True
2022-03-09
«I russi bombardano i corridoi umanitari». Ma Mosca smentisce
Ansa
L’8 marzo per le donne ucraine sarà una data che non potranno mai dimenticare perché invece di ricevere delle mimose hanno trascorso la loro giornata in fuga dalle bombe oppure nascoste nei rifugi.
Ieri alle 8 ora italiane, le 9 in Ucraina, è scattato il cessate il fuoco in modo da consentire l’evacuazione dei civili dalle città di Kiev, Kharkiv, Mariupol, Chernihiv e Sumy, come da intese siglate lo scorso lunedì durante la terza tornata di incontri bilaterali russo-ucraini arrivata dopo il fallimento dell’annuncio dell’apertura dei corridoi umanitari che non erano potuti mettere in funzione. In ogni caso, seppur in una situazione fragilissima che può degenerare in qualsiasi momento, il corridoio umanitario per evacuare i civili da Sumy resta aperto. Ieri mattina secondo il governatore della regione di Sumy, Dmytro Zhyvytskyi, il corridoio «era operativo» e la situazione all’uscita della città del Nord Est occupata dai russi veniva descritta come «calma», poi nel pomeriggio l’Ucraina ha denunciato «bombardamenti sui corridoi umanitari», un fatto però negato dai russi, che attraverso l’agenzia di stampa Ria hanno fatto sapere di aver evacuato 723 i civili attraverso il passaggio che va da Sumy a Poltava, nella parte centrale del dell’Ucraina.
Questo mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelenski, in un’intervista all’Abc parlava di un possibile compromesso: «Possiamo discutere e trovare un compromesso su come questi territori continueranno a vivere» riferito ovviamente alla Crimea mentre per quanto riguarda le due repubbliche separatiste del Donbass definite in tono sprezzante delle «pseudo Repubbliche» ha affermato: «Sono pronto ad un dialogo ma non alla capitolazione». Ma cosa vuol dire trovare un compromesso su qualcosa che è già «de facto» ed è un tema sul quale Vladimir Putin non vuole trattare per nessuna ragione al mondo?
Probabilmente lo sapremo nei prossimi giorni, tuttavia, il tempo scorre inesorabilmente, i morti aumentano e il momento dei tatticismi sta finendo per tutti mentre nella notte la città di Odessa è stata presa di mira da un attacco aereo che ha causato almeno 10 morti tra i quali ci sono ancora una volta dei bambini e lo stesso è accaduto nella la città di Sumy dove un bombardamento dei caccia russi avvenuto all’alba ha provocato la morte di 21 civili, tra cui 2 bambini. Zelenski ha concluso l’intervista agitando lo spettro di una possibile terza guerra mondiale: «Questa guerra non finirà così. Scatenerà la guerra mondiale». E poi, rivolgendosi alla Russia: «Tutti coloro che sono venuti sulla nostra terra, tutti coloro che hanno dato gli ordini... Sono tutti criminali di guerra». Per tornare al corridoio umanitario, nel tardo pomeriggio di ieri il ministero degli Esteri ucraino con un tweet ha rincarato la dose sulle presunte violazioni del cessate il fuoco: «Le forze russe stanno ora bombardando il corridoio umanitario da Zaporizhzhia a Mariupol. Otto camion e trenta autobus pronti a consegnare aiuti umanitari a Mariupol e a evacuare civili a Zaporizhzhia. La pressione sulla Russia deve essere intensificata affinché mantenga i suoi impegni», mentre Dmytro Ivanovyc Kuleba, ministro degli Esteri, ha accusato apertamente la Russia di «tenere in ostaggio 300.000 civili a Mariupol e di impedirne l’evacuazione nonostante gli accordi con la mediazione della Croce Rossa Internazionale».
In attesa del quarto round negoziale dove sarebbe auspicabile che al tavolo prendessero posto figure di primo livello sia russe che ucraine, dai fronti di guerra arrivano centinaia di notizie diffuse da una parte e dall’altra, impossibili o quasi da verificare. Pochissime le certezze; una tra tutte è che la popolazione civile nelle diverse città cinte d’assedio vive al freddo, senza l’acqua corrente, senza luce e non può comunicare con nessuno visto che anche ieri notte sono stati bombardati i ripetitori della telefonia mobile.
Drammatica la situazione nella regione di Kiev, dove ieri pomeriggio tre adulti sono stati uccisi e tre bambini feriti dall’esplosione di una mina nella regione di Chernihiv (a Nord della capitale) ma soprattutto nella città portuale di Mariupol (Sud dell’Ucraina) dove secondo Laurent Ligozat, coordinatore delle emergenze di Medici senza frontiere intervistato dall’agenzia stampa Agi, «la situazione umanitaria è catastrofica ed è fondamentale che i civili vengano evacuati subito». Per tornare al fronte, è data per certa la morte del generale russo Vitaly Gerasimov, vice comandante della 41ª Armata interforze russa che sarebbe stato ucciso da un cecchino ucraino a Kharkiv. Vitaly Gerasimov non era certo un generale qualsiasi; nipote del generale Valery Gerasimov, capo di stato maggiore e primo vice Comandante della 41ª armata del distretto militare centrale della Russia, era conosciuto come colui che «ha conquistatola Crimea» e anche per aver partecipato alla seconda guerra in Cecenia e all’operazione militare russa in Siria.
