2019-03-14
Ronaldo fa impallidire il goleador da divano
Mentre Mauro Icardi sonnecchia a casa sorvegliato dalla moglie manager, CR7 domina la scena rifilando una tripletta all'Atletico Madrid. Il bomber tripallico riesce a trasformare in oro ogni occasione, dimostrando che i 100 milioni sborsati da Andrea Agnelli sono stati ben spesi. «Non esiste curva dove non si possa sorpassare». Lo sosteneva Ayrton Senna perché coglieva il pertugio a 300 all'ora dove i comuni mortali vedevano solo un muro invalicabile. Potrebbe ripeterlo oggi Cristiano Ronaldo, marziano come quel pilota sublime, condottiero di un pugno di uomini capaci di un'impresa che lancia la Juventus verso una primavera da Champions. Atletico Madrid distrutto. Niente da dire, tutto perfetto. Adesso è la favorita con il Manchester City, solo perché Pep Guardiola può mascherare qualsiasi trappola da regalo di compleanno. «Uno per tutti e tutti per uno» è il timbro social che CR7 ha voluto mettere sul sigillo, sui suoi tre gol, sul destino di una grande squadra che non può prescindere da lui. Ha voluto far sapere a tutti che qui la standing ovation va ai compagni, anche a Leonardo Spinazzola, anche a Mosè Kean. E ha fatto bene, l'acciaio del gruppo si forgia così. Ma nella notte dello Stadium che conduce ai quarti di finale gli altri l'hanno combattuta e lui l'ha vinta, trasformando in oro ogni occasione. Il presidente Andrea Agnelli l'aveva portato a Torino esattamente per questo, cadeau da 100 milioni che fa impazzire da quel giorno di luglio il popolo bianconero. Uno per tutti e tutti per uno, sancisce il monarca generoso via social media. Ma è il primo a sapere che - a differenza di ciò che scrivono alcuni commentatori con le stigmate da vate - non è Federico Bernardeschi ad aver trasformato Cristiano in un fighter, ma è Cristiano ad aver regalato a Bernardeschi una notte da campione. Si chiama empatia. È la misteriosa armonia dello spogliatoio, che può produrre nefandezze ma anche miracoli. Certe volte basta uno sguardo per capirlo, certe altre non basta una vita. In uscita da un turno adrenalinico e speciale - e aspettando il sorteggio che potrebbe regalare perfino una meritata vacanzina con il Porto - rimangono impresse tre immagini. La prima è quella di Ronaldo in stacco da demonio ad affondare Juanfran e tutti gli spagnoli pietrificati, con un colpo di testa fisico, da rombo di tuono Gigi Riva, identico a quello di Alvaro Morata all'andata su Giorgio Chiellini. Chi, travolto dall'invidia, invoca il fallo come allora, non coglie il paradosso supremo: la rete è strepitosa oggi così com'era regolare tre settimane fa. La seconda immagine è la grinta finale del re portoghese nato a Funchal in un giorno di vento (quindi non incasellabile in trite convenzioni da computisteria), che imita in mezzo allo Stadium in delirio il gesto tripallico di Diego Simeone all'andata. Egualmente rozzo, però egualmente in clima con la portata primordiale dell'impresa. A dimostrazione che il calcio è l'eterno ritorno del sempre uguale. Quindi, guai a scandalizzarsi a comando per non ritrovarsi poi, improvvisamente, sulla corsia opposta in mezzo al traffico.La terza immagine, la più profonda e vissuta dopo una partita così perfetta da chiedersi dove fosse finito l'avversario, è quella di Massimiliano Allegri finalmente liberato dai fantasmi e dai gufi. Prima ha giocato semplice, aggiungendo un centrocampista in difesa del valore di Emre Can per far partire l'azione con più sapienza, poi ha parlato semplice cominciando dalla celebrazione del fenomeno con gli attributi del Colleoni. «Che finisse la Champions con un solo gol mi sembrava strano. È stato bravo e sono stati bravi i ragazzi in una cornice stupenda che ha spinto al trionfo».Ora si gode il momento, perché ha vinto la Juventus, ha