2023-08-19
Missioni e denunce: le medaglie del generale
Il generale Roberto Vannacci (Stato Maggiore Esercito)
Roberto Vannacci si contraddistingue per una carriera prestigiosa: dalla guida dei contingenti in Afghanistan e Iraq, al comando della Folgore e degli incursori del Col Moschin. Fino alla lotta per la salute dei suoi soldati esposti all’uranio impoverito, in contrasto con il ministero.Davanti a una videocamera il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, pronuncia queste parole: «La sconfitta del Daesh è un grande risultato, ottenuto anche con l’importante contributo dell’Italia». È il 21 dicembre 2017 e, collegato in videoconferenza dall’Iraq, c’è il generale che nel Paese del Golfo Persico in quel momento comanda il contingente italiano che si occupa dell’addestramento delle forze di sicurezza irachene: si chiama Roberto Vannacci e ha condotto le operazioni. La sua carriera dal punto di vista operativo è zeppa di promozioni in grado, di onorificenze e di medaglie. Ma è connotata anche da alcune prese di posizione, interne e non, attraverso le quali negli ambienti militari difficilmente si passa indenni. Nato a La Spezia il 20 ottobre 1968, tre lauree e due master in settori delle scienze strategiche e della difesa, indossa la prima divisa nel 1986, quando entra all’Accademia militare di Modena con l’ammissione al corso «Fedeltà». Due anni dopo è già un ufficiale e sceglie la Scuola di applicazione di Torino, dove supera le selezioni per il nono Reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin e consegue il brevetto da incursore. Con il grado di tenente assume il comando del Distaccamento incursori e partecipa alla Missione Ibis in Somalia (1992-1994). Quando rientra è già capitano. Gli affidano prima una Compagnia di incursori. Poi, da maggiore, tra il 2004 e il 2006, assume il comando del Battaglione. Nel frattempo si ritrova a capo delle Forze speciali dell’Allied rapid reactions corps della Nato. Ed è a lui che si deve la prima Dottrina interforze per la componente italiana delle Operazioni speciali, ovvero una policy che racchiude i fondamentali per la gestione di una campagna in un contesto in cui operano più forze militari. Nel 2009 parte per l’Afghanistan con un incarico particolarmente prestigioso: è assistente del capo di Stato maggiore che su mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha il compito di sorvegliare Kabul. Vannacci lavora gomito a gomito con il generale Marco Bertolini, ma anche con il comandante dell’Isaf, il generale statunitense Stanley McChrystal. Lì gli affidano il coordinamento della Task Force 45, schierata a Herat e Farah, dove guida le operazioni contro gli insorti. Allo scoppio della Primavera araba, nel 2011, lo Stato maggiore lo invia in Libia a guidare il Nucleo avanzato del Comando interforze, un gruppo di uomini a supporto delle autorità diplomatiche italiane. Quando il governo italiano decide di evacuare l’ambasciata a Tripoli, Vannacci porta a termine l’operazione con successo. Ad attendere gli italiani in aeroporto, scortati dagli uomini di Vannacci, c’è un C-130 dell’Aeronautica militare con una lista di 85 passeggeri: l’intero corpo diplomatico, militari, funzionari, libici con doppia residenza e i giornalisti che hanno raccontato la crisi. Solo due anni dopo torna in Afghanistan, questa volta con un ruolo Nato: capo di Stato maggiore delle Forze speciali. Non se ne torna a mani vuote: per i risultati conseguiti viene decorato dalle autorità statunitensi con la Bronze star medal, conferita per «atti di eroismo o di servizio meritevole in zone di combattimento». E non è finita. Ad appena 43 anni di età gli affidano il nono Reggimento d’assalto Col Moschin, quello in cui si era formato da ragazzo. Ma torna presto alle relazioni militari internazionali: tra il 2014 e il 2016 nell’ufficio dello Stato maggiore della Difesa lavora per consolidare la rete tra l’Italia, le nazioni alleate e quelle considerate amiche. E appena viene promosso a generale di Brigata assume il comando della Folgore. Tra i baschi amaranto ancora ricordano il discorso che tenne a Livorno nel giorno del suo insediamento, il 9 settembre 2016, perché interruppe la lunghissima tradizione secondo la quale il comandante entrante sarebbe dovuto restare in silenzio al passaggio di consegne. Appena si siede in ufficio avvia l’aggiornamento di tutte le procedure tecnico-tattiche della sua truppa. Lasciata la Folgore parte per l’Iraq. Sono gli anni della lotta all’Isis. E a lui viene affidato l’addestramento delle forze irachene impegnate nell’annichilimento militare dello Stato islamico. Il successo è certificato dal presidente della Repubblica durante la videoconferenza. Lui, però, presenta due denunce, una alla Procura militare e l’altra alla Procura della Repubblica di Roma, nelle quali denuncia «gravi» e «ripetute omissioni» nella tutela della salute del contingente italiano, esposto, stando alla sua versione, ai rischi dell’uranio impoverito usato per le munizioni e mettendosi di traverso al ministero della Difesa, che aveva assunto una posizione decisamente opposta. Nel 2020 la situazione comincia a farsi calda in Russia. E Vannacci, diventato generale di divisione, si sposta a Mosca, dove gli affidano la difesa della rappresentanza diplomatica italiana. Qui viene dichiarato «persona non gradita» dalle autorità russe come rappresaglia per le espulsioni decise dal governo italiano dopo le prime fasi del conflitto con l’Ucraina, e nel settembre dello scorso anno rientra a casa. Prima però aveva lamentato l’assenza di disposizioni dalle linee di comando sulle attività da mettere in campo a Mosca, e questo deve aver creato qualche malumore negli uffici dello Stato maggiore della Difesa. Dopo 37 anni con la divisa addosso, lo scorso mese di giugno, passa a guidare il comando dell’Istituto geografico militare. Niente di operativo, anche se questo ruolo negli ultimi anni è diventato particolarmente delicato, perché legato alle strategie tattiche sull’uso dei droni.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)