2023-07-17
Roberto Castelli: «Magistrati? Deriva antidemocratica»
L’ex ministro della Giustizia: «Meloni sta frenando, non so se consentirà di fare una riforma vera, ma Nordio deve tenere duro. Quando Silvio lottava per cambiare, io prendevo le legnate. Oggi la situazione è peggiore».«In un quarto di secolo, la giustizia italiana non ha fatto un solo passo in avanti. Il Paese è ancora malato, per via della tendenza insopprimibile della magistratura ad invadere gli spazi della politica. La deriva antidemocratica delle toghe è ancora sotto gli occhi di tutti. Per questo dico a Nordio: tieni duro». Roberto Castelli, storico dirigente della Lega bossiana, ministro della Giustizia nei governi Berlusconi («Ero quello che si prendeva le legnate quando esplose lo scontro tra Silvio e la magistratura. Però sono stato il ministro della Giustizia più longevo della storia»), oggi allarga le braccia: «La politica è senza memoria. E molte storture sono rimaste intatte». Lei da ministro subì il record di scioperi della magistratura. Oggi l’Anm dice che la separazione delle carriere è un pericolo per la democrazia. Come se il tempo si fosse fermato?«È veramente una frase clamorosa. Con quale coraggio possono affermarlo? Forse la Francia o il Regno Unito sono Paesi poco democratici? Per non parlare degli Stati Uniti, dove il procuratore è completamente separato dal giudice. Lo sanno che a Parigi il vicepresidente del Csm è il ministro della Giustizia? Il vero pericolo per la democrazia è quello di un potere gestito da una casta che procede per cooptazione, eletta da nessuno». Come spiega questa invettiva, allora? «Premessa: ci sono sempre state, nella magistratura italiana, frange militanti che teorizzano la creazione di una forma politica socialista attraverso le azioni giudiziarie. Lo hanno anche messo nero su bianco, non lo dico io. Per dire, l’altro giorno ho sentito Davigo in televisione: diceva che bisogna punire i mascalzoni non solo sul piano dei reati, ma anche sul piano etico. Siamo ancora a questo punto? Non ci siamo ancora liberati dell’istinto messianico di certe toghe, che si ritengono depositarie dell’etica nazionale. Tuttavia, pur essendo frange estremiste potenti, restano tutto sommato piuttosto limitate». Fatta questa premessa?«Al di là delle toghe militanti, tutta la magistratura - tutta - ha un grande desiderio: che nessuno vada a romperle le scatole. Per questo oggi continuano a godere di uno status assolutamente invidiabile: sono un’enclave di natura costituzionale-giuridica, praticamente una Repubblica a sé. E non ammettono che questo status venga minimamente toccato». Perché? «A parte gli eroi, come Falcone e Borsellino, e quelli che lavorano 15 ore al giorno, il magistrato può impostare come vuole la sua vita professionale. Nessuno può contestarlo, o punirlo per i suoi errori. Gli scatti di carriera funzionano per anzianità. Conosco diversi magistrati che passano la vita a giocare a golf. Dal loro punto di vista, hanno ragione: chi glielo fa fare di cambiare il sistema? Sono rimasti, come dicevo, una casta completamente avulsa dal resto del Paese». Quindi, rispetto ai suoi tempi, non è cambiato nulla? «Se stiamo ai fatti, in ordine alla deriva antidemocratica della magistratura, siamo messi peggio di prima. Basti pensare a ciò che emerso con le rivelazioni di Palamara. Faccio notare che se la riforma che porta il mio nome, quella che ridisegnava l’ordinamento giudiziario, non fosse stata smontata dal governo Prodi, oggi avremmo scongiurato il “sistema” raccontato da Palamara. Ma d’altra parte, chi può rompere il muro di omertà, se non i magistrati stessi?». E la politica?«Si è ritirata. Non ha la forza e il coraggio di tenere la posizione. Quanti guardasigilli sono arrivati dopo di me? Otto? Dieci? Di questi, alcuni si sono praticamente arresi alla magistratura, a cominciare da Mastella, che appena nominato andò fisicamente a salutare l’Anm: un segnale ben preciso. Ma anche gli altri: non erano interessati ad andare in cerca di guai con le toghe. Però oggi c’è Nordio, che in cuor suo, vorrebbe cambiare le cose davvero». Lei crede?