2021-12-04
«Non si danno vaccini ai bimbi per proteggere i loro nonni»
Francesc Broccolo (iStock)
Il virologo Francesco Broccolo: «La malattia nei più piccoli è lieve. Raramente porta alla sindrome respiratoria multisistemica, comunque curabile. Vale la pena inoculare tutti?» Francesco Broccolo, virologo dell’Università Milano-Bicocca e direttore scientifico del Gruppo Cerba si è fatto notare negli ultimi mesi per le frequenti partecipazioni televisive. A differenza di altre starlette sanitarie, tuttavia, Broccolo ha sempre mantenuto grande contegno e, soprattutto, grande prudenza. Non lo abbiamo visto lanciarsi in valutazioni politiche, o formulare sentenze apodittiche. Piuttosto lo abbiamo sempre sentito snocciolare dati e studi. Abbiamo deciso dunque di rivolgerci a lui per tentare di fare il punto sulla vaccinazione ai bambini di cui molto si discute in questi giorni, e che - dopo il via libera dell’Aifa - sarà possibile effettuare dal 15 di dicembre. Professore, abbiamo letto le frasi di Thomas Mertens, dell’autorevole Robert Koch institute tedesco, sulla vaccinazione ai bambini. Ha detto testuale: «Io non vaccinerei i miei figli». Qual è la sua opinione in proposito? «Innanzitutto bisogna distinguere in base all’età dei bambini. La fascia d’età su cui abbiamo troppi pochi dati è quella 5-11 anni, che riguarda il vaccino approvato da Ema e Aifa. Il punto è soprattutto capire quali possano essere i benefici». Nel senso che sui potenziali danni abbiamo certezze?«Al momento non ci sono dati che facciano pensare che i vaccini non siano sicuri, almeno per quanto riguarda i 2,5 milioni circa di vaccinazioni fatte negli Stati Uniti. C’è un dato da considerare: un caso ogni 10.000 vaccinati può presentare miocardite. Ma il punto, dicevo, è piuttosto capire quali siano i benefici. È su questi che ci sono i maggiori dubbi». In che senso?«Finora, per fare il computo generale dei benefici, sono sempre stati sommati il beneficio individuale e il beneficio per la collettività. Ebbene, in questo caso il beneficio individuale è da discutere, dato che questi non bloccano l’infezione e la trasmissione, e di fatto la malattia nella fascia d’età 5-11 è assolutamente lieve». Sui giornali si sente parlare di una sindrome che i bambini potrebbero contrarre a causa del Covid. «Sì, c’è da ricordare la Mis- C, una sindrome infiammatoria multisistemica. Si presenta più o meno in un caso ogni 3.200 infetti. Di fatto con gli opportuni farmaci - cioè un mix monoclonali e di immunomodulatori, in particolare Anakinra - se ne esce molto bene, la terapia di cui disponiamo ha il 98% di efficacia». Quindi i numeri dei morti vengono decisamente ridotti, grazie al cielo. «Sulla mortalità spesso sento dire nelle trasmissioni numeri esagerati. Negli Usa, dall’inizio della pandemia a oggi, sono deceduti 94 bimbi nella fascia 5-11, non migliaia come qualcuno ha detto. Ora, ogni bambino è sicuramente una grandissima perdita, questo è ovvio…». Però dobbiamo tenere presenti, un po’ cinicamente, i grandi numeri. «L’Ecdc di Atlanta ha stilato una sorta di classifica delle percentuali di decessi nella fascia 5-11 anni e le morti per Covid - che sono appunto 94 - risultano inferiori a quelle per polmonite e influenza, malattie cardiache, malattie respiratorie croniche e tante altre malattie. La sostanza è che l’infezione Sars-Cov-2 nei bambini tra i 5 e gli 11 anni si presenta come malattia lieve. E se si presenta come sindrome sistemica, questa sindrome è curabile con farmaci. Poi, per quanto riguarda l’Italia, c’è un’altra criticità riguardante i farmaci, che non sono utilizzati come si dovrebbe». Ci torneremo fra poco. Restiamo un attimo sui benefici. Parlavamo dei benefici individuali e collettivi del vaccino nella fascia 5-11. «Se al computo dei benefici individuali si aggiungono i benefici sociali, secondo me si fa un errore. Il vaccino non deve essere proposto come un beneficio per la sanità pubblica, sociale… Se proprio volessimo ottenere un beneficio sociale dovremmo vaccinare nei Paesi a basso reddito, in Africa dove la vaccinazione è al 7%, perché solo così potremmo fermare le varianti. Ma, appunto, solo in questo caso potremmo parlare di beneficio sociale. Il vaccino di fatto è un farmaco e il beneficio che porta deve essere individuale». Vari suoi colleghi sostengono che non ci siano abbastanza dati sulla vaccinazione per i bambini. È così?«Lo studio approvato da Fda e Aifa, che è uno studio di Pfizer, si basa su .2000 bambini, che sono molto pochi. È uno studio ridotto che presenta alcune criticità. Mostra, di fatto, che gli ammalati fra i non vaccinati sono solo 16, mentre tra i vaccinati sono 3. E di questi ammalati non viene descritto il decorso della malattia. Sarebbe invece interessante sapere se quei 3 vaccinati hanno avuto un decorso più lieve, se sono guariti prima, che tipo di sintomi hanno avuto… Però non viene detto alcunché sulla differenza della malattia tra vaccinati e non vaccinati. Abbiamo bisogno di più dati. Però c’è tutta questa fretta, questa premura…».Si dice sempre: «In Israele e Usa vaccinano i bambini, quindi vaccinare si può, è sicuro». «Ripeto, qui non stiamo parlando tanto di sicurezza. Su quel fronte non è emerso nulla di particolare, se non le