2023-12-27
Il ritorno del «reprobo» Spacey: «Netflix esiste per merito mio»
Il divo, vittima della caccia alle streghe del Me too, fa gli auguri politicamente scorretti con il trumpiano Tucker Carlson: «L’America deve smettere di chiedere scusa. Il capo? Se serve posso farlo anche io...».«Stringi le mani con la destra ma tieni sempre una pietra nella sinistra». Forte della sua frase preferita, annegato fra i cuscini del divano e circondato dall’iconografia classica del Natale a Chattanooga, Tennessee (camino acceso, due alberi addobbati), Frank Underwood è tornato per gli auguri più velenosi dell’anno. In uno sketch di sette minuti su YouTube, Kevin Spacey demolisce la decadente America bideniana con un’intervista concessa al presentatore Tucker Carlson, in un duetto fra reprobi eccellenti. Lui annientato ingiustamente nel 2017 dalle fanatiche Erinni iperprogressiste del #Metoo, l’altro cacciato dalla Fox per «trumpismo viscerale» e presunti messaggi razzisti.Sotto abeti tutt’altro che ecologici vengono spacchettati regali non convenzionali, perfetti per demolire l’America mainstream dei conigli mannari dem avviluppati nelle buone intenzioni. Nella più nota serie Tv del pianeta, House of Cards, Underwood era un presidente democratico infido, scorretto, maneggione, pronto a inventarsi attentati islamici per un pugno di voti in Ohio. Con le stesse smorfie e gli stessi ammiccamenti al pubblico, si toglie parecchi sassolini dalle Church. Lo fa quando dice a Carlson - agli albori della stagione elettorale e riferendosi alle sue vicende - che «oggi con i social ciascuno dice le sue fesserie e ha il diritto di dirle. Il problema è che c’è gente che ci crede». Per evitare di farsi abbindolare come allocchi, ricorda agli elettori il motto di Benjamin Franklin: «Non credere a quello che ascolti e credi solo alla metà di quello che vedi».Spacey-Underwood vede un’America fragile, smarrita, in cui «c’è un’eterna caccia alle armi ma ci sono molte più persone uccise dai troll della rete». Vede un ceto politico che dovrebbe «smettere di parlare e cominciare ad ascoltare» e leader di cartapesta che prima di dettar legge avrebbero bisogno di «sapere cosa significa la parola leadership. Questo Paese deve smettere di chiedere scusa e irrigidirsi». Il pacchetto regalo più esplosivo è per l’attuale amministrazione: «Smettiamola di dire ai bambini ciò che devono fare, abbiamo bisogno di qualche adulto nella stanza». Di fatto alla Casa Bianca. Per poi chiosare con il classico sorriso luciferino: «Se c’è da prendere il ruolo del capo, questo è un sacrificio che sono disposto a fare. Ma lì serve qualcuno che non abbia paura di me». È possibile che stia pensando alle Kamala Harris, ai ducetti dei campus universitari, a qualche governatore che recita a soggetto, a chi ha augurato agli americani «buone vacanze d’inverno» invece che Buon Natale per compiacere i capi dell’ateismo dominante e le pervasive associazioni Lgbtq+. Sette minuti per capire, attraverso le insinuazioni appuntite di un grande attore maledetto, che oggi nel Paese guida dell’impero occidentale domina la paura, tutto è determinato dalla paura. «Fear, fear and more fear». Il sogno è svanito, resta l’incubo. Ma Underwood non si limita a elencare i problemi, accenna a modo suo a una soluzione. Che sarebbe, sorpresa, un Silvio Berlusconi. «Oggi non sappiamo più neppure aiutare chi ha bisogno. Manca chi è capace di una grande relazione con il pubblico, chi conosce il valore dell’empatia, chi sa parlare alla gente direttamente, senza interposta persona».Fucilato alla schiena in una character assassination da paura durante la caccia alle streghe di Hollywood, Spacey è stato assolto dall’accusa di molestie nei confronti di quattro uomini ma lavora solo in teatro («anche se da oggi sono pronto a ripartire»); non è ancora rientrato sul set per via del conformismo dominante. La sua vicenda ricorda quella di Woody Allen, bandito dagli States nonostante due giudizi favorevoli del tribunale di New York. E oggi costretto a girare film in Europa accompagnato da assurdi pregiudizi: il suo ultimo film ambientato a Parigi, recitato in francese, da attori francesi, è stato rifiutato dall’ultimo festival di Cannes «per ragioni di opportunità».Memore dell’ostracismo violento della cricca buonista, Spacey promette al suo intervistatore la poltrona di vicepresidente e spacchetta l’ultimo regalo proprio per Netflix, che sei anni fa lo ha cancellato in fretta dal palinsesto. «Hanno cercato di ammazzarci ma siamo qui più grandi di prima», dice a Carlson. «Netflix esiste grazie a me. Io ho dato loro un senso, li ho messi sulle mappe, e loro hanno cercato di sotterrarmi. Mi pare bizzarro che abbiano deciso di tagliare i ponti con me per delle sole accuse che ora si sono dimostrate false». Il pizzino è illuminante: bum-bum (doppio colpo sulla scrivania nel gesto iconico dell’Underwood furibondo), se l’è legata al dito.Dalla leggiadra invettiva tutti escono ammaccati, anche i media. Quelli sdraiati a leone da scendiletto, quelli compiacenti, i cani da guardia del potere. «Le piattaforme mettono in giro notizie che vanno e vengono, i media ufficiali le raccolgono velocemente, le assemblano con il taglia e cuce, come outlet di notizie certificate». Una smorfia, a indicare la solita immangiabile frittata. «Ma se vogliono sopravvivere, i media devono diventare più slow, più lenti». Approfondire, riflettere, parole non più ospitate nei vocabolari di redazione. È l’Underwood pensiero, qualcosa di conservatore, addirittura di trumpiano senza l’impiccio di avere Donald Trump fra i piedi. A questo punto il caminetto e i due alberi con le palle che luccicano pretendono auguri autenticamente yankee. Lui non si sottrae: «Non amo di più, in questo giorno, che bere un whisky e coca cola, investire una renna con la mia macchina e augurarvi il Natale più selvaggio di sempre». God bless Kevin Spacey, anche se in House of Cards (proprio per compiacere l’ateismo infantile di Netflix) fece la pipì in chiesa.
Marta Cartabia (Imagoeconomica)
Sergio Mattarella con Qu Dongyu, direttore generale della FAO, in occasione della cerimonia di inaugurazione del Museo e Rete per l'Alimentazione e l'Agricoltura (MuNe) nella ricorrenza degli 80 anni della FAO (Ansa)