta è una figura molto popolare. Non si offenderà, lo è più del filosofo.«Psicologia e filosofia partono da condizioni diverse. La filosofia nasce dalla meraviglia. La meraviglia è il porsi la domanda: perché questa cosa esiste? La psicologia è una scienza che evolvendosi ha esplorato i moti dell’anima, il come si apprende, il come si conosce, e poi cosa si sente. Ovvero la dimensione emotiva dell’uomo».La filosofia può curare?«C’è chi lo ritiene, e ha fondato scuole di consulenza filosofica per i mali dell’anima. Una vera e propria terapia».Nei suoi scritti, professore, ha spesso posto l’accento sul tema della relazione.«Siamo costituiti dalla relazione. Originariamente, per il semplice fatto che non ci siamo fatti da soli. Entriamo nel mondo perché qualcuno ci ha messo al mondo. Siamo frutto di una relazione senza cui non saremmo. Inoltre la nostra vita è fatta di relazioni. Dal punto di vista alimentare, o di reciproco aiuto, o paradossalmente anche quando facciamo la guerra. In ogni caso non possiamo fare a meno dell’alterità».Anche in guerra, anche nel conflitto?«Il desiderio è per definizione relazione: bisogno di altro. Si soddisfa solo quando si incontra l’alterità desiderata. Ma la relazione mi aiuta da una parte, dall’altra mi lega. È cioè anche un vincolo e può diventare insopportabile. Ha questa doppia dimensione».Una vince sull’altra?«Dipende dagli stati della vita, ma sostanzialmente soprattutto dal fatto che chi ritiene di farcela da solo alla fine fallisce e resta solo. Relazioni opportuniste e di strumentalizzazione dell’altro, generano competizione e guerra. Le relazioni solide sono quelle di reciproco scambio, di reciproca crescita. Se non c’è relazione, si crolla nella solitudine, e la nostra è una società di grandi solitudini. Che generano malessere».Domanda fatidica: si può essere felici?«Ci sono direi due modi per intendere la felicità. Uno è quello utilizzato in senso corrente. Ovvero il momento di felicità. Una vincita alla Lotteria; il ritrovamento delle chiavi che credevamo di aver perso; l’incontro con una persona che accende la vita. Sono momenti di realizzazione, di espansione di sé. E anzi, quando si è felici pare quasi che tutto il mondo sia felice».Poi finisce?«Non è qualcosa che l’uomo raggiunge da sé, ma ne è raggiunto. Per congiunture favorevoli di diversa natura. Quando ci si dice felici, lo si dice sempre in questo senso. E allora se la felicità è un caso, non puoi essere mai felice interamente, ma solo casualmente. Sant’Agostino ne diede una definizione molto incisiva: “raptim quasi per transitum”, ovvero è improvvisa, e come di passaggio».Esiste quindi una dimensione meno transitoria della felicità?«Quella che l’uomo conquista da sé. La definisco una esperienza morbida, e che riguarda la vita intera. Per questo raramente è dichiarata. Ma soltanto vissuta».Come la si conquista?«Attraverso una dimensione di scoperta delle proprie qualità e valori, e con la capacità di realizzarli. È frutto quindi di lavoro e virtù, di un impegno costante. E visto che te la guadagni, non può essere tolta. Dà la sensazione del flusso, opposta a quella del picco».E se sopraggiunge un dolore?«Il dolore è un’esperienza di separazione. Dagli oggetti, o dagli altri. Se ti rompi la gamba, non puoi andare a fare una passeggiata, e gli amici andranno a farla senza di te. Se si vive in un relativo benessere, ci si pone poche domande. Il dolore è invece un inciampo, crea un problema. E questo problematizzare la vita è un vantaggio. Superare un dolore si iscrive nella felicità».Non ne è quindi l’altra faccia della medaglia?«L’opposto della felicità non è il dolore, ma la noia. Quando cioè l’esistenza perde significato».Mi diceva che tutte le società hanno attraversato forme di malessere. La nostra è destinata a uscirne?«Viviamo in un teatro di guerra permanente, tra stati sociali e conflitti. La mia idea è che ci sia un fuoco sotto la cenere. E cioè che ci sia tanto bene nascosto, che andrebbe portato alla luce. Il mio ragionamento è per contrario: se il mondo non è crollato fino a ora, vuol dire che c’è un bene che lo sostiene, anche se non lo conosciamo. Se nonostante l’orrore il mondo regge, significa che ci sono colonne di bene che lo tengono in piedi. Un bene silenzioso, che andrebbe portato alla luce. Personalmente, interpreto la filosofia proprio come un esercizio di fiuto, che mi porta a scoprire le ragioni del bene».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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