Sul fronte dell’intelligence militare, invece, c’è molto nervosismo da parte russa per un articolo pubblicato dal Times nel quale l’attivista per i diritti umani Vladimir Osechkin parla di un presunto report dell’Fsb (il servizio segreto che si occupa della sicurezza interna della Federazione Russa) finito non si sa come nelle sue mani, nel quale gli 007 russi criticano ferocemente l’operazione militare. Difficile stabilire se sia vero o falso il report ma non sono in pochi coloro che ritengono che tra le agenzie di intelligence russe la guerra in Ucraina sia stata fin da subito avversata. Putin però ha tirato dritto e al momento nessuno sa come uscirne.
«Prendiamo rifugiati come stagionali per lavorare sulle spiagge italiane»
La guerra in Ucraina sta causando una significativa ondata di profughi verso Occidente. Secondo quanto riferito dalle Nazioni Unite, al momento avrebbero lasciato il Paese circa due milioni di persone: in questo quadro, alla giornata di ieri, il nostro Paese aveva accolto circa 17.000 rifugiati. Numeri significativi che sono probabilmente destinati a crescere.
In tal senso, l’Italia non si sta organizzando soltanto sul piano dell’assistenza umanitaria, ma sul territorio sono state avviate delle iniziative per assumere dei rifugiati come lavoratori stagionali. Confesercenti ha innanzitutto approntato un pacchetto di 10.000 contratti stagionali, al cui interno verranno inseriti anche giovani profughi della guerra in corso. «Pensiamo al futuro e all’integrazione di chi sta arrivando e arriverà nei prossimi mesi nel Lazio e a Roma», ha dichiarato al Messaggero il presidente della Fiepet–Confesercenti Roma, Claudio Pica. «Ognuno sta facendo la propria parte e anche noi, come possiamo, stiamo mettendo in campo tutto ciò che possiamo, per aiutare i sopravvissuti di questo terribile conflitto», ha aggiunto. «Avvieremo le procedure per tutti coloro che vorranno», ha proseguito, «si tratta di contratti a termine da attivare per il trimestre estivo. Abbiamo pensato ai tanti studenti, ai giovanissimi, è una possibilità per dare loro modo di integrarsi e iniziare a ricostruire una nuova vita». In particolare, a livello tecnico, Confesercenti attiverà questi contratti, accedendo al Fondo competenza. La rete Riviera Sicura, dal canto suo, ha annunciato ieri assunzioni a tempo determinato – da tre a sei mesi – di almeno 300 donne ucraina, fuggite dal conflitto, negli alberghi della riviera romagnola. «L'economia del nostro territorio», ha detto il presidente della rete Giosuè Salomone, «necessita di manodopera straordinaria ogni stagione estiva. Avevamo già previsto di ricorrere al decreto Flussi per sopperire alla mancanza di personale poiché il mercato del lavoro italiano non riesce mai a soddisfare la nostra richiesta in estate». «Il personale va però formato», ha proseguito Salomone, «e per questo già lunedì inizieremo un corso base di italiano, cui seguiranno corsi di housekeeping, haccp e sicurezza sul lavoro per essere pronti con le assunzioni già a Pasqua. Abbiamo calcolato di potere erogare stipendi per oltre due milioni di euro entro settembre. Soldi che le famiglie, al loro rientro in patria, potranno impiegare per la ricostruzione del Paese». «Chiederemo al governo», ha concluso il presidente di Riviera Sicura, «un provvedimento straordinario che consenta sgravi contributivi per l'assunzione dei rifugiati: il minore introito di contributi sarebbe più che ampiamente coperto dal risparmio nell'accoglienza».
Ora, è senz’altro giusto dare un aiuto concreto a persone che fuggono veramente da una guerra. E queste iniziative vanno indubbiamente in tale direzione. Detto ciò, bisogna tuttavia anche vigilare affinché da una buona azione non nascano degli effetti problematici. Non bisogna infatti trascurare gli effetti perniciosi che la pandemia ha avuto sull’economia e il mercato del lavoro nel nostro Paese. Alla luce di tali iniziative, è quindi necessario cercare di evitare due rischi: la sostituzione di manodopera italiana e l’abbassamento dei salari. Un problema, quest’ultimo, che si pone inevitabilmente in presenza di lavoratori disposti a guadagnare meno. I giusti aiuti umanitari devono quindi armonizzarsi con la questione sociale. Non è facile, certo. Ma è quello che bisogna fare.
