2021-04-26
Rita Dalla Chiesa: «Macché quote rosa, viva il merito»
La giornalista tv: «Sbagliato pensare che le donne siano una specie protetta. Il video di Grillo alimenta l'odio, non aiuta i ragazzi coinvolti e non serve al tribunale. Un certo tipo di politica infanga la giustizia».Ricorda con emozione la sinistra in piazza con le bandiere rosse, lei che oggi si arrabbia - e non poco - per Matteo Salvini a processo nella stessa aula bunker dove ha visto i peggiori mafiosi: la giustizia, ne è certa, è ormai politica. E suo padre se ne sentirebbe tradito. Rita Dalla Chiesa lo ripete più volte nel corso dell'intervista: «Sono libera, non ho paura di dire quello che penso». Come sta vivendo questo tempo? Qual è la sua quotidianità?«Ho recepito in modo molto rigido quello che ci hanno chiesto di fare e non frequento gli amici. Vivo da sola, a Roma. Persino mia figlia, che vive a una porta dalla mia, la incontro solo all'aperto, per la passeggiata con i cani».La sua finestra sul mondo?«Pochi i libri, non riesco a concentrarmi. Ho accanto al comodino Il Sistema di Sallusti e Palamara, lo leggerò. Ma vivere con serenità, così, è difficile. I social network, quelli sì, mi fanno compagnia. Sto scrivendo un libro per Mondadori, ma da giornalista sono abituata a raccontare quel che vivo e ascolto, non è un mio talento inventare storie. Mi sento bloccata».È prossima al vaccino: Moderna, ha detto. E qualche leone da tastiera ha avuto da ridire anche su questo. «Certa gente è fuori di testa, si fa ormai polemica su qualsiasi cosa: c'è un clima da caccia alle streghe. Peccato che io non abbia mai saltato una fila in vita mia e accusarmi di favoritismi è ridicolo. Sì, dopodomani ho l'appuntamento e come previsto dalla Regione Lazio ho scelto la struttura tra quelle disponibili vicino a me: all'auditorium Parco della Musica somministrano Moderna, ho prenotato prima di Pasqua e finalmente ci siamo».Dubbi ne ha avuti?«Quando si tratta della salute chi non ne ha? Talk e quotidiani hanno fatto venire a tutti una bella ansia pesante. Ma sarà per me l'inizio della fine dell'isolamento, non vedo l'ora di muovermi e viaggiare. La mia nipotina è nata a pandemia iniziata, e la sto vedendo crescere in foto, nella chat di famiglia. Voglio conoscerla dal vivo. Mi mancano mio fratello e mia sorella».Lei che cosa invia nella chat di famiglia?«Tante foto dei fiori sul mio terrazzo. Questa situazione mi ha dato l'opportunità di impadronirmi di cose che prima davo per scontate. Un bocciolo e la sua cura racchiudono il senso della vita, dopo un anno di convivenza con il pericolo, la malattia, le persone che non ci sono più ridotte a numeri di un bollettino serale. Vivo con tre tamponi a settimana per gli impegni televisivi».«Non è scontato essere così ligi nel rispetto delle regole.«Ho rispetto per gli altri, per me stessa, per le istituzioni».Ha avuto da ridire su Alessandro Gassman che ha raccontato sul Web la festa dei suoi vicini di casa, con l'ipotesi di rivolgersi alle forze dell'ordine. «Con Gassman non posso dire di avere un legame di amicizia, ma mi piace molto, mi è simpatico. Però, visto da fuori, quel fatto mi è sembrato come la delazione ai tempi dei nazisti per gli ebrei. La delazione è una delle cose che più detesto al mondo. Aveva ragione: le feste non si devono fare, ma io non lo avrei reso pubblica la cosa».Sarebbe rimasta in casa, finestre chiuse, tv a volume alto?«No, non è da me. Forse mi sarei messa 10 mascherine e sarei andata a citofonare, a dar pugni alla porta, per ricordare loro tutto quel che è successo e il rischio che stavano correndo. Capisco che in tanti non ce la fanno più, neanche io ce la faccio più. Ma bisogna continuare a fare attenzione».In piazza è scesa la disperazione degli imprenditori costretti a chiudere. «Ho trovato tante incongruenze nelle chiusure imposte. Vedere chi ha perso tutto anche per colpa delle persone incapaci di seguire le regole… mi colpisce nel profondo. Quella disperazione è sulle spalle di tutti coloro che sono senza rispetto».Un'ingiustizia?«Sto riflettendo proprio in questi giorni sul senso della giustizia, quella con la g maiuscola. Penso a mio padre, che ha vissuto quando ancora non esisteva la giustizia fuori dai tribunali. Quando ancora non era intrisa di politica. Lui ha potuto crescere i suoi figli con l'idea giusta della giustizia, poi, da quando se n'è andato e con gli anni Novanta, tutto è cambiato. Un certo tipo di politica ha impedito alla giustizia di volare alto, l'ha inabissata nel fango. Per carità, non tutti i magistrati sono così: ci sono quelli, e tanti sono giovani, che hanno ancora voglia di giustizia sana».Fu Tangentopoli l'inizio di tutto questo?