
Ivan ha fatto a pugni con la vita, ma nei fine settimana trova pace nelle valli delle sue Orobie. E la sera, tornato a casa, si sente grato.Ivan appartiene alla sfornata del 1978. Diversi ragazzi e ragazze della sua età portano nomi russi: Ivan, Igor, Andrej, Natascia, Olga, Anastasia (talora scritto con la i italiana, oppure altre volte con la j lunga, quella di Juventus, oppure leggermente accorciato, in testa, Nastasia, assì anche Nastassja, la fantasia non manca), Boris e Irina. Una vera e propria ondata comunista, pansovietica, filo-socialista. Invece negli anni Novanta, durante l’era di quella simpatica canaglia di Bill Clinton, con tutte le sue presunte segretezze che sono state ampiamente spalmate sui quotidiani di mezzo mondo, ci fu un’ondata di nomi americani: Kevin, Hillary (anche qui: Hilary, Hilari, Hillari…), Tom, Pitt, Brad, Brad Pitt (primo e secondo nome), Susana, Keanu (o Kianu), Jodie (ovviamente da Jodie Foster), Natalie (o Nataly), Geena (ma da noi c’era già Gina). Le mode. Ivan si chiama così poiché né la madre e né il padre volevano adottare i nomi dei futuri nonni: Assunta, Camillo, Giovan Battista e Malvina. Non sono brutti, ma non sono nemmeno così belli, secondo loro, da condannare un figlio. E così hanno guardato altrove, hanno varcato i confini nazionali, si sono sollevati bel oltre le cime delle Alpi, oltre i ghiacciai perenni, che perenni oramai non sono nemmeno più, oltre i mari che ci circondano, oltre i Balcani, oltre le isole della Grecia, oltre l’Europa, fino a sorvolare i deserti del Medio Oriente e risalire, richiamati dai romanzi possenti della tradizione russa. Ivan è il maggiore dei tre fratelli che alimentano le pagine de I Fratelli Karamazov (1879) di Fedor Dostoevskij. È un ateo e deve affrontare varie inquietudini che lo scuotono. Quale sia la cagione che ha spinto il padre ha sceglierlo resta un piccolo mistero, ma così è stato. Ivan è anche il nome di un furente zar russo, forse il più sanguinario, il più spietato e deciso tra gli zar che abbiano mai dominato le vastità delle Russie.Ivan, questo nostro bergamasco Ivan, forse per un castigo al contrario, non è affatto come i suoi personaggi-radice: è gentile, a volte si potrebbe addirittura dire che sia imbarazzantemente timido, non conosce malizia o idea di prevaricazione, è solidale e onesto. Sua madre ogni tanto lo riprende, «guarda che sei fai così ne approfitteranno tutti di te, la buona fede non va sempre bene…», ma alla fine, anche se non perde occasione per rimbrottarlo - d’altronde a fare la madre mica si va a scuola, lo impari giorno per giorno - si ritrova a pensare che è sempre meglio avere un figlio così, che non certi suoi compagni di classe o cugini che vedono il male in ogni cosa. Il male, lei da bambina era sempre stata felice, sorridente, poi accadde quella cosa che non ha mai avuto il coraggio di raccontare, a nessuno. Se ne vergogna ancora molto. Ha creduto, erroneamente, che il silenzio fosse la medicina opportuna. Se non ne parli, una cosa svanisce. Ma il trauma, la cicatrice, è rimasta lì, viva, pulsante. S’è fatta sentire così tante volte! Ma suo figlio, l’Ivan, comunque, non c’entra.Ivan è un tifoso sfegatato della Dea, quando l’Atalanta gioca in casa non si perde una partita, che sia campionato, Coppa Italia o qualche competizione europea. Nemmeno le amichevoli, per dirla tutta, e spesso si faceva portare dal papà nei paesi di montagna dove la squadra si ritira in estiva. Oramai ci va da solo, con altri tifosi come lui. Il suo giocatore preferito era e resta lo svedese, il grande centrocampista vichingo, Glenn Peter Strömberg. Nato a Göteborg il 5 gennaio 1960 è arrivato a Bergamo via Benfica nel 1984, giocando otto campionati, sette di serie