Continua a leggereRiduci
Nuove vittime tra i civili, bambini compresi. Kiev accusa: «L’invasore tiene in ostaggio 300.000 persone a Mariupol».L’Italia si attrezza per l’accoglienza. Ma c’è il rischio di un contraccolpo sociale.Lo speciale contiene due articoli.L’8 marzo per le donne ucraine sarà una data che non potranno mai dimenticare perché invece di ricevere delle mimose hanno trascorso la loro giornata in fuga dalle bombe oppure nascoste nei rifugi. Ieri alle 8 ora italiane, le 9 in Ucraina, è scattato il cessate il fuoco in modo da consentire l’evacuazione dei civili dalle città di Kiev, Kharkiv, Mariupol, Chernihiv e Sumy, come da intese siglate lo scorso lunedì durante la terza tornata di incontri bilaterali russo-ucraini arrivata dopo il fallimento dell’annuncio dell’apertura dei corridoi umanitari che non erano potuti mettere in funzione. In ogni caso, seppur in una situazione fragilissima che può degenerare in qualsiasi momento, il corridoio umanitario per evacuare i civili da Sumy resta aperto. Ieri mattina secondo il governatore della regione di Sumy, Dmytro Zhyvytskyi, il corridoio «era operativo» e la situazione all’uscita della città del Nord Est occupata dai russi veniva descritta come «calma», poi nel pomeriggio l’Ucraina ha denunciato «bombardamenti sui corridoi umanitari», un fatto però negato dai russi, che attraverso l’agenzia di stampa Ria hanno fatto sapere di aver evacuato 723 i civili attraverso il passaggio che va da Sumy a Poltava, nella parte centrale del dell’Ucraina. Questo mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelenski, in un’intervista all’Abc parlava di un possibile compromesso: «Possiamo discutere e trovare un compromesso su come questi territori continueranno a vivere» riferito ovviamente alla Crimea mentre per quanto riguarda le due repubbliche separatiste del Donbass definite in tono sprezzante delle «pseudo Repubbliche» ha affermato: «Sono pronto ad un dialogo ma non alla capitolazione». Ma cosa vuol dire trovare un compromesso su qualcosa che è già «de facto» ed è un tema sul quale Vladimir Putin non vuole trattare per nessuna ragione al mondo? Probabilmente lo sapremo nei prossimi giorni, tuttavia, il tempo scorre inesorabilmente, i morti aumentano e il momento dei tatticismi sta finendo per tutti mentre nella notte la città di Odessa è stata presa di mira da un attacco aereo che ha causato almeno 10 morti tra i quali ci sono ancora una volta dei bambini e lo stesso è accaduto nella la città di Sumy dove un bombardamento dei caccia russi avvenuto all’alba ha provocato la morte di 21 civili, tra cui 2 bambini. Zelenski ha concluso l’intervista agitando lo spettro di una possibile terza guerra mondiale: «Questa guerra non finirà così. Scatenerà la guerra mondiale». E poi, rivolgendosi alla Russia: «Tutti coloro che sono venuti sulla nostra terra, tutti coloro che hanno dato gli ordini... Sono tutti criminali di guerra». Per tornare al corridoio umanitario, nel tardo pomeriggio di ieri il ministero degli Esteri ucraino con un tweet ha rincarato la dose sulle presunte violazioni del cessate il fuoco: «Le forze russe stanno ora bombardando il corridoio umanitario da Zaporizhzhia a Mariupol. Otto camion e trenta autobus pronti a consegnare aiuti umanitari a Mariupol e a evacuare civili a Zaporizhzhia. La pressione sulla Russia deve essere intensificata affinché mantenga i suoi impegni», mentre Dmytro Ivanovyc Kuleba, ministro degli Esteri, ha accusato apertamente la Russia di «tenere in ostaggio 300.000 civili a Mariupol e di impedirne l’evacuazione nonostante gli accordi con la mediazione della Croce Rossa Internazionale».In attesa del quarto round negoziale dove sarebbe auspicabile che al tavolo prendessero posto figure di primo livello sia russe che ucraine, dai fronti di guerra arrivano centinaia di notizie diffuse da una parte e dall’altra, impossibili o quasi da verificare. Pochissime le certezze; una tra tutte è che la popolazione civile nelle diverse città cinte d’assedio vive al freddo, senza l’acqua corrente, senza luce e non può comunicare con nessuno visto che anche ieri notte sono stati bombardati i ripetitori della telefonia mobile. Drammatica la situazione nella regione di Kiev, dove ieri pomeriggio tre adulti sono stati uccisi e tre bambini feriti dall’esplosione di una mina nella regione di Chernihiv (a Nord della capitale) ma soprattutto nella città portuale di Mariupol (Sud dell’Ucraina) dove secondo Laurent Ligozat, coordinatore delle emergenze di Medici senza frontiere intervistato dall’agenzia stampa Agi, «la situazione umanitaria è catastrofica ed è fondamentale che i civili vengano evacuati subito». Per tornare al fronte, è data per certa la morte del generale russo Vitaly Gerasimov, vice comandante della 41ª Armata interforze russa che sarebbe stato ucciso da un cecchino ucraino a Kharkiv. Vitaly Gerasimov non era certo un generale