“Ricordo che mi chiedevo già allora se le cose stessero davvero così come ce le raccontavano. Alcune sentenze di oggi sono sentenze politiche e questo mi fa male come cittadina. Ho scolpito in testa quel che sta scritto su ogni tribunale: la giustizia è uguale per tutti».Si possono riportare indietro le lancette?«Sono convinta purtroppo che persino una eventuale commissione d'inchiesta sui magistrati dopo il caso Palamara dovrebbe soccombere alla politica. Guardi quel che è successo a Salvini: la prima cosa che ho pensato è “non è possibile", invece è accaduto».Parla del rinvio a giudizio?«Deciso a una settimana da un non luogo a procedere chiesto dal pm di un altro tribunale. Mi sfugge: perché Conte e Di Maio non erano in aula con lui, se erano al governo insieme? Nell'aula bunker di Palermo ho visto dietro le sbarre i peggiori mafiosi, al maxi processo, e ora mi chiedo cosa ci faccia lì Salvini: è una sentenza politica, come sempre».A che pro?«Ogni volta che qualcuno ha il sentore che la gente possa essere stufa di un certo tipo di politica, che possa non crederci più, ecco che arrivano gli attacchi agli avversari. Come hanno fatto con Berlusconi prima, fanno con Salvini ora».Ora sono tutti (o quasi) uniti al governo.«Fuori dai denti: nel governo di Draghi credo molto, perché è un economista ed è lucido nelle decisioni. E poi, sono sincera, ho amato il fatto che sia stato mandato via Domenico Arcuri e che sia arrivato il generale Figliuolo».Non è dello stesso parere Michela Murgia, che dalla divisa di Figliuolo non si sente rassicurata.«Quel che ha detto mi ha profondamente offesa. Ma vorrei specificare che la lettera aperta in risposta alla Murgia non l'ho scritta io. Ne condividevo forse il significato ultimo, ma non so chi l'abbia scritta, non è il mio stile».Si parlava di «finto femminismo rancoroso». «A proposito di donne, ad esempio, sono convinta sia sbagliato pensare debbano essere una specie protetta quando si parla di pari opportunità. Perché credo nella meritocrazia. Non sopporto le quote rosa».Non le ha mai fatto paura prendere posizione.«Le mie idee sono mie, me le tengo, non ho timore degli attacchi. Chiamo l'avvocato solo quando mi offendono, sui social: c'è chi scrive che mio padre si rivolterebbe nella tomba. Mio padre non si tocca. Oppure scrivono che per il fatto di aver lavorato per Silvio Berlusconi sono una mafiosa. Una volta mi hanno persino minacciato di morte e sono corsa alla polizia postale. Profilo falso, naturalmente». Quando si tornasse al voto: sceglierà in base agli ideali?«Oggi scelgo le persone, non le appartenenze. La politica degli ideali che ho vissuto io da ragazzina era quella di Berlinguer e Almirante: la sinistra era in piazza con le bandiere rosse, con persone che parlavano perché avevano storia e cultura. Oggi ha perso l'identità».Mentre la destra è… sovranista?«Il racconto che a sinistra fanno della destra è sbagliato. Quando la gente non sa il significato delle parole libertà e democrazia, e tu ti permetti non solo di saperlo, ma anche di non volere in nessun modo far parte del gregge, ti danno della fascista. Quella parola la conoscono bene, forse perché appartiene al loro inconscio. Non sono mai appartenuta a un partito, perché amo la Patria, il tricolore, le forze armate. Chi tra loro ha sbagliato, come è giusto, è stato punito. Le mie battaglie sui diritti civili sono quelle della sinistra, però, e le ho fatte tutte».Questo è il momento di ius soli e legge Zan?«Non so se sia il momento, siamo nella pandemia. Dobbiamo risolvere un altro genere di problema. Ma sono per la libertà, che è il bene più grande che abbiamo, e lo abbiamo riscoperto in questi mesi. Ciascuno deve essere libero di vestirsi come vuole e di dire quello che vuole. Senza violenza però, perché la detesto».Il video di Beppe Grillo in difesa del figlio era violento?«All'inizio la sua veemenza mi ha “fregata": mi sono immedesimata in un padre che soffre. Ho però riguardato quel video una seconda volta e ho capito che non c'era nulla, il minimo interesse o attenzione, per la sofferenza del padre o della madre della ragazza. Grillo si è fatto solo lo scrupolo di stare perdendo la faccia, in una situazione dalla quale la politica dovrebbe invece star fuori. Alimentare l'odio non serve a salvare i ragazzi coinvolti, non serve al tribunale, non serve a fare giustizia. Si è parlato troppo di qualcosa che non ci riguarda, dei dubbi e ripensamenti di questa ragazza, quando non sta a noi giudicare».
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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