2024-05-06
«Riscopriamo la comunità per salvare l’Italia del sacro»
Il poeta Franco Arminio: «Sono un conservatore rivoluzionario, invito a riabilitare i paesi. A sinistra molti non mi amano. Alla Meloni dico: collaboriamo per difendere i territori marginali».Legge i suoi versi per quella che per lui è «l’Italia sacra», in isole di soli quattro abitanti o borghi tra le valli dalle poche centinaia. Accanto a bambini e anziani, sui balconi di case diroccate. Ma lo puoi trovare anche fotografato a casa del designer Fabio Novembre, in centro a Milano, seduto vicino a Barbara Berlusconi, Roberto Bolle e Diodato, per una cena a base di lettura. Pubblica il suo numero su Instagram per incontrarsi. Franco Arminio mi spiega al telefono che leggerebbe poesie - l’ultima raccolta è Canti della gratitudine per Bompiani - a chiunque lo chiami, e che però vuole essere ricordato con una sola frase: «L’uomo che amava i paesi».Ha coniato un neologismo: «paesologo».«Vivo da sempre in un paese, sono fedele ai paesi. Perché a un certo punto mi sono reso conto che i paesi esistevano, ma mancava chi li raccontasse nel presente e li immaginasse nel futuro».Lei è di Bisaccia, Irpinia d’Oriente.«Dopo il terremoto i paesi, qui, sono andati avanti. Ma restava un vuoto, inspiegabile. Al di là della cronaca, nessuno ha mai raccontato le nostre storie. E allora mi sono messo a fare un reportage che non è ancora terminato e chissà se terminerà mai, dalla mia zona a tutta Italia, a metà strada tra l’etnografia e la poesia».In cosa lo sguardo del poeta differisce da quello dello scienziato, o dello storico?«È uno sguardo singolare: il poeta possiede la scienza del dettaglio. Se però la poesia è solitamente mettere in pagina un mondo interno, ho voluto rivolgere gli occhi verso lo spazio attorno». Scrive: «Tornate al vostro paese […] se ne sono andati tutti». E allora perché farlo? Cosa resta?«Mi sto accorgendo che anche chi è rimasto in paese senza emigrare nelle grandi città ha una sorta di disattenzione. In una vecchia poesia scrivevo che «Venticinque anni dopo il terremoto/ dei morti è rimasto poco, /dei vivi ancora meno». Assistiamo a uno spopolamento cognitivo: oltre a quelli che emigrano, ci sono quelli che stanno qui ma con la testa altrove. E poi ci sono quelli che chiamo i disertori, quelli che si sono fatti la villetta in periferia e stanno poco in giro».Il vuoto al centro?«La piazza vuota. Sono più di 45 anni che provo a raccontare questo museo delle porte chiuse come un’esperienza dolorosa, ma che comunque contiene una sua solennità. In questo finire apparente si aprono fessure che danno emozione».Una sua poesia in mostra alla Biennale di Venezia dice: «Abbiamo bisogno di un luogo: ci vuole una mano, una casa, un sorriso, qualcosa che ci faccia da perimetro».«Tutti nasciamo da una madre, e abbiamo bisogno che la nostra lingua e la nostra storia ci parlino. Un luogo è una cosa viva. I ragazzi avrebbero molto da guadagnare da questa postura percettiva della storia. Si può imparare l’inglese senza dimenticare il calabrese».Ma se il lavoro non c’è, si fan le valigie. E qui la faccenda si fa politica.«Sono stato coinvolto, a livello locale e a livello nazionale, nella stesura della “Strategia nazionale delle aree interne”. Va detto che la “Strategia” non è servita a molto, fin qui. Anche da Roma non si riesce a capire quale sia l’importanza dei paesi tra le montagne».Detta con parole semplici? «In Austria o in Svizzera - che non è certo povera - fare politiche contro l’abbandono di case e territori è naturale, e si punta al riutilizzo. In Italia in certi posti è aperta una casa su 20, e tra 50 anni crolleranno e non sembra importare a nessuno. Il Superbonus, fossi stato in Conte, lo avrei concentrato sulle zone marginali, sui Comuni più lontani dal centro. La spesa sarebbe stata forse un quinto di quella che è stata e avrebbe avuto risultati tangibili».E per creare lavoro?«Molti paesi abruzzesi sono a pochi chilometri da Roma, molti di quelli dell’Irpinia possono raggiungere facilmente Napoli, se ci fossero i servizi. Il paese più densamente popolato della Campania è Casavatore, 12.000 abitanti per chilometro quadrato. Il più piccolo Valle dell’Angelo: 6 abitanti per chilometro quadrato. C’è una sproporzione mostruosa nel fatto che il 53% dei campani vivono in provincia di Napoli, che è solo l’8% del territorio regionale». Mancano i trasporti?«E le scuole, e la sanità. Portare un centro di riabilitazione per infartuati in montagna perché non potrebbe funzionare? Funziona forse solo se a Roma o a Milano?».Le persone desiderano questo ritorno alle origini?«L’italiano medio purtroppo pensa che il mondo contadino sia un retaggio da cui staccarsi, perché lo associa a simboli di miseria. Così non è, e torno all’esempio della ricca Svizzera».Lei scrive che un luogo serve per fare comunità, «per ingentilire il mondo più che biasimarlo».