qualsiasi; nipote del generale Valery Gerasimov, capo di stato maggiore e primo vice Comandante della 41ª armata del distretto militare centrale della Russia, era conosciuto come colui che «ha conquistatola Crimea» e anche per aver partecipato alla seconda guerra in Cecenia e all’operazione militare russa in Siria. Sul fronte dell’intelligence militare, invece, c’è molto nervosismo da parte russa per un articolo pubblicato dal Times nel quale l’attivista per i diritti umani Vladimir Osechkin parla di un presunto report dell’Fsb (il servizio segreto che si occupa della sicurezza interna della Federazione Russa) finito non si sa come nelle sue mani, nel quale gli 007 russi criticano ferocemente l’operazione militare. Difficile stabilire se sia vero o falso il report ma non sono in pochi coloro che ritengono che tra le agenzie di intelligence russe la guerra in Ucraina sia stata fin da subito avversata. Putin però ha tirato dritto e al momento nessuno sa come uscirne. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/russi-bombardano-corridoi-mosca-smentisce-2656877143.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="prendiamo-rifugiati-come-stagionali-per-lavorare-sulle-spiagge-italiane" data-post-id="2656877143" data-published-at="1646794908" data-use-pagination="False"> «Prendiamo rifugiati come stagionali per lavorare sulle spiagge italiane» La guerra in Ucraina sta causando una significativa ondata di profughi verso Occidente. Secondo quanto riferito dalle Nazioni Unite, al momento avrebbero lasciato il Paese circa due milioni di persone: in questo quadro, alla giornata di ieri, il nostro Paese aveva accolto circa 17.000 rifugiati. Numeri significativi che sono probabilmente destinati a crescere. In tal senso, l’Italia non si sta organizzando soltanto sul piano dell’assistenza umanitaria, ma sul territorio sono state avviate delle iniziative per assumere dei rifugiati come lavoratori stagionali. Confesercenti ha innanzitutto approntato un pacchetto di 10.000 contratti stagionali, al cui interno verranno inseriti anche giovani profughi della guerra in corso. «Pensiamo al futuro e all’integrazione di chi sta arrivando e arriverà nei prossimi mesi nel Lazio e a Roma», ha dichiarato al Messaggero il presidente della Fiepet–Confesercenti Roma, Claudio Pica. «Ognuno sta facendo la propria parte e anche noi, come possiamo, stiamo mettendo in campo tutto ciò che possiamo, per aiutare i sopravvissuti di questo terribile conflitto», ha aggiunto. «Avvieremo le procedure per tutti coloro che vorranno», ha proseguito, «si tratta di contratti a termine da attivare per il trimestre estivo. Abbiamo pensato ai tanti studenti, ai giovanissimi, è una possibilità per dare loro modo di integrarsi e iniziare a ricostruire una nuova vita». In particolare, a livello tecnico, Confesercenti attiverà questi contratti, accedendo al Fondo competenza. La rete Riviera Sicura, dal canto suo, ha annunciato ieri assunzioni a tempo determinato – da tre a sei mesi – di almeno 300 donne ucraina, fuggite dal conflitto, negli alberghi della riviera romagnola. «L'economia del nostro territorio», ha detto il presidente della rete Giosuè Salomone, «necessita di manodopera straordinaria ogni stagione estiva. Avevamo già previsto di ricorrere al decreto Flussi per sopperire alla mancanza di personale poiché il mercato del lavoro italiano non riesce mai a soddisfare la nostra richiesta in estate». «Il personale va però formato», ha proseguito Salomone, «e per questo già lunedì inizieremo un corso base di italiano, cui seguiranno corsi di housekeeping, haccp e sicurezza sul lavoro per essere pronti con le assunzioni già a Pasqua. Abbiamo calcolato di potere erogare stipendi per oltre due milioni di euro entro settembre. Soldi che le famiglie, al loro rientro in patria, potranno impiegare per la ricostruzione del Paese». «Chiederemo al governo», ha concluso il presidente di Riviera Sicura, «un provvedimento straordinario che consenta sgravi contributivi per l'assunzione dei rifugiati: il minore introito di contributi sarebbe più che ampiamente coperto dal risparmio nell'accoglienza». Ora, è senz’altro giusto dare un aiuto concreto a persone che fuggono veramente da una guerra. E queste iniziative vanno indubbiamente in tale direzione. Detto ciò, bisogna tuttavia anche vigilare affinché da una buona azione non nascano degli effetti problematici. Non bisogna infatti trascurare gli effetti perniciosi che la pandemia ha avuto sull’economia e il mercato del lavoro nel nostro Paese. Alla luce di tali iniziative, è quindi necessario cercare di evitare due rischi: la sostituzione di manodopera italiana e l’abbassamento dei salari. Un problema, quest’ultimo, che si pone inevitabilmente in presenza di lavoratori disposti a guadagnare meno. I giusti aiuti umanitari devono quindi armonizzarsi con la questione sociale. Non è facile, certo. Ma è quello che bisogna fare.