miocarditi in un caso su 10.000. Stiamo parlando di quali possano essere gli effetti benefici. Quanto alla sicurezza, parliamo di un farmaco, e come tutti i farmaci ha effetti collaterali che possono palesarsi subito ma anche nel lungo termine. Se ci fosse rischio zero ovviamente tutti ci vaccineremmo, no? Noi stiamo facendo una fotografia che riporta ciò che succede adesso, e proprio perché il rischio eventuale lo scopriamo strada facendo, è meglio essere più prudenti». Ripeto: c’è Israele, ci sono gli Usa. Lì vaccinano…«Israele ha fatto tante cose buone ma anche tanti errori. Ha tolto la mascherina subito dopo la prima dose, e si sono reinfettati subito, hanno poi capito che era necessario aspettare la seconda dose… Errori ne hanno fatti anche loro. Non è che ciò che fanno gli altri sia per forza corretto. Noi dobbiamo prendere il meglio dagli altri, copiare il meglio, non le cose su cui non c’è certezza. Non abbiamo ancora dati sufficienti per essere abbastanza tranquilli e vaccinare questo gruppo di popolazione. Ma soprattutto non si capisce il reale beneficio di questa vaccinazione tra 5 e 11 anni. Per risultare convincenti aggiungiamo il beneficio sociale a quello individuale, ma per i vaccini è sbagliato parlare di beneficio sociale»» Un’altra obiezione che si fa sempre è la seguente: i bimbi magari si ammalano poco gravemente, ma poi contagiano i nonni e causano disastri ovunque. «Sia i vaccinati che i non vaccinati trasmettono il virus e quindi se il vaccino deve essere fatto per proteggere i nonni il principio è sbagliato, non può essere questa la priorità del vaccino. Allora si vaccinino i nonni, piuttosto mettiamo l’obbligo per gli over 60. Che il vaccino venga dato ai bambini per proteggere i nonni è una castroneria». Altra obiezione: i bambini poi prendono il long covid. «Per quel che sappiamo si tratta di pochi casi, sono sostanzialmente complicanze a lungo termine…». Che significa pochi?«Un massimo del 10% dei casi, ma stiamo parlando di stanchezza, a volte difficoltà di concentrazione. Il punto è che le statistiche sono ancora poco chiare, anche perché si basano sulle dichiarazioni spontanee. L’unica evidenza scientifica che abbiamo è che questo tipo di complicanza, il long covid, è negli adulti. Nei bambini è ancora tutto da capire. Poi, come ho detto, il covid sui bambini in rarissimi casi porta a sindrome multisistemica, che può condurre a miocardite. Ma - dobbiamo dirlo e nessuno lo sta dicendo - questa sindrome è curabile coi farmaci che consistono in cocktail di corticosteroidi, immunomodulatori, in particolare Anakinra, e anticorpi monoclonali che abbiamo a disposizione. In ogni caso, il punto focale su cui ragionare è: il vaccino viene dato al sano, il farmaco viene somministrato al malato. Quindi vale la pena vaccinare tutti i bambini nella fascia 5-11 per proteggerli da una sindrome rarissima che di fatto è curabile?». Appunto.«È questa la domanda a cui rispondere. I vaccini pediatrici obbligatori coprono da malattie gravi, come la poliomielite. Negli anni Settanta in ogni classe c’erano almeno due bambini con polio. Con quei vaccini si proteggeva da trasmissione e infezione. Ma oggi vale la pena davvero vaccinare i bambini per proteggerli da sindrome rarissima e curabile? Su questo bisogna ragionare, non c’è risposta semplice. Attendiamo ulteriori dati, perché un trial fatto su 2.000 soggetti è poco». Servono altri trial? «Altri trial possono far perdere tempo. Bisogna almeno osservare il quadro epidemiologico di tutte le vaccinazioni che vengono fatte, per esempio in America, il problema è che gli effetti collaterali son riportati su base volontaria, quindi si possono perdere molti effetti avversi. Dopo tutto anche in Italia non è così semplice registrare gli effetti collaterali. Un medico di medicina generale impiega 45 minuti a compilare una scheda da inviare a Aifa, e con tutto il lavoro che ha da fare… Quindi c’è sempre sottostima degli effetti collaterali, in tutti i Paesi, in Usa più che in Italia forse». Nel frattempo, che fare?«Con il quadro epidemiologico attuale, con una variante in arrivo molto trasmissibile e che sembra essere poco virulenta io direi che non ci sia tutta questa fretta a fare il vaccino ai bambini tra i 5 e gli 11 anni. Invece ai bambini fragili, o che hanno familiari immunodepressi, oncologici, beh a loro lo consiglierei». Ha detto che il Covid può portare miocarditi in un caso ogni 3.500. Uno studio realizzato a Hong Kong e pubblicato pochi giorni fa parla di 33 miocarditi/pericarditi dopo il vaccino su 100.000 ragazzi cinesi esaminati. Non sono ordini di grandezza così diversi. «Questo è uno studio solo, a me, guardando tutti i dati, risulta che l’effetto collaterale da vaccino sia uno ogni 10.000 vaccinati, mentre l’infezione naturale provocherebbe miocardite in un caso su 3.500. Però bisogna ragionare. Il vaccino lo si dà a tutti, il farmaco lo si dà ai malati. Io sarei più per dare il farmaco ai malati che il vaccino ai sani quando il rapporto beneficio - rischio non è così chiaro. Resto ancorato al principio medico secondo cui è meglio essere prudenti: attendiamo ancora un po’».
Giancarlo Fancel Country Manager e Ceo di Generali Italia
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