A ed uno nella classe cadetta: 219 partite, 18 gol. Un mito!Diventando adulto la passione è rimasta sebbene sia moderata, d’altronde il lavoro, gli amici, i suoi parenti che invecchiano, le sue storie d’amore che non superano mai la soglia dei cinque mesi, ora per questa, ora per quella ragione. O capriccio. O tradimento. O incertezza. Tra i 20 anni e i 30 è successo qualcosa che ha minato quella sua bonarietà sincera, quasi incorruttibile. Forse l’aver perduto fiducia nell’amore, il non aver incontrato la persona giusta, come si dice, o forse una certa inquietudine che il diventare uomo ha impresso inavvertitamente nel fondo della sua anima. Sta di fatto che ogni tanto si ritrova coinvolto e compartecipe di scazzottate violente, soprattutto allo stadio, ma anche quando si mette a discutere con qualche altro uomo per futili ragioni: un semaforo rosso non rispettato, una precedenza maltolta, scortesie semplici che basterebbe forse ignorare ma sulle quali lui, invece, si incallisce. È per guadagnarsi un poco di pace che i fine settimana risale le vallate, procede fin su in Val Seriana, in Val Brembana, o in Val di Scalve, Val Gandino, in Val Camonica. Scarpina sulle cime delle Orobie, oppure punta verso le montagne dei cugini bresciani, nel parco dell’Adamello. Ha scalato le vette più alte: l’Adamello (3.539 m), il Pizzo Coca (3.050 m), il Pizzo Redorta (3.038 m), il Turione Curò (3.005 m), tutti sopra la soglia dei 3.000. E anche qualcosa più in basso, come il Pizzo di Parola (2.981 m) ed il Dente di Coca (2.925 m). Ama sfidare i ghiacci, le nevi, le rocce. Faticare lassù, arrivare quasi al limite di non farcela. In più di una occasione ha pensato: ecco, hai visto? Alla fine ce l’hai fatta a inguaiarti così tanto da non potertela svangare! E invece, per un verso o per l’altro le mani hanno trattenuto, le gambe hanno spinto, la schiena ha retto. Arrivare a casa dopo che l’hai superata, quando sei solo, rinfrescato da un doccia, negli abiti asciutti e caldi, gli occhi fissi nel tramonto che si sta abbandonando alla notte, c’è come una poesia che si disegna nella tua mente. Quel che d’ora in poi vivrai è un dono, non ha più niente a che fare coi doveri, i bisogni, le aspettative tue e di altri. Sei nel bonus, come quando giocavi alla playstation. Ed è in questi momenti che senti il richiamo dei boschi, dove vai per guadagnarti un abbraccio, per non sentire più parole, solo per camminare e confonderti. Per sradicarti dalla tua vita di uomo e abbozzare, tentare, di radicare nella terra, in attesa di quel tanto che basta di pioggia, di umidità, di vento o di sole. Vivere come viene. Vivere da albero.
«It – Welcome to Derry» (Sky)
Lo scrittore elogia il prequel dei film It, in arrivo su Sky il 27 ottobre. Ambientata nel 1962, la serie dei fratelli Muschietti esplora le origini del terrore a Derry, tra paranoia, paura collettiva e l’ombra del pagliaccio Bob Gray.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
L’intesa tra i due leader acciaccati per contenere le migrazioni sta naufragando. Parigi non controlla più la Manica e gli irregolari «dilagano» nel Regno Unito.
Ecco #DimmiLaVerità del 24 ottobre 2025. Ospite Alice Buonguerrieri. L'argomento del giorno è: " I clamorosi contenuti delle ultime audizioni".
Formitalia, azienda toscana di Quarrata, ha firmato l’allestimento del Conference Center di Sharm el-Sheikh dove è stato siglato l’accordo di pace per Gaza. Un esempio di eccellenza italiana che porta il design nazionale al centro della diplomazia mondiale. «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico», dice Lorenzo David Overi, ceo del gruppo.
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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