Lee Raybon avrebbe ambizioni da detective. Non da investigatore tout court. Piuttosto, vorrebbe essere un reporter, di quelli capaci - forti solo delle proprie risorse - di portare a termine indagini e inchieste, di dar forma alle notizie prima ancora che queste vengano diffuse dalle autorità competenti.
L'ambizione, tuttavia, è rimasta tale, nel corso di un'esistenza che ha costretto Raybon a ripiegare su altro per il mero sostentamento. Si è reinventato libraio, Lee Raybon, gestendo di giorno un negozio di libri rari. La notte, però, ha continuato a seguire il cuore, dando spazio alle sue indagini scalcagnate. Qualcuna è riuscito a trasformarla in articolo di giornale, venendola alle pagine di cronaca locale di Tulsa, città che ospita il racconto. E sono i pezzi ritagliati, insieme ai libri ormai giallognoli, ad affollare l'apportamento di Raybon, che la moglie ha mollato su due piedi, quando ben ha realizzato che non ci sarebbe stato spazio per altro nella vita di quell'uomo. Raybon, dunque, è rimasto solo. Non solo come il crime, per lo più, ha raccontato i suoi detective. Non è, cioè, una solitudine disperata, quella di Raybon. Non c'è tristezza né emarginazione. C'è passione, invece: quella per un mestiere cui anche la figlia dell'uomo sembra guardare con grande interesse.
Francis, benché quattordicenne, ha sviluppato per il secondo mestiere del padre una curiosità quasi morbosa, in nome della quale ha cominciato a seguirlo in ogni dove, partecipando lei pure alle indagini. Cosa, questa, che si ostina a fare anche quando la situazione diventa insolitamente complicata. Lee Raybon ha messo nel mirino i Washberg, una tra le famiglie più potenti di Tulsa. Ma uno di loro, Dale, si è tolto la vita, quando l'articolo di Raybon sulle faccende losche della dinastia è stato pubblicato su carta. Perché, però? Quali segreti nascondo i Washberg? Le domande muovono la nuova indagine di Raybon, la sostanziano. E, attorno alla ricerca di risposte, si dipana The Lowdon, riuscendo a bilanciare l'irrequietezza del suo protagonista, il suo cinismo, con il racconto di una dinamica familiare di solito estranea al genere crime.
Continua a leggereRiduci
Secondo i calcoli di Facile.it, il 2025 si chiuderà con un calo di circa 50 euro per la rata mensile di un mutuo variabile standard, scesa da 666 euro di inizio anno a circa 617 euro. Un movimento coerente con il progressivo rientro delle componenti di costo indicizzate (Euribor) e con l’aspettativa di stabilizzazione di breve periodo.
Sul versante dei mutui a tasso fisso, il 2025 è stato invece caratterizzato da un lieve aumento dei costi per i nuovi mutuatari, in larga parte legato alla risalita dell’indice IRS (il riferimento tipico per i fissi). A gennaio 2025 l’IRS a 25 anni è stato in media pari a 2,4%; nell’ultimo mese è arrivato al 3,1%. L’effetto, almeno parziale, si è trasferito sulle nuove offerte: per un finanziamento standard la rata risulta oggi più alta di circa 40 euro rispetto a inizio anno.
«Il 2025 è stato un anno positivo sul fronte dei tassi dei mutui: i variabili sono scesi a seguito dei tagli della Bce, mentre i fissi, seppur in lieve aumento, offrono comunque buone condizioni per chi vuole tutelarsi da possibili futuri aumenti di rata. Oggi, quindi, l’aspirante mutuatario può godere di un’ampia offerta di soluzioni: scegliere il tasso variabile significa partire con una rata più contenuta, ma il vantaggio economico iniziale può essere ritenuto da molti ancora non sufficiente per giustificare il rischio connesso a questo tipo di finanziamento. Per chi non è disposto a rischiare, invece, i fissi garantiscono comunque condizioni favorevoli, oltre alla certezza che la rata resti uguale per tutte la durata del mutuo. Non esiste in assoluto una soluzione giusta o sbagliata, la scelta va presa da ciascun richiedente secondo le proprie caratteristiche; un consulente esperto può essere d’aiuto per valutare pregi e difetti di ciascuna proposta e identificare quella più adatta», spiegano gli esperti di Facile.it
Guardando in avanti, un’indicazione operativa sui variabili arriva dai Futures sugli Euribor (aggiornati al 10 dicembre 2025): per il 2026 non vengono prezzate grandi variazioni. L’Euribor a 3 mesi, oggi sotto il 2,1%, è atteso su livelli simili anche nel prossimo anno.