«Lo sa che sono stato il primo ad averlo chiamato al ministero della Giustizia, vent’anni fa, quand’ero guardasigilli? Gli affidai la presidenza della commissione per il progetto di riforma del codice penale. Lavorò per cinque anni e fece un ottimo lavoro: prevedeva di depenalizzare molti reati che servivano solo ad intasare gli uffici e affollare le statistiche. Sarebbe il caso di ritirarlo fuori, quel progetto». In realtà oggi a far discutere sono le accelerazioni di Nordio, ad esempio sul concorso esterno e sull’abuso di ufficio. Palazzo Chigi sembra frenare, per evitare la guerra aperta con i magistrati. «Nordio conosce benissimo quel mondo, mentre Giorgia Meloni si sta rapidamente democristianizzando, con uno scatto da centometrista verso il centro. Non so se consentirà al ministro di fare una riforma vera. Avrei voluto essere una mosca, l’altro giorno, per sentire che cosa ha detto Mattarella al premier…».Già, e il Quirinale?«A Mattarella rimprovero di aver fatto passare sotto silenzio le esternazioni del caso Palamara, che in un Paese normale avrebbe fatto saltare l’intero Csm. Francesco Cossiga gli spedì i carabinieri; Mattarella, con tutto il rispetto, non ha detto una parola». Il figlio di La Russa, e poi Delmastro, Santanchè. Episodi in qualche modo collegati? «Non credo. Mi ha fatto abbastanza ridere la reazione di La Russa, che ha interrogato il figlio emettendo rapida sentenza. Santanchè dovrà trarre le sue conseguenze, ma solo se salta fuori qualcosa di penalmente rilevante: per il resto, credo faccia parte della normale vita dell’imprenditore incorrere in fallimenti o infortuni». Se oggi fosse lei al ministero?«Proporrei di cambiare due o tre frasi della Costituzione: serve la separazione delle carriere, interverrei sull’obbligatorietà della funzione penale, che è una finzione, e poi bisogna riformare il Csm, perlomeno sulla funzione disciplinare. Non sarebbero azioni rivoluzionarie: si tratterebbe solo di allineare la Costituzione alla storia delle grandi democrazie occidentali». La Lega su questi temi sembra piuttosto silente. «Spero che si allinei a Nordio, anche perché il momento è favorevole. La sinistra non è mai stata così fiacca. Non ci sono più i punti deboli sulla giustizia legati alla figura di Berlusconi, di cui sono fiero di essere stato amico. E poi i cittadini iniziano a capire chiaramente che certe toghe sono andate oltre il loro recinto. Come si dice oggi, “se non ora quando?”». Perché è così critico verso la Lega di oggi? Con il suo marchio «Autonomia e Libertà» vuole tornare alle origini?«Stavo giusto preparando lo zaino: andiamo in pellegrinaggio due giorni alla fonte del Po. Solidarizzo con Salvini per quei processi “politici” che sta subendo a Catania, ma per il resto la Lega è diventata centralista, e oggi con l’ossessione del Ponte di Messina rischia di diventare meridionalista. E intanto la Lecco-Bergamo, opera chiave per le Olimpiadi, aspetta ancora di essere finanziata. Insomma, esistiamo anche noi, quelli del Nord. Mi pare invece che “Padania” sia diventata una parola proibita». Ma come: per la prima volta c’è una legge organica sull’Autonomia differenziata. Non dovrebbe essere soddisfatto? «L’Autonomia è strutturalmente buona, ma sembra un po’ all’acqua di rose. E poi in Parlamento non ci sono i voti: temo che finirà impantanata». Quindi?«Oggi il Nord non è rappresentato. Serve un grande sindacato del Nord. Io sto portando avanti una battaglia culturale, anche perché la coscienza collettiva su questi temi si è molto sopita. Ma di sicuro, alle Europee, qualcosa succederà».Un nuovo partito?«Io ho contato una galassia di 70-80 sigle autonomiste. Il loro problema è il frazionismo, ognuno coltiva il proprio orticello. Mi dispiacerebbe veder buttati via 30 anni di passione politica: e quindi mi impegno per tenere accesa la fiammella dell’autonomia. Lo sa che in Costituzione ci sarebbe un modo per ottenere le macroregioni senza passare da Roma? Ma magari ne parliamo la prossima volta…».E sulle alleanze europee? La maggioranza sembra ancora divisa sul rapporto tra popolari e conservatori.«Non mi intendo di alleanze, ma sono disposto a tutto per fermare i pazzi alla Timmermans. Ancora oggi mi chiedo se è solo ideologia, o magari c’è dietro qualcosa di peggio. Tra auto elettriche e regole ambientali sulle case, il loro obiettivo è chiaro: vogliono farci a pezzi».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.