«Negli Usa un documento ufficiale sulla Sanità certifica la necessità di strategie per la riconversione sociale a fronte di una “epidemia di solitudine”, una sorta di pandemia che ha concrete ricadute anche sulla mortalità. Di solitudine si muore, e la risposta è la comunità. In America non hanno i paesi, in Italia invece abbiamo l’occasione di una straordinaria operazione per la vita delle persone».Non può accadere in città?«Il modello urbano degli appartamentini crea depressione, isolamento. Si parla troppo poco di come stanno davvero gli italiani oggi. Io che li incontro in lungo e in largo per la Penisola ho la sensazione di uno scoramento, di una scontentezza, di una sfiducia. Anche di non poter incidere nella vita di un luogo. E così non si riescono neanche a fare le liste per le elezioni comunali: i ragazzi se ne sono andati, e tra clientelismo e assenze va a finire che la lista da votare è solo una. Quando ero ragazzo si facevano le corse, per partecipare».Siamo ancora capaci, di fare comunità?«Questa è una bella domanda, perché i ragazzi sono nati dopo il crollo delle vedute comunitarie e gli adulti sono pieni di nostalgia per qualcosa che non c’è più. Penso che occorra trovare nuovi modi rispetto al passato. Consiglierei a ogni candidato sindaco di non dire “amministrerò meglio di quelli di prima”, ma “rivitalizziamo questo posto, proponiamo 100 amministratori e non 5, occupiamoci insieme di tutto”. Occorre una vera e propria riabilitazione per quello che si è ormai atrofizzato».Questa sua proposta ha un colore politico?«Ho trovato un punto di contatto con intellettuali come Marcello Veneziani, attento a temi comunitari. In Rai stimo molto Angelo Mellone e Andrea Di Consoli e ho un ottimo rapporto con Mario Orfeo. Guardo alle persone più che alle loro divise. Mi pare che tra i pensatori di destra oggi ci sia una buona attenzione alla poesia, al mito, al canto, al cibo. C’è però poi un centrodestra che ha scelto di dare enorme attenzione all’economia di impresa mutuando il modello sul Nord Europa, da Berlusconi in poi. Margaret Tatcher è colei che più di altri ha smontato il modello comunitario».Lei come si definirebbe?« Potrei dire un conservatore rivoluzionario. Voglio conservare la realtà nel momento in cui evapora. Se mi chiede se questo voglia dire che sono di destra: no, non lo sono. So però che a sinistra c’è molta gente che non amo e che non mi ama. Mi piacerebbe - e forse accadrà - che si possano rimescolare vicinanze sentimentali, letterarie, politiche».Un nuovo movimento di pensiero?«Un nuovo umanesimo, con Gian Battista Vico tra i principali ispiratori. Se poi Giorgia Meloni volesse dialogare - non credo le manchino le capacità - sono a disposizione per dare il mio contributo per mettere a punto una strategia vera per quella che io chiamo l’Italia intensa, perché piena di sacro e cose meravigliosamente marginali. In Lucania porto avanti da 13 anni un festival che dimostra come sia possibile un modello alternativo».Parla de «La luna e i calanchi», in agosto, ad Aliano?«Esatto. Un paese di mille abitanti che si fa promotore della grande arte, di poesia, cinema e musica. Arrivano quasi 20.000 persone ogni anno. Ci sono festival che costano 1 milione di euro, noi con un budget da 50.000 vantiamo il doppio degli spettatori».Lei viaggia e offre il suo numero di telefono pubblicamente per leggere poesie. «Vado dappertutto, sì. Nei bar dei paesi più sperduti, ma potrei leggere anche per Salvini. E non è detto che non potremmo trovare un momento di connessione. Non esiste chi capisce e chi non capisce la poesia».Uno dei suoi grandi temi è l’amore. Su Instagram macina follower.«Ho iniziato a scrivere a 14 anni e uno dei miei maestri fu Gianni Celati. Sì, l’amore mi appassiona fin da ragazzo».Perché?«Perché l’incontro con un altro corpo e un altro cuore sono modi per cercare l’infinito. Non ho mai avuto un’idea agonistica dell’amore. Mi sono sempre nutrito di una concezione direi religiosa, di questa vicenda umana». In continua ricerca?«Ogni giorno cerco un’uscita verso la sensualità. L’unica cosa che fa davvero bene al cuore è avere un’attesa, una vigilia d’amore. Altrimenti la giornata mi sembra un po’ povera. Io tendo all’amore perché credo possa portare oltre alla dittatura del presente».C’è una poesia che ha riletto più di altre, limato più di altre?«Ce n’è una che rileggo tutte le sere. “La prima volta non fu quando ci spogliammo / ma qualche giorno prima, / mentre parlavi sotto un albero. / Sentivo zone lontane del mio corpo / che tornavano a casa”. Sono molto affezionato anche a una poesia che ritrovo spesso affissa in panetterie, circoli sociali, bar di tutta Italia: “Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento...”.
Ecco #DimmiLaVerità del 17 ottobre 2025. Ospite il capogruppo di Fdi in Commissione agricoltura, Marco Cerreto. L'argomento del giorno è: "Il pasticcio europeo del taglio dei fondi del settore agricolo".
L'area danneggiata in seguito a un attacco aereo condotto dal Pakistan in Afghanistan (Getty Images)
Dopo settimane di tensioni, gli scontri lungo il confine tra esercito pachistano e Talebani hanno causato decine di vittime. Cessate il fuoco fragile e una partita geopolitica che coinvolge Cina, India e Stati Uniti.