«In questo momento il mercato non prevede ulteriori tagli da parte della BCE nel 2026 e al netto di qualche piccola oscillazione al rialzo verso fine anno, nei prossimi 12 mesi le rate dovrebbero rimanere tendenzialmente stabili», continuano gli esperti di Facile.it
Lo snodo resta l’inflazione: se dovesse tornare ad accelerare, non si potrebbero escludere nuove mosse restrittive della Bce, con un impatto immediato sugli indici e quindi sulle rate dei variabili. Più difficile, invece, «leggere» i fissi: finché i rendimenti dei titoli europei resteranno in salita, è complicato immaginare una traiettoria diversa per gli Irs e, a cascata, per i mutui collegati.
Per chi deve scegliere adesso, lo scenario è nettamente diverso rispetto a inizio anno. Nel 2025, il tasso variabile è tornato mediamente più conveniente. Secondo l’analisi** di Facile.it sulle migliori offerte online, per un mutuo da 126.000 euro in 25 anni (LTV 70%) i variabili partono da un TAN del 2,54%, con rata di 554,5 euro. A parità di profilo, i fissi partono da un TAN del 3,10%, con rata di 604 euro: circa 50 euro in più al mese.
«Scegliere oggi un tasso variabile significa partire con una rata più contenuta, ma il vantaggio economico iniziale può essere ritenuto da molti ancora non sufficiente per giustificare il rischio connesso a questo tipo di finanziamento. Per chi non è disposto a rischiare, invece, i fissi garantiscono comunque condizioni favorevoli, oltre alla certezza che la rata resti uguale per tutte la durata del mutuo. Non esiste in assoluto una soluzione giusta o sbagliata, la scelta va presa da ciascun richiedente secondo le proprie caratteristiche; un consulente esperto può essere d’aiuto per valutare pregi e difetti di ciascuna proposta e identificare quella più adatta», concludono gli esperti di Facile.it.
Continua a leggereRiduci
Brahim Diaz esulta dopo aver segnato un gol durante la partita inaugurale della 35ª Coppa d'Africa tra Marocco e Comore allo stadio Prince Moulay Abdellah di Rabat (Getty Images)
Serve a spostare l’immaginario: non più periferia, non più frontiera, ma piattaforma. Il governo marocchino non lo nasconde. «La Coppa d’Africa è una prova generale per il Mondiale 2030 e un simbolo della nostra capacità di organizzare eventi globali con standard elevati», ha dichiarato recentemente un portavoce del governo di Rabat, sottolineando l’utilizzo dello sport come leva di soft power e di consolidamento di immagine internazionale. Il re Mohammed VI ha insistito pubblicamente sul ruolo dello sport come strumento di dialogo e cooperazione regionale, definendo iniziative come Afcon e il Mondiale 2030 parte integrante della «strategia marocchina di apertura e modernizzazione». Questa visione è stata ripresa anche dai media di Stato come elemento di legittimazione politica e di promozione dell’identità nazionale. I numeri aiutano a capire la traiettoria. Il Marocco conta oggi circa 37 milioni di abitanti e una crescita demografica relativamente contenuta dell’1 per cento annuo circa, molto più bassa rispetto a molte economie subsahariane.
Questo rallentamento demografico consente una pianificazione a medio-lungo termine più sostenibile. Sul piano economico, il pil ha superato i 140 miliardi di dollari nel 2023, con un pil pro capite attorno ai 3.700 dollari, superiore a molti Paesi dell’Africa subsahariana e stabile negli ultimi anni. Il calcio entra qui. La Coppa d’Africa diventa una vetrina perché cade in un momento preciso. Il Paese è nel pieno di un ciclo di investimenti pubblici legati a grandi eventi. Strade, aeroporti, linee ferroviarie ad alta velocità, stadi. Secondo stime ufficiali, tra infrastrutture sportive e opere collegate il Marocco ha messo sul piatto investimenti nell’ordine di oltre 21 miliardi di dirham — quasi 2 miliardi di euro — per modernizzare stadi e città in vista di Afcon 2025 e del Mondiale 2030. Questa spinta è percepita anche a livello diplomatico.
Nel corso degli ultimi anni Rabat ha promosso nuove alleanze economiche in Africa occidentale, con piani di investimento in energia, telecomunicazioni e infrastrutture. La Coppa d’Africa è intesa come un elemento di “soft power” che attraversa i confini: non solo uno spettacolo sportivo, ma un’occasione per creare reti di relazioni, far visita a delegazioni internazionali e mostrare un’immagine di stabilità e apertura. Il messaggio è rivolto prima di tutto al continente africano. Il Marocco si propone come modello alternativo: africano per storia e geografia, ma sempre più occidentale per governance, modelli economici e partner strategici. “Lo sport è parte integrante della nostra politica estera e interna”, ha detto un consigliere politico marocchino parlando della Coppa d’Africa come di un evento che rafforza l’influenza regionale di Rabat. La Coppa d’Africa serve anche a rafforzare una narrativa interna. Il Paese viene da anni di riforme graduali, non sempre popolari, tra cui la promozione di miglioramenti nei servizi pubblici. Il consenso passa anche dalla capacità di offrire orgoglio nazionale e visibilità internazionale.
