2025-01-17
Sala si risveglia: «Violenze da reprimere»
Il sindaco parla solo ora dei fatti di Capodanno e resta vago sui carabinieri. Mentre vagheggia il terzo mandato.«Gli immigrati non si integrano bene a Milano». Alla fine c’è arrivato anche il sindaco Giuseppe Sala, come se fosse un marziano sceso l’altroieri dall’astronave. Ieri in una lunga intervista a Rtl 102.5 il primo cittadino della metropoli tascabile ha parlato per la prima volta dell’enorme problema legato alle violenze dei clandestini dopo la notte di San Silvestro, caratterizzata per il secondo anno consecutivo da due fattori fuori scala: i reati sessuali compiuti da sbandati e baby gang in piazza del Duomo e il suo silenzio imbarazzato. «Il problema c’è da sempre e in questa fase è più intenso, non ho commentato per un po’ di giorni perché volevo capire», ha spiegato come se fosse alla ricerca di una formula per non disconoscere la realtà e neppure 14 anni di politiche lunari nella gestione cattodem dell’immigrazione.Fin qui permeato dal mantra del Grande Abbraccio - leit motiv della sinistra al governo di Milano dal 2011 (Giuliano Pisapia e doppio Sala) -, il borgomastro ha ammesso l’emergenza qualche ora dopo l’ultimo sfregio: l’aggressione fuori dalla discoteca Alcatraz di una coppia di giovani da parte di una decina di stranieri, con arresto per rapina e violenza sessuale di un egiziano in trasferta (vive nella Bergamasca). Alla trasmissione Non Stop News ha aggiunto: «Il mio silenzio era dovuto al fatto che non sappiamo se si tratta, come qualcuno dice, di questo fenomeno che in arabo viene definito Taharrush gamea, molestie collettive. Che sia così o meno, sono situazioni che vanno represse e controllate. Sulla sicurezza molti polemizzano e pochi fanno».Lui per primo, che da quando guida la macchina di Palazzo Marino si è distinto per una narrazione pericolosa e fuorviante, organizzando marce per gli immigrati e pranzi multietnici, allestendo campagne politiche per trasformare la città in un allegro luna park globale, redarguendo duramente i questori che allestivano blitz nei quartieri più a rischio (stazione Centrale, Rogoredo, Corvetto) e scambiando gli allarmi per eccessi razzisti «della destra che cavalca la paura». Ora che la situazione è fuori controllo (il 96% dei furti e l’81% delle rapine è commesso da stranieri) e la paura è arrivata, Vanity Sala filosofeggia e scopre che l’integrazione non è un pranzo di gala. Ma tende ad argomentare sull’enorme problema sociale parlando d’altro. «Ai miei concittadini dico che dell’immigrazione abbiamo bisogno. Nella nostra bella vita, quando andiamo al ristorante chi sta dietro le cucine? Quando cerchi un infermiere, quando cerchi una badante, quando hai lavori in casa? Mettere tutto insieme non va bene».Con le spalle al muro, il sindaco non si rende conto che sta demonizzando il pizzaiolo egiziano, l’infermiera sudamericana, la badante ucraina e il piastrellista romeno. Vale a dire la maggioranza di immigrati regolari entrati nel tessuto sociale, che innervano di lavoro e positività Milano tutte le mattine. Ma non sono certo loro a organizzare agguati, a violentare, a insultare gli italiani, a incendiare le periferie, a far chiudere le attività sui Navigli. Sono quegli immigrati clandestini che Sala per primo non ha mai voluto vedere, spinto per interesse elettorale (nella funesta stagione di Luciana Lamorgese prima prefetto e poi ministro dell’Interno) a credere alla favola majorina dell’«accoglienza diffusa». Quella che ha portato a Milano schiavi biciclettati destinati a sfamare il popolo divanato del Municipio 1 e disperati entrati nel mondo del crimine per mancanza di alternative.Anche riguardo alla rivolta del Corvetto, la difesa di Sala è surreale. «I carabinieri hanno sbagliato, le parole del video sono inaccettabili, ma non bisogna dare addosso alle forze dell’ordine. Bisogna riconoscere che fanno fatica tutti i giorni per garantire la nostra sicurezza. Lo scudo penale è una sciocchezza, pagateli meglio». Parla come se i primi a «dare addosso» non fossero stati i suoi assessori, lui stesso, i suoi referenti del Pd, il suo consigliere per la sicurezza Franco Gabrielli. «Ha ragione il papà di Ramy, non bisogna strumentalizzare; sono meravigliato dalla sua capacità di stare dalla parte giusta». Sicuramente quel saggio genitore è più istituzionale della consigliera regionale piddina Carmela Rozza, che non ha atteso un nanosecondo per andare in piazza con chi aveva messo a ferro e fuoco in quartiere. Ed essere peraltro cacciata fra gli insulti. «Bisogna tornare a vivere in una realtà in cui la gente si senta sicura», commenta Vanity Sala a Rtl, come se il major di Gotham City non fosse lui. E minaccia il terzo mandato. «Sono d’accordo con Zaia e De Luca, nessun Paese ha limiti di mandati per i sindaci. Da cultore di James Bond, c’è un film interpretato dal mitico Sean Connery dal titolo Mai dire mai». Abituato a piegare la realtà ai suoi interessi, dimentica un altro film dello stesso mitico attore: Si vive solo due volte. Almeno da sindaco.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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