2025-01-22
«La democrazia è minacciata da chi la reputa inutile, mica dai raduni di Acca Larenzia»
Ritanna Armeni (Imagoeconomica)
La giornalista Ritanna Armeni ha appena pubblicato un romanzo sull’attentato di via Rasella del 1944. «Il continuo richiamo alla vigilanza antifascista è stucchevole. I pericoli sono altri».Ritanna Armeni - classe di ferro 1947 - ha firmato un nuovo romanzo, A Roma non ci sono le montagne, sull’attentato di via Rasella, avvenuto nella Capitale il 23 marzo 1944, ad opera dei Gap, i Gruppi di azione patriottica targati Pci.«Non ci si metta pure lei: non fu un attentato» mi corregge subito, con la verve che i telespettatori de La7 hanno imparato a conoscere quando affiancava Giuliano Ferrara a Ottoemezzo.(«Accucciandosi ogni sera sulle sue ginocchia» l’accusò, subissato dalle critiche, un tizio noto per la sua misoginia, talvolta triviale, come quando raccontò che Maria Elena Boschi, interrogata dai magistrati, era stata da questi «trivellata»).Armeni ha iniziato a lavorare come giornalista a Noi donne e poi al Manifesto.«Rossana Rossanda e Luciana Castellina sono state le mie mamme politiche.E come tutte le mamme, amavano i figli maschi. Se c’era da scrivere un articolo importante, si fidavano di più degli uomini» ha confessato anni fa, con ironia agrodolce. Ha scritto anche per Unità e Liberazione, ed è stata la portavoce di Fausto Bertinotti, quando era segretario di Rifondazione Comunista. Oggi è nel comitato di direzione di Donne Chiesa Mondo, mensile femminile dell’Osservatore Romano. Il suo romanzo ricostruisce, dal punto di vista dei partigiani, le due ore e mezza che precedono lo scoppio dei 18 chilogrammi di tritolo, che lascerà sul terreno 33 reclute altoatesine del battaglione Bozen, reparto militare dell’Ordnungspolizei, la polizia d’ordinanza della Germania nazista. Cui seguirà l’eccidio delle Fosse Ardeatine.Ogni capitolo è scandito dall’orario. Dalle 13.20 alle 15.50. Sembra quasi di sentirlo, il tic-tac dell’orologio. Un meccanismo degno di Alfred Hitchcock.«Piroso, su, ci conosciamo da una ventina d’anni, non mi prenda in giro».Per nulla. Hitchcock spiegava che se fai vedere l’esplosione di una bomba, il pubblico in sala fa «oh!», ma la sua è una reazione di breve durata. Se tu però vuoi far crescere la tensione, devi mostrare l’ordigno che viene posato, la vita che intorno continua a scorrere tranquilla, con lo spettatore che va in ansia perché a breve ci sarà il botto, circostanza che invece i personaggi del film ignorano. È quello che può accadere a chi legge il suo libro: la fine è nota, ma nel frattempo noi siamo lì con i protagonisti, che non sanno quando arriverà la colonna militare, in ritardo sulla tabella di marcia.«Ignoravo la lezione hitchcockiana. Ho cercato di calarmi nei panni di quei giovani, uomini e donne, che avevano deciso di dimostrare che i nazisti non erano invincibili».Risultato raggiunto, visti i morti e i feriti tra i militi tedeschi.«Che erano occupanti, chiariamolo subito questo passaggio, importante anche per spiegare come mai il gesto dei partigiani non può essere definito un attentato».Perché?«È presto detto: è sbagliato e fuorviante bollare così quell’atto coraggioso (compiuto non in montagna, con molteplici vie di fuga e nascondigli, ma in città, dove scappare e trovare rifugi sicuri è più complicato: così abbiamo illustrato anche il senso del titolo del libro). Gli attentati li compiono i terroristi con l’obiettivo di fare quanti più morti innocenti possibili».Norberto Bobbio commentò: «Nessuno pensa di rimproverare gli esecutori per aver fatto il loro spietato dovere, ma sarà almeno lecito dire, senza timore di essere accusati di fascismo, che quei 32 soldati tedeschi erano soggettivamente innocenti?». «Lei sa che nel libro replico: si possono definire tali gli appartenenti a una forza di occupazione, con la quale eravamo in guerra? Non erano civili, erano militari. Per questo si deve pensare a via Rasella come a un clamoroso episodio di resistenza nei confronti dei nazisti. Sa perché mi sono decisa a scrivere questo libro? È mai stato a via Rasella?».Certo.«Non c’è una targa, neppure una targhetta grande, che so, come un tablet. Eppure fu un’azione di guerra, la più eclatante compiuta nel centro di una grande città, non solo italiana, ma europea. Solo qui ci fu un’iniziativa del genere, che certificava la vulnerabilità, e non l’onnipotenza, della macchina militare nazista. Quindi l’iniziativa fu assolutamente legittima. In più non dimentichiamo che, nell’ottobre precedente, c’era già stato il rastrellamento nel ghetto di Roma, che aveva fatto calare sulla città una cappa plumbea di terrore, le torture in via Tasso, le incursioni della famigerata banda Koch».Ma già i latini avevano stabilito: post hoc, propter hoc. Ammazzi un gruppo di nazisti, e questo provocherà inevitabilmente la loro ira funesta e sanguinaria. I partigiani non l’avevano messa in conto?