Dopo il quarto posto al Mondiale 2022, la nazionale è diventata un moltiplicatore emotivo, un simbolo di successo collettivo. Ma non mancano le critiche. In un anno segnato da proteste giovanili e richieste di maggiori investimenti in sanità ed educazione, alcuni osservatori ricordano che infrastrutture sportive e servizi sociali competono per risorse limitate. «Vogliamo ospedali, non stadi» è stato lo slogan di manifestazioni che hanno investito diverse città marocchine nei mesi scorsi, sottolineando il rischio di disallineamento tra spesa per eventi e bisogni sociali. Nel contesto internazionale il torneo assume un ulteriore significato. La Coppa d’Africa 2025 arriva pochi anni prima del Mondiale 2030, che il Marocco ospiterà insieme a Spagna e Portogallo. Non come semplice partecipante, ma come Paese co-organizzatore, una delle prime volte che un Paese africano riveste questo ruolo congiunto nel calcio globale. Il Marocco conta di vincere la Coppa D'Africa. Il risultato sportivo conterà. Ma conterà meno del messaggio lasciato. Rabat vuole usare il calcio per ribadire che il centro può spostarsi, che l’Africa non è solo luogo di risorse e problemi, ma anche piattaforma, regia e snodo geopolitico. E nel 2030, quando il mondo guarderà lo stesso pallone rimbalzare tra Europa e Africa, quella storia sarà già stata scritta.
Continua a leggereRiduci
Chen Zhi
Dall’immobiliare al fintech, fino al cuore delle truffe online: a 37 anni il fondatore del Prince Group è accusato da Stati Uniti e Regno Unito di aver costruito dalla Cambogia un impero criminale basato su frodi digitali, riciclaggio e sfruttamento di manodopera. Tra cittadinanze comprate, rapporti con il potere politico e miliardi congelati in criptovalute, il ritratto di un magnate oggi scomparso dai radar.
A trentasette anni appena compiuti, Chen Zhi viene indicato dagli inquirenti come l’architetto occulto di una gigantesca macchina di frodi digitali, descritta come un sistema criminale costruito sullo sfruttamento sistematico delle vittime. L’aspetto giovanile, il volto quasi infantile e la barba curata contrastano con l’immagine dell’uomo che, in pochissimo tempo, avrebbe accumulato una ricchezza smisurata. Nell’ottobre scorso il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti lo ha formalmente incriminato, accusandolo di aver orchestrato dalla Cambogia un colossale schema di truffe in criptovalute, capace di sottrarre miliardi di dollari a persone sparse in tutto il mondo. Parallelamente, il Dipartimento del Tesoro americano ha annunciato il sequestro di circa 14 miliardi di dollari in bitcoin riconducibili, secondo le autorità, alla sua rete: il più imponente congelamento di asset digitali mai registrato. Sul sito ufficiale del suo conglomerato, la Cambodian Prince Group, Chen Zhi viene presentato come un imprenditore rispettato e un benefattore di primo piano, capace di trasformare l’azienda in uno dei gruppi più influenti del Paese, allineato – si legge – ai parametri internazionali. Interpellata per un commento, la società non ha rilasciato dichiarazioni. Resta dunque aperta la domanda centrale: chi è davvero Chen Zhi, l’uomo che secondo le accuse avrebbe costruito un impero fondato sulle truffe online?
Originario della provincia cinese del Fujian, nella parte sud-orientale del Paese, Chen Zhi avrebbe mosso i primi passi imprenditoriali nel settore dei giochi online, con risultati tutt’altro che eclatanti. Tra il 2010 e il 2011 si trasferì in Cambogia, inserendosi in un mercato immobiliare allora in piena ebollizione. Il suo arrivo coincise con l’esplosione di una bolla speculativa alimentata dall’afflusso di capitali cinesi e dalla disponibilità di ampie porzioni di territorio sottratte alle comunità locali e finite nelle mani di figure politicamente ben introdotte. Una parte consistente di quei fondi derivava dall’espansione internazionale dei progetti infrastrutturali cinesi legati alla Belt and Road Initiative, mentre altri capitali provenivano da investitori privati alla ricerca di sbocchi meno costosi rispetto al mercato immobiliare cinese, ormai surriscaldato. A questo si aggiunse l’aumento vertiginoso del turismo proveniente dalla Cina.
