2025-04-02
Sale l’occupazione ma si assumono quasi solo over 50. Meno posti ai giovani
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Abbiamo 567.000 lavoratori in più, ma 542.000 oltre i 49 anni Pesano denatalità e scarsa formazione. Serve un nuovo fisco.Il consueto rapporto dell’Istat sul lavoro diffuso ieri descrive un mercato tutto rose e fiori. Almeno all’apparenza. Nel mese di febbraio l’Italia ha registrato 47.000 occupati in più, portando il totale delle persone che lavorano a 24 milioni e 332.000. Da quando esiste la serie storica di Istat è il massimo mai raggiunto. Non solo: calano gli occupati a termine e crescono quelli a tempo indeterminato. Il numero degli inattivi, coloro che non cercano nemmeno un impiego, sale ma solo dello 0,3%. Inoltre migliora in generale la posizione delle donne. Se andiamo a vedere pure i dati della cassa integrazione, notiamo che nel 2024 sono state autorizzate circa 500 milioni di ore, ma ne sono state effettivamente utilizzate poco più di 100 milioni. Significa che le aziende hanno trovato una soluzione alternativa alle pressioni finanziarie e alle crisi geopolitiche che non sia quella tradizionale del comprimere i salari o scaricare sugli impiegati (e la collettività) la mancanza di investimenti. Insomma, un panorama che porta la cifra complessiva dei nuovi occupati negli ultimi 12 mesi a 567.000 unità. Un successo che però è venato da un tarlo sociale del quale si parla forse troppo poco. Di questo mezzo milione e rotti di lavoratori, addirittura 542.000 sono over 50. I giovani sotto i 24 anni hanno registrato una ripresa di 52.000 unità. Mentre le altre due fasce, quella tra i 25 e i 34 anni e quella tra i 35 e 49, vedono un bel segno negativo davanti. La prima ha perso per strada 10.000 persone e la seconda circa 17.000 unità. In pratica, in Italia si assumono quasi solo persone che hanno più di 50 anni e ciò è un problema sociale. Per due aspetti. Uno è il distacco della formazione scolastica dal mondo del lavoro; il secondo è il drammatico calo demografico. Nel primo caso si vede infatti che, anche se i giovani sono minoritari, hanno percentuali di distanza dal mondo del lavoro maggiori rispetto agli over 50. Certo, l’allungamento del periodo di attività portato dalla riforma Fornero contribuisce a lasciare persone più vecchie sul mercato, e quindi a spingere le aziende a scommettere su chi è stato nel circuito rispetto a chi è alla porta per motivi anagrafici. Poi c’è lo scenario sempre più cupo della natalità. Nel 2024 i nati residenti in Italia sono stati solo 370.000, in diminuzione di circa 10.000 unità (-2,6%) rispetto all’anno precedente. Il tasso di natalità si è dunque attestato al 6,3 per mille (contro il 6,4 del 2023) a fronte di una fecondità stimata in 1,18 figli per donna, sotto quindi il valore osservato nel 2023 (1,20) e inferiore al precedente minimo storico di 1,19 figli per donna registrato nel 1995. Insomma, culle sempre più vuote. Mentre sale l’aspettativa di vita. Sempre lo scorso anno si sono contati 651.000 decessi, 20.000 in meno rispetto al 2023. In rapporto al numero di residenti, sono deceduti 11 individui ogni 1.000 abitanti, contro gli 11,4 dell’anno precedente. Questo vuol dire un guadagno di vita rispetto al 2023 di circa cinque mesi sia per gli uomini sia per le donne. La speranza di vita alla nascita nel 2024 è stimata in 81,4 anni per gli uomini e in 85,5 anni per le donne (+0,4 in decimi di anno), valori superiori a quelli del 2019. Fino al 2040 lo scenario da tenere presente sarà più o meno questo. Chi analizza i flussi demografici ritiene che solo fra 15 anni si potrà sperare in una inversione di rotta. Ne segue che nel frattempo i governi dovranno muoversi su due fronti: mantenere la stabilità del sistema pensionistico, ma senza deprimere troppo l’occupazione né uccidere in culla i giovani lavoratori. In aggiunta, gli esecutivi dovranno concentrarsi su strategie di incentivi alla natalità. Lo schema dei bonus (che di solito vanno e vengono) non sembra essere sufficiente. Aiutare una coppia a pianificare una scelta come un figlio richiede una traiettoria come minimo di 15 anni. Ecco perché servirebbe una riforma fiscale che possa (sul modello francese) spingere per un quoziente familiare. Alessandro Rosina, ordinario di demografia alla Cattolica di Milano, ha recentemente commentato in un’intervista: «Sono mancate le politiche abitative, per la famiglia, per il sostegno alle donne. Se si pensa di elargire qualche bonus ogni tanto, la situazione non cambierà. Ma se invece si cominciano a mettere a terra politiche strutturate, come per esempio un ciclo di sussidi duraturo nel tempo, penso all’assegno unico, che convinca i giovani a fare un figlio, che rassicuri le coppie», conclude, «allora la situazione potrebbe migliorare». È una strada in salita. Ma è anche un tema sul quale tutti i partiti dovrebbero collaborare. Maggioranza e opposizione uniti.
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