vinto Ronaldo, ma soprattutto ha vinto lui dopo 21 giorni infernali. Inquisito dalla proprietà subito dopo il pasticcio madrileno dell'andata, sbertucciato da tifosi incontentabili («Il gioco, dov'è il gioco?») e costretto ad abbandonare Twitter, già con la valigia sul pianerottolo stando a leggere improbabili ricostruzioni, addirittura in procinto d'essere silurato fra andata e ritorno, il Max oggi osserva la foto di Zinedine Zidane sulla parete della sede (l'unica effigie del tecnico del Real Madrid avvistata su Torino) e ride di gusto. Ovviamente fra sé e sé. L'uomo è prudente, e amando il tennis sa che si può vincere di dritto e perdere di rovescio. Però non si trattiene: «La critica? Non sono problemi miei, ma di chi critica. Cosa dovrei fare di più? Da cinque anni abbiamo vinto quattro scudetti e trequarti. Più due finali di Champions, quattro Coppe Italia. Che altro dovrei fare io? Sono loro che si devono curare, ci vogliono dottori bravi».Un siluro a pedali che sa di grido liberatorio, poi a fine stagione si ritroveranno e decideranno se proseguire o se salutarsi con un palmarés ancora più ricco. Ma un allenatore migliore sarà difficile trovarlo, perché Allegri sa gestire gli uomini, sa portarli al massimo quando ha senso che diano il massimo. E se CR7 ha risposto così, significa che vuole lui a dirigerlo col fischietto o in panchina col cappotto da lanciare nel vuoto. Poi commette errori (pochi) come i migliori e sa stare a tavola senza perdere la bussola come si conviene a Venaria Reale. Perfino la Borsa ha votato per lui, volando in mattinata a più 24% in Piazza Affari, titolo sospeso per eccesso di rialzo e capace di raggiungere 1,58 euro per azione con 50 milioni di contrattazioni, prima di appoggiarsi al plafond del più 18% alla ripresa.Così si vive nel paradiso del football quando hai a che fare con un club che organizza ogni mossa, che non fa prigionieri, che non coccola i calciatori, che da anni gioca la Superlega d'Europa senza curarsi troppo del campionato lillipuziano al quale è iscritta, dove ogni partita è una formalità. Ma se la Juventus è nel gotha, ci sono scorci più nostrani e ruspanti che vale la pena considerare anche in Europa league. Stasera il Napoli dovrebbe chiudere in Austria la pratica Salisburgo (3-0 all'andata) e l'Inter si appresta all'ennesimo psicodramma con l'Eintracht Francoforte a San Siro (0-0 all'andata).Qui siamo alle solite. Se c'è chi ha esorcizzato il Wanda (inteso come stadio), c'è anche chi non riesce a togliersi di torno la Wanda (intesa come moglie, agente, influencer, soubrette). La differenza sta tutta qui. Dentro la vicenda più grottesca della stagione c'è molto del peso specifico fra uno squadrone fatto e finito con la prua diretta verso la finale del Santiago Bernabeu e un gruppo di calciatori di belle speranze che vorrebbero da anni imitarlo nei risultati. Mentre Cristiano Ronaldo, nel momento più delicato della stagione, cavalca la tigre per mandarla a dominare nella giungla, Mauro Icardi sonnecchia sul divano della villa sul lago di Como (sotto una galleria, c'è di molto meglio), leone da scendiletto in cerca d'una via d'uscita. L'Inter ha gli uomini contati, rischia di uscire di scena, ma il suo calciatore più forte, che peraltro guadagna 5 milioni di euro l'anno, preferisce il giardinaggio. Dai tempi di Alexandre Dumas padre, «uno per tutti e tutti per uno» non è mai stato soltanto uno slogan.
La gentrificazione - cioè l’esproprio degli spazi identitari, relazionali e storici - quelli che Marc Augé ci consegna come i luoghi in opposizione ai non luoghi ha fatto sì che i ristoranti assumano sempre di più desolatamente le sembianze dello spaccio di calorie non obbedendo più a quella cucina urbana che è stata grandissima anche nelle case borghesi dall’Artusi in avanti.