Phnom Penh cambiò volto in pochi anni: il profilo urbano, un tempo dominato da edifici coloniali bassi e color ocra, lasciò spazio a una distesa di torri in vetro e acciaio. Ancora più drastica fu la metamorfosi di Sihanoukville, ex località balneare tranquilla, trasformata in un polo di casinò, hotel di lusso e complessi residenziali. Qui confluirono non solo turisti e investitori, ma anche giocatori d’azzardo, spinti dal divieto di gioco vigente in Cina. In questo contesto, la rapida ascesa di Chen Zhi apparve fuori scala. Nel 2014 ottenne la cittadinanza cambogiana, rinunciando a quella cinese, un passaggio che gli consentì di intestarsi direttamente terreni e proprietà, a fronte di un contributo minimo di 250 mila dollari allo Stato. L’origine dei suoi capitali rimase però opaca. Nel 2019, aprendo un conto bancario sull’Isola di Man, dichiarò di aver ricevuto due milioni di dollari da uno zio non meglio identificato per avviare la sua prima operazione immobiliare. Nessuna prova documentale è mai emersa a sostegno di questa versione.
Il Prince Group nacque ufficialmente nel 2015, quando Chen Zhi aveva soltanto 27 anni, con un focus iniziale sul real estate. Tre anni dopo ottenne una licenza bancaria per creare la Prince Bank. Nello stesso periodo acquisì la cittadinanza cipriota, in cambio di un investimento di almeno 2,5 milioni di dollari, aprendo così le porte dell’Unione Europea. Successivamente ottenne anche il passaporto di Vanuatu. Nel giro di pochi anni il gruppo si espanse in settori sempre più diversi: compagnie aeree, centri commerciali di fascia alta, hotel a cinque stelle e progetti faraonici come la cosiddetta “Baia delle Luci”, una eco-città dal valore stimato di 16 miliardi di dollari. Nel 2020 Chen Zhi ha ricevuto dal sovrano cambogiano il titolo onorifico di “Neak Oknha”, il più elevato riconoscimento del Paese, riservato a chi effettua donazioni significative al governo.
In quella fase, ha consolidato relazioni politiche di altissimo livello: consigliere del ministro dell’Interno Sar Kheng, partner d’affari del figlio Sar Sokha, e collaboratore diretto di Hun Sen e, successivamente, di Hun Manet dopo la sua ascesa alla guida del governo nel 2023. I media locali lo hanno celebrato come mecenate, lodando il finanziamento di borse di studio e le donazioni durante l’emergenza Covid. Nonostante ciò, Chen Zhi è rimasto una figura schiva, poco incline alle apparizioni pubbliche. Secondo il giornalista Jack Adamovic Davies, autore di una lunga inchiesta su di lui, chi lo ha incontrato lo descrive come una persona pacata, educata e capace di esercitare un’autorità silenziosa. Una discrezione che, col senno di poi, potrebbe aver contribuito a schermarlo da attenzioni indesiderate. Il punto di svolta arriva nel 2019, con il crollo della bolla immobiliare a Sihanoukville. Il settore del gioco d’azzardo online attirò organizzazioni criminali cinesi, scatenando violenti conflitti tra bande e allontanando i turisti. Sotto la pressione di Pechino, il governo cambogiano vietò il gioco online nell’agosto di quell’anno. Centinaia di migliaia di cittadini cinesi lasciarono la città, e interi complessi residenziali rimasero vuoti. Eppure, nonostante il tracollo, Chen Zhi ha continuato ad comprare beni di lusso e a espandere il proprio raggio d’azione. Secondo le autorità occidentali, avrebbe investito decine di milioni in immobili a Londra, New York, jet privati, yacht e opere d’arte, tra cui un dipinto attribuito a Picasso.
Per Stati Uniti e Regno Unito, l’origine di questa ricchezza risiede nell’industria criminale più redditizia dell’Asia contemporanea: la frode online, alimentata da traffico di esseri umani e sofisticati sistemi di riciclaggio. Le sanzioni imposte colpiscono oltre cento società e numerosi individui legati al Prince Group, descrivendo una rete globale di società di comodo e portafogli digitali usati per occultare i flussi finanziari. Al centro delle accuse figurano complessi come il Golden Fortune Science and Technology Park, vicino al confine vietnamita, dove – secondo testimonianze raccolte – lavoratori provenienti da diversi Paesi sarebbero stati trattenuti con la forza e costretti a perpetrare truffe informatiche. Oggi, dopo l’annuncio delle sanzioni, banche e governi regionali prendono le distanze dal gruppo. Le autorità cambogiane cercano di rassicurare i risparmiatori, mentre Singapore e Thailandia avviano verifiche sulle attività locali. Resta però difficile immaginare un netto distacco dell’élite di Phnom Penh da un uomo con cui i legami sono stati così stretti per anni. Di Chen Zhi, intanto, si sono perse le tracce. L’uomo che fino a poco tempo fa figurava tra i più influenti del Paese sembra essersi dissolto, lasciando dietro di sé un intreccio di potere, denaro e accuse che ora scuote l’intera Cambogia.
Continua a leggereRiduci