«Non credo si aspettassero quella furibonda reazione, con proporzioni siffatte. Prima di allora non c’erano stati esecuzioni di massa di tali dimensioni. Le Fosse Ardeatine -335 innocenti, 5 in più dei pur raccapriccianti 330 previsti dalla proporzione “10 per ogni soldato tedesco deceduto” (ma Adolf Hitler inizialmente ne voleva addirittura 50, non 10)- rappresentano un punto di svolta. E infatti, e purtroppo, dopo arriveranno gli oltre 500 morti di Sant'Anna di Stazzema, nel luglio successivo, e le oltre 700 vittime di Marzabotto, tra fine settembre e inizio ottobre. Aggiunga che erano gli stessi angloamericani a esortare i romani a sollevarsi contro i nazisti, anche perché questo avrebbe alleggerito la pressione militare tedesca nei loro confronti, basti pensare che dal gennaio 1944 era in corso la battaglia di Cassino».Nella post-fazione lei affronta il tema delle polemiche successive all’ordigno di via Rasella e al bagno di sangue delle Ardeatine. I gappisti furono accusati di aver messo a rischio la vita di centinaia di civili, tanto più nell’imminenza dell’arrivo degli Alleati nella Capitale, come di fatto avvenne all’inizio di giugno. Tanto che, con la sua consueta onestà intellettuale, lei stessa ricorda che Roma città aperta, capolavoro del regista (comunista) Roberto Rossellini, prescinde dalla tragica vicenda, segno evidente che la ferita inferta alla popolazione di Roma era tutt'altro che cicatrizzata.«Che la liberazione di Roma fosse prossima possiamo dirlo oggi, all’epoca le informazioni e le previsioni erano quelle che erano. Quanto alla responsabilità “morale” dei partigiani...»Perché le virgolette?«Perché siamo, e la circostanza va ribadita, in un contesto di guerra (volendo fare un paragone con l’oggi: ce li vede i partigiani ucraini accusati di cinica indifferenza nel caso colpissero l’esercito russo entrato a Kiev?). Ma c’è stata un’evidente manipolazione dei fatti e della loro cronologia ad opera dei fascisti, e anche delle gerarchie ecclesiastiche vaticane del tempo. I gappisti non potevano evitare che i tedeschi massacrassero quelle 335 persone inermi, per il semplice motivo che quando l’ordinanza del comando tedesco viene pubblicata sul Messaggero del 25 marzo, i romani apprendono che “la condanna è già stata eseguita”. Non ci fu nessun appello del tipo “consegnatevi, e per la popolazione non ci saranno conseguenze”. Dirò di più: al processo in cui era imputato per strage, il generale Albert Kesserling, che aveva il comando supremo di tutte le forze tedesche in Italia, a precisa domanda della Corte: “Avete fatto qualche annuncio rivolto alla popolazione o ai responsabili prima di procedere con la rappresaglia?”, risponderà con un secco e definitivo “No”.Oggi il tema fascismo-antifascismo è ancora di moda. Quando a un ritorno delle camicie nere, secondo me, non credono neppure i nostalgici più «avvelenati».«È evidente che le polemiche per i mille di via Acca Larentia...».Che a me fanno un po’ ridere, e lo dico da orgoglioso nipote di un partigiano delle Brigate Garibaldi.«A essere stucchevole non è il ricordo di quei ragazzi morti, uccisi come i loro coetanei di sinistra negli sciagurati anni di piombo, quanto il rito e la coreografia a contorno. Quanto è stucchevole la speculare chiamata alla permanente vigilanza democratica. I pericoli sono altri».Preoccupata anche lei dell’avvento della tecnodestra, termine assai gettonato ultimamente?«Più che altro, si sta facendo strada l’idea che la democrazia con le sue istituzioni sia inutile, inefficace in quanto obsoleta, con tempi di risposta lenti davanti all’accelerazione imposta da un’epoca contraddistinta da cambiamenti impetuosi. Le persone credo capiscano che siamo in presenza di un bivio: o rimanere legati a questa vecchia signora un po' acciaccata, con il suo sistema di regole, pesi e contrappesi, o andare incontro al nuovo, che poi tanto nuovo non è, visto che si traduce nel mito della persona sola al comando, forte, sottratta a ogni controllo, perfino di legittimità». Nel 2013 lei sul Foglio mise in guardia la sinistra sulla possibile frattura definitiva tra le elites culturali e politiche del nostro Paese e la società, la gente, il popolo. Nel 2018, quando la intervistai per La Verità, mi confidò sconsolata che la sinistra si era «liquefatta», testuale. Nel frattempo per la sua famiglia ideologica d’origine la situazione è migliorata?«Lei che dice? (ride, ndr)».
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo