Si è spento oggi, all'età di ottantanove anni, il miliardario texano, dopo una battaglia di cinque mesi con la leucemia. A renderlo noto, è stato il portavoce della sua famiglia, James Fuller. Magnate nel settore tecnologico, Perot si è sempre distinto per un forte interesse di natura politica, dalla profonda impronta populista. Molto critico della politica estera interventista dell'allora presidente repubblicano George H. W. Bush, si candidò come indipendente alle elezioni presidenziali del 1992, proponendo un programma particolarmente agguerrito: lotta alla delocalizzazione della produzione industriale, opposizione al controllo delle armi e istituzione di una democrazia diretta tramite la creazione di piattaforme elettroniche.
Si è spento oggi, all'età di ottantanove anni, il miliardario texano, dopo una battaglia di cinque mesi con la leucemia. A renderlo noto, è stato il portavoce della sua famiglia, James Fuller. Magnate nel settore tecnologico, Perot si è sempre distinto per un forte interesse di natura politica, dalla profonda impronta populista. Molto critico della politica estera interventista dell'allora presidente repubblicano George H. W. Bush, si candidò come indipendente alle elezioni presidenziali del 1992, proponendo un programma particolarmente agguerrito: lotta alla delocalizzazione della produzione industriale, opposizione al controllo delle armi e istituzione di una democrazia diretta tramite la creazione di piattaforme elettroniche.Inizialmente quasi ignorato, la sua popolarità crebbe con il trascorrere delle settimane: il miliardario riuscì progressivamente a incanalare lo scontento di larga parte dell'elettorato americano nei confronti dell'establishment di Washington: establishment di cui Bush era sempre più considerato un odioso esponente. In particolare, Perot si mostrò capace di sfruttare il calo di popolarità che afflisse il presidente in carica, a causa di una crisi economica che lo aveva costretto ad alzare le tasse (contravvenendo in quel modo a una chiara promessa fatta in campagna elettorale). Celebre è rimasta la scena di Bush che, durante un dibattito elettorale televisivo alla presenza dello stesso Perot, guardava l'orologio per capire quanto mancasse alla fine del confronto.Fu così che, alle elezioni di novembre, il magnate riuscì ad ottenere quasi il 19% del voto popolare: il miglior risultato conseguito da un terzo candidato nel voto popolare dai tempi del 1912, quando Teddy Roosevelt si era presentato a capo del Progressive Party. Ciononostante, il miliardario non riuscì a conquistare alcuno Stato (contrariamente ad altri terzi incomodi, come lo stesso Roosevelt nel 1912, Storm Thurmond nel 1948 e George Wallace nel 1968). Tanto bastò tuttavia per boicottare di fatto la corsa di Bush e permettere così indirettamente all'allora governatore dell'Arkansas, il democratico Bill Clinton, di arrivare alla Casa Bianca.Perot comunque non si arrese e nel 1996 ci riprovò, dopo aver fondato il Reform Party. Quella volta gli andò meno bene, dovendo accontentarsi di conquistare l'8% del voto popolare. Il partito resta comunque, ad oggi, il suo principale lascito politico. Senza trascurare che alle sue primarie del 2000 tentò di candidarsi, senza troppo successo, lo stesso Donald Trump. Nel corso degli ultimi anni, Perot si era avvicinato molto al Partito repubblicano: pur avendo negato il proprio endorsement a John McCain nel 2008, appoggiò - quattro anni più tardi - Mitt Romney nella corsa per la Casa Bianca. Nel 2016 preferì al contrario non schierarsi ufficialmente.Considerato da molti un Trump ante litteram, sono numerosi gli aspetti che effettivamente avvicinano i due personaggi. Entrambi miliardari, entrami outsider, entrambi irriverenti e - soprattutto - entrambi fieri avversari dell'establishment di Washington. Un comune sentire contro il professionismo politico, nonché una comune battaglia contro la politica estera assai spesso interventista e bellicosa portata avanti dallo Zio Sam. Senza poi dimenticare la critica agli squilibri commerciali di cui l'America sarebbe rimasta vittima a causa della globalizzazione, veicolata dai trattati internazionali di libero scambio. Due figure politiche profondamente simili, che hanno tuttavia raggiunto traguardi diversi a causa di un contesto socioeconomico molto differente. Quando Perot portava avanti la sua battaglia nei anni Novanta, il paradigma della globalizzazione era ancora in ascesa: nonostante alcune periodiche turbolenze economiche, i problemi da lui evidenziati venivano ancora considerati poca cosa ed erano fasce limitate della popolazione statunitense a subirne le conseguenze negative. Prova ne è il fatto che, tanto Clinton quanto George W. Bush, quel paradigma hanno continuato a cavalcarlo: sia in termini di strategia economica che in termini di politica estera.Trump, nel 2016, si è trovato in una situazione ben diversa: gli Stati Uniti venivano dalla guerra in Iraq e - soprattutto - dalla Grande Recessione. Fenomeno, quest'ultimo, che aveva messo radicalmente in crisi l'ideologia globalista degli anni Novanta. In questo contesto, le idee che furono di Perot hanno assunto nuova linfa e forza, consentendo al magnate newyorchese di condurre un'efficace critica alle politiche commerciali americane degli ultimi vent'anni. Una critica che, non a caso, gli ha permesso di arrivare